MESSINA. La notizia dell’approvazione del progetto esecutivo per il recupero a Casa Cammarata (quel che resta di Casa Cammarata), oltre alla soddisfazione del poter ridare lustro tardivo al monumento (inserito dalla fantasy worlds tra le “100 case fantastiche nel mondo”) espressa da Antonio De Luca e Alessandro Geraci, deputato regionale e consigliere del III quartiere del Movimento 5 stelle che si sono spesi per riuscire ad ottenere il finanziamento, ha anche scatenato il rammarico tra chi di Casa Cammarata e del suo recupero e valorizzazione parla da quasi vent’anni. Come Pier Paolo Zampieri, professore associato di Sociologia dell’ambiente e del territorio e fondatore di Zonacammarata, che in una lettera aperta a LetteraEmme ha spiegato cosa sarebbe stato del bene storico monumentale se si fosse agito prima e diversamente.

“Da circa dieci anni la questione urbana ed estetica rappresentata dalla Casa del Cavaliere Cammarata è presente nei programmi di studio di Sociologia dell’ambiente e del territorio (e di Sociologia del turismo e del territorio) dell’Università di Messina. Sono pertanto molto felice della notizia dell’utilizzo di un finanziamento Regionale che proverà a sottrarre la casa del Cavaliere a un destino di probabile crollo. Sono però rimasto perplesso per il totale rifiuto di dialogo istituzionale con i saperi scientifici che hanno lavorato su quel bene e che non poco hanno contribuito a sottrarlo dall’oblio a cui sembrava destinato. Ad oggi non conosco il progetto, quindi può essere che mi sbagli, ma temo che se non si investe anche sul piano culturale e simbolico, finito il restauro tutto tornerà come prima, con erbacce e lucchetti. Pertanto Le chiedo di rendere pubblica la consulenza – gratuita e non richiesta – che con spirito di servizio ho spedito tramite PEC un anno fa all’Assessore alla Cultura e al Sindaco. E’ una consulenza sociologica e non architettonica che guarda anche al quartiere e al suo futuro. E’ uno sguardo storicamente informato proiettato nel domani che forse incorpora troppo la componente visionaria di Cammarata, ma mi è sembrato impossibile fare diversamente. Mi scuso con i coraggiosi lettori per la lunghezza del documento ma ritengo possa essere un documento interessante per i vari attori sociali e istituzionali che hanno a cuore Cammarata, Maregrosso e soprattutto per quelli che dovranno intervenire”.

Di seguito il documento integrale:

Gentile Sindaco, gentile Assessore, come Cattedra di Sociologia dell’ambiente e del territorio dell’Università di Messina (Dipartimento COSPECS) ci occupiamo della Casa del Cavaliere Cammarata  da almeno un decennio (Zampieri 2012, Zampieri 2023b). Un interesse che ha intercettato un lungo fermento culturale (Schaewen von Deidi, 2007; di Stefano 2008) e che si è concretizzato in molteplici pubblicazioni scientifiche, convegni, lavoro di rete, mostre, visite guidate e azioni territoriali a Maregrosso, sempre in dialogo con il quartiere e la comunità.

Tutto questo ha permesso, tra le altre cose, di ritrovare gli elefanti di Cammarata, rigenerare Via Belle Arti, vidimare scientificamente il valore culturale della Casa in oggetto e segnalare formalmente la questione Cammarata al Comune di Messina (Raffa e Zampieri 2017, Zampieri 2018) che fino a quel momento si era limitato ad assistere con indifferenza alla sua demolizione. Abbiamo studiato – e facciamo studiare ai nostri studenti – i linguaggi estetici dell’opera di Cammarata e analizzato le implicazioni sociali e urbane della sua opera. Un landmark intimamente connesso con la ricostruzione post-terremoto di questa città (Zampieri 2018) ma in grado di dialogare, se non anticipare, riflessioni più ampie sull’arte contemporanea (di Stefano 2008) e il ruolo dell’architettura, soprattutto in relazione alla grande questione delle periferie (si pensi al progetto G124 di Renzo Piano) e del paesaggio antropologico (Mina 2011).

Possiamo concordare che il recente finanziamento di 90.000 che la Regione Siciliana ha attribuito al vostro Assessorato – grazie alla sensibilità squisitamente esogena di Alessandro Geraci (Consigliere Terza Municipalità) e Antonio De Luca (Deputato ARS) – sia anche attribuibile a quel lavoro decennale capace di sottrarre dall’oblio la vicenda Cammarata, sancendone in termini scientifici il grande valore culturale, non solo in termini locali. Riteniamo pertanto utile (e, come ricercatori, necessario), fornire qui una consulenza scientifica, gratuita, per contribuire al processo in essere.

Consideriamo (quello che resta di) quella Casa un Segno e un Simbolo: occorrerà pertanto che le azioni di tutela che dovrete mettere in atto siano in grado di assorbire entrambe le componenti al fine di trasformare quello che temiamo possa precipitare in un restauro “perimetrale” – e sterile nel lungo periodo – in un processo più ampio, in grado di intercettare anche le intenzioni visionarie (e quanto mai attuali) del suo costruttore babelico. Viceversa, se non si colgono le difficoltà e le implicazioni legate al “prendersi cura” del bene, il decadimento del sito, finito il restauro e richiuso il cancello, si riproporrà in breve tempo.

Il paradosso di un’opera che ha mescolato spazio privato, spazio publico e spazio abusivo in una zona appetibile per gli interessi economici, e lo ha fatto con linguaggi artistici irregolari, ci sembra essersi riverberato sulle dinamiche di tutela passate (Zampieri 2018) e temiamo si possano riproporre in futuro. Riteniamo che i vostri uffici siano chiamati a un salto immaginativo: dialogare con i contenuti di quel segno, ascoltare i relativi studi scientifici di settore e stimolare\valorizzare la vivace produzione culturale presente in città intorno a quel simbolo.

In questa prospettiva i 90.0000 Euro stanziati non rappresentano una soluzione alla “questione Cammarata” ma piuttosto un’occasione, una sfida ancora da immaginare (ricordiamo per esempio che negli scantinati del Palacultura ci sono da diversi anni un centinaio di opere di Cammarata (Previti 2015b)) che potrebbe rappresentare un precedente dai profili paradigmatici per le altre opere babeliche outsider e, diventare, come il caso delle Watts Towers di Sam Rodia a Los Angeles una risorsa decisiva per l’intero quartiere (Dal Lago e Giordano 2008; Del Giudice 2014, Zampieri 2015).

I quartieri hanno bisogno di simboli ed è questo che rappresenta per Maregrosso la casa di Cammarata. Un oggetto artistico da tutelare ma soprattutto una direzione, o una visione, da seguire. Ci sembra davvero che in quanto terminali di un lungo processo abbiate tra le mani un’occasione storica e una responsabilità non da poco. Ci auguriamo pertanto che le nostre note, certamente non esaustive e certamente non tutte esaudibili all’interno della cifra stanziata e nel breve periodo, e sintetizzabili nell’invito a mettere in moto un processo, non vengano ignorate o travisate.

Il Segno : 1) Per tutelare le fragili parti residue della casa di Giovanni Cammarata, occorre in primis eliminare in maniera radicale le numerose piante infestanti. L’incuria di questi anni (da quando i vostri uffici nel 2015 hanno preso le chiavi ai gruppi informali che si occupavano della pulizia) è stata devastante. Le piante sono diventate alberi alti quattro metri e non sappiamo quanto le radici si siano estese sotto una casa priva di fondamenta. Temiamo che non sia rimasto molto tempo prima del crollo. Per valutare e soprattutto intervenire ci vogliono esperti agronomi. Tagliare non basta. Invitiamo anche a una riflessione sull’atteggiamento schizofrenico di un’amministrazione che organizza un importantissimo convegno internazionale su Cammarata nel 2015, inserisce Casa Cammarata nel catalogo del patrimonio culturale cittadino (Famà 2019) e, parallelamente, causa un’inerzia incomprensibile, rischia di essere ricordato come il mandante della sua distruzione. La nota è volutamente polemica perché abbiamo il timore che se non si comprende il motivo della difficoltà a prendersi cura del bene, o meglio della differenza tra il prendersi cura e l’essere proprietari del bene, finito il restauro e richiuso il cancello, il problema si riproporrà inesorabilmente. Riteniamo tali riflessioni elementi da incorporare nel processo di tutela, soprattutto in chiave prospettica.

2) E’ preferibile trasformare il probabile “cantiere di restauro” in un “cantiere tecnico-artistico”. Sul come alleghiamo le linee guida fornite dalla professoressa Eva Di Stefano (e Valentina Di Miceli, allegato A), forse la massima esperta di arte outsider in Italia, sul chi invece, oltre ad augurarci che sia coinvolto personale altamente qualificato, ci limitiamo a suggerire, ma lo facciamo con forza, un affiancamento laboratoriale degli istituti d’arte cittadini e un dialogo scientifico con gli studi di settore. Il restauro non può riproporre errori del passato: basti pensare a quanto eseguito nel 2015 sugli elefanti gialli di cemento, simbolo dell’opera del Cavaliere (Previti 2015 a). Si è optato per un restauro cromaticamente invasivo, a voler essere gentili, in cui non sono stati segnalati i punti di intervento (né scultorei né pittorei) e le nuove proboscidi di polistirolo – già crepate – hanno impedito il ritorno, anche ipotetico, delle sculture nel loro luogo, Maregrosso. In pratica se nel tessuto sociale cittadino gli elefanti hanno ispirato quadri, progetti culturali, murales, articoli scientifici, fino a un delizioso dolce in pan di zucchero preparato dagli studenti dell’I.I.S. Antonello (Zampieri 2023b) sul piano istituzionale sembrano invece prigionieri di uno spazio espositivo aperto a orari ufficio, senza nessuna scheda o espansione culturale e narrativa. Al contrario, sotto l’ovvia supervisione di un professionista (non sappiamo ad oggi se il bene sia tutelato dalla soprintendenza, nel qual caso l’art. 29 del Codice dei Beni Culturali è abbastanza prescrittivo), la presenza laboratoriale dei futuri artisti cittadini aprirebbe l’azione a molteplici implicazioni: a) Maregrosso, (ri)diventerebbe una palestra urbano-artistica esaudendo le intenzioni – e seguendo le orme – di Cammarata b) Il suo segno entrerebbe nei percorsi formativi degli istituti artistici. c) si andrebbe altresì nella direzione suggerita dagli studi critici sulla rigenerazione urbana in cui “Alla retorica della cultura come rebranding si vanno progressivamente affiancando progettualità che abbracciano la dimensione sociale delle trasformazioni spaziali” (Crobe 2023) d) e ancora sull’esempio francese della babelica Cathédrale di Jean Linard (designata dal 2012 monumento storico) si generebbero le condizioni per formare restauratori in loco. La questione ci sembra rilevante soprattutto in prospettiva di future inevitabili ricromatizzazioni. Infine, ricordiamo che, per restare dentro il perimetro italiano, andrebbe instaurato un dialogo con i pochi esempi in cui le istituzioni si sono spese per i siti babelici. La storia complessa degli interventi al Castello Incantato di Filippo Bentivegna a Sciacca (Ferlisi 2014) e il recente – e più simile per tipologia a Cammarata – processo in atto per il Santuario della Pazienza di Ezechiele Leandro nel leccese, sotto l’egida della Soprintendenza, consegnano valide indicazioni impossibili da ignorare. Ovviamente mettiamo a disposizione i contatti dei protagonisti degli interventi citati.

3) È bene risolvere la questione dell’attuale invadente ringhiera, ottima per i giardini di limoni e non certo per la fruizione di opere d’arte. Anche il muro di protezione esistente ci sembra sì necessario (senza, di inverno la casa si riempie di fango) ma immotivatamente alto. L’illuminazione sul marciapiede che invece dell’opera illumina esclusivamente il muretto in questione più che un errore ci sembra quasi una metafora impossibile da ignorare.

4) Sulla “messa in sicurezza” non abbiamo competenze da mettere in gioco se non segnare che è una parola ambigua: accanto a legittime preoccupazioni di tutela la formula spesso, soprattutto a Messina, mette in moto vere paranoie burocratiche che si traducono quasi sempre in lucchetti che diventano i paradossali custodi del successivo degrado. Le piante infestanti alte quattro metri che stanno distruggendo la casa misurano esattamente questo.

5) Ci felicitiamo per la scelta dell’architetto Celona come R.U.P del progetto: sicuramente una delle persone più competenti in materia nel vostro organico (Celona 2015). Immaginiamo che vorrà dare seguito al progetto scaturito dal tavolo partecipato del 2015. Speriamo pertanto che saprà tener conto dei numerosi pareri degli esperti internazionali presenti al prestigioso convegno Heterotopias, organizzato proprio dal Comune di Messina, e chiamati ad esprimersi nel merito. I pareri condividevano entusiasticamente i metodi adottati per l’elaborazione del progetto, ne sposavano in toto l’ambizione progettuale (soprattutto l’idea di ripristinare il parco urbano di Cammarata nel sito originale, la riconquista dell’affaccio al mare e la previsione di un ambiente espositivo e informativo nei piccoli spazi interni) ma chiedevano con forza una rielaborazione del progetto di copertura della casa. Al di là della lettura architettonica, venne giudicata poco funzionale allo scopo e soprattutto non in sintonia con le linee guida degli interventi sui siti outsider che tendono all’“invisibilità” e al coinvolgimento sociale, opponendosi così ad una dinamica di mera musealizzazione. In sintesi la costosa copertura sarebbe stata più visibile dell’opera e non avrebbe garantito la protezione auspicata.

Il Simbolo (il racconto è una forma di tutela). L’opera di Cammarata è commovente non solo per i suoi contenuti estetici, ma per la lotta ciclopica messa in scena dal suo costruttore in quel contesto così paradossale composto da baracche, paesaggio mozzafiato e capannoni industriali. Quella lotta è stata percepita dalla città come un simbolo ed è stata in grado di attrarre negli anni una non indifferente produzione culturale. Tra romanzi (Terranova 2018), dipinti, canzoni, spettacoli teatrali, documentari, murales, dolci in pan di zucchero (Zampieri 2018, 2023b) ci sembra davvero che la vicenda di Cammarata abbia agito come un magnete molto potente per il quartiere di Maregrosso e per la città tutta. Qualcosa che un assessorato alla cultura non può ignorare. Crediamo quindi che, nella prospettiva evocata (un processo e un cantiere artistico) andrebbe impiegata (o meglio integrata) una percentuale delle risorse (10%) per stimolare e sostenere prodotti culturali in grado di raccontare quella storia e quel segno. Per usare le parole della prof.ssa Roberta Trapani  (2019) “raccontare è tutelare”:

Educare i cittadini a pensare questi siti come un patrimonio da proteggere, dando loro gli strumenti culturali, giuridici ed economici per prendersi cura di essi, ciò permetterebbe di tutelare non solo la materialità di questi siti, ma anche la loro immaterialità, fatta di ricordi, storie, rituali personali e know-how (Trapani, 2015). In questa direzione vediamo nell’immediato la necessità di generare almeno tre prodotti: a) una piattaforma digitale (mettiamo a disposizione, i contenuti scientifici, il non indifferente archivio visivo raccolto in questi anni e la numerosa partnership internazionale). b) una grafic novel. La fabula di Cammarata ci sembra particolarmente adatta ad essere narrata con un medium costituito dalla sua stessa grammatica fantastica e vicina alla sensibilità di nuove (e meno nuove) generazioni. Riteniamo questo prodotto vitale e generativo sopratutto in un’ottica di relazione con le scuole di Maregrosso, La questione si inserirebbe inoltre all’interno di un recente “movimento” cittadino in cui il fumetto è diventato il precipitato visivo capace di elaborare in chiave pop Messina e le sue storie: I vespri siciliani (Bonaccorso, 2022), Caravaggio (Bonaccorso\Terranova 2021), l’Horcynus orca (De Domenico, 2022). Speriamo a breve anche il Cavaliere di Maregrosso (Zampieri 2023b). c) Urban art a Maregrosso. Non dimentichiamoci che, anche se noto come scultore, Giovanni Cammarata è stato il primo street artist cittadino (Zampieri 2016). Il suo segno non si è limitato al perimetro della sua casa ma ha investito tutta la zona generando così l’avanguardistica VIA BELLE ARTI. Con queste informazioni il dipartimento COSPECS (Università di Messina) nel 2016 ha finanziato un Urban lab in cui ha chiesto a street artist locali e nazionali di relazionarsi con il segno endogeno di Cammarata e con il quartiere, inscenando un dialogo fecondo fra linguaggi contemporanei e semplici fruitori di Maregrosso. Si è trattata di un’operazione di intervento partecipato sul territorio che andrebbe rilanciata con più risorse e resa stabile: un anno, un bando, un opera; un anno, un bando, un opera. Siamo sicuri che tra 10 anni il quartiere sarebbe sensibilmente diverso e l’ideatore della prima VIA BELLE ARTI apprezzerebbe. A mo’ di esempio: una gigantesca coda di balena sulla quale poter salire e poter vedere il Maregrosso, una giostra di elefanti, marciapiedi colorati, segnaletica surrealista che segnala il mare, insomma basterebbe proseguire quella catena di visionari siciliani che ha visto nella Gibellina di Corrao, nella Tusa e Librino di Presti e nella Favara di Bartoli e Saieva i suoi episodi più celebri. Di tale visione meridiana Cammarata ha rappresentato un “piccolo” episodio dai non banali cortocircuiti e implicazioni (Zampieri 2023). Ci fermiamo qui, ma con questa logica in cui il Comune promuove prodotti culturali, si potrebbe stimolare nel futuro la produzione di documentari o addirittura fiction che chiamino in causa le energie creative cittadine e non solo. I recenti lungometraggi sui Babelici Siciliani Patrizio Decembrino (ME) e di ISRAVELE (PA), premiati da istituzioni e pubblico, sembrano suggerire prospettive molto feconde. Ovviamente per tali interventi servirebbero giurie qualificate.

Il Metodo (quella casa rappresenta una direzione). Esortiamo tutti gli attori della vicenda, e qui ci rivolgiamo a tutta l’amministrazione cittadina, a leggere l’intero quartiere di Maregrosso attraverso lo sguardo di Cammarata[1] – e il  suo metodo –  concependo il quartiere come un enorme urban Lab estetico, sociale e irriverente in cui l’arte non è un semplice orpello estetico ma la grammatica stessa del cambiamento. Non vorremmo che dopo il paradigma della produzione il quartiere passasse direttamente a quello del consumo (Amendola 1997) bypassando così la sua vocazione paesaggistica, la sua storia sociale e soprattutto la sua vocazione sperimentale. Sarebbe bello e giusto, in questo senso, che un domani venissero fatti dei calchi dagli elefanti, oggi esposti alla GAMM, e impollinare quel territorio così maltrattato e prezioso con il suo simbolo più riconoscibile. Sarebbe bello e giusto che, un domani, via Maregrosso potesse mutare il suo nome in via delle Belle Arti, come in modo lungimirante proponeva il Cavaliere. Sarebbe bello e giusto – come ricorda l’avv. Anna Mazzaglia, custode delle sue volontà – esaudire l’intenzione di Cammarata: radunare tutte le sue opere in un unico luogo, e quel luogo è Maregrosso. Intenzioni che la letteratura scientifica e istituzionale ha già codificato nel “Catalogo generale delle opere cittadine” Dal patrimonio comunale di Messina alla Gamm dentro e fuori le mura (Famà 2019)

 Le opere\appendici che come un puzzle fantastico compongono il grande emporio iconografico, religioso, fantastico e popolare prodotto da Cammarata, sono probabilmente segni del territorio, segni nel territorio. Frammenti vivi di un eccezionale museo diffuso. Lì dovrebbero tornare.  (Zampieri P. P., 2019: 74). Forse il vuoto dello sbaraccamento di Fondo Saccà (il luogo originale ci sembra ormai improponibile in seguito all’arrivo di McDonald’s) potrebbe essere il luogo ideale per reimmaginare attraverso un concorso di idee, il parco urbano di Cammarata che agirebbe da attrattore per il quartiere e moltiplicherebbe esponenzialmente l’appetibilità della recente biblioteca sociale che insiste proprio in quello spazio. La questione eccede sicuramente la cifra stanziata dalla Regione Siciliana e i tempi imposti dalle procedure, tuttavia tale occasione è davvero favorevole per sviluppare politiche integrate e ambiziose. Il quartiere spogliato dall’armatura delle intenzioni industriali novecentesche ha assistito negli ultimi anni ad una vorticosa metamorfosi che ha giustapposto in maniera disorganica centri commerciali, un McDonald’s, una biblioteca sociale, uno stradone ad alto scorrimento, gonfiabili per bambini e avanguardistiche bioarchitetture sociali con l’ambizione di diventare un paradigma della transizione energetica (Musolino 2022). Un dinamismo disordinato che ha bisogno di sintesi e le cicatrici simboliche della Casa del Cavaliere e il vuoto dello sbaraccamento di Fondo Saccà sembrerebbero i luoghi ideali per rielaborare in chiave prospettica, estetica e sociale il futuro del quartiere, coinvolgendo quelle intelligenze progettuali che non mancano né in città e né in Sicilia.

Per questi motivi crediamo che la questione della riqualificazione di ciò che resta della Casa Cammarata imponga una politica culturale ambiziosa che non può davvero esaurirsi in un semplice restauro perimetrale e burocratico che, privo di analisi di contesto, relazioni con la contemporaneità e ambizioni prospettiche rischierebbe di tradursi in una semplice operazione di facciata.

 

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