Tre milioni di euro in più nel giro di un anno su un totale di 23.203.561,20 euro: gli incassi dei beni culturali, in Sicilia, dal 2015 al 2016 hanno fatto un balzo in avanti, ma se manca la carta igienica in un museo, o è inagibile il bagno in un’area archeologia, i soldi, spesso, non ci sono comunque. È questo il volto della Trinacria con tre gambe e una sola mano, quella della Presidenza della Regione, che aspira tutti gli incassi derivanti dai 73 luoghi della Cultura (Musei, Gallerie, chiese, aree archeologiche e monumenti vari), restituendo poco o nulla. Tanto per fare un esempio, nel 2014 il Museo regionale di Messina aveva avuto dalla Regione appena 5000 euro per le spese di funzionamento a fronte di incassi ovviamente superiori.

 

Isola bella

MESSINA IN TESTA. A guidare la classifica degli incassi è la provincia peloritana, con 6.224.071,70 euro la cui quasi totalità (5.675.770,70) provengono dal Teatro Antico di Taormina che, con i suoi 748.583 visitatori, è stato il sito più visitato della Sicilia. Seguono, a distanza abissale, l’Area archeologica e l’Antiquarium di Tindari (153.212 euro), il Museo archeologico eoliano “Bernabò Brea (142.278), Isolabella e Villa Caronia (sempre a Taormina, 142.047), il Museo “Accascina” di Messina (53.872, ma sarà interessante vedere il dato del 2017, con l’apertura totale della nuova sede), l’Area archeologica di Giardini Naxos (51.872), e la Villa romana di Patti (5.020). Zero incassi, perché gratuiti, il Museo delle tradizioni silvo pastorali di Mistretta e l’area archeologica di Halaesa arconidea a Tusa. Va inoltre specificato che i due siti pattesi, quello di Giardini e l’Isolabella hanno avuto variazioni di prezzo durante l’anno.

 

LE ALTRE PROVINCE. Guadagna il secondo posto la provincia di Agrigento, trainata dal Parco archeologico, che ha totalizzato 4.638.193 euro su 4.937.504,50. Medaglia di bronzo per Siracusa (4.519.942,50 euro), grazie all’Area archeologica della Necropoli e all’Orecchio di Dionisio (4.081.801,50) e anche ai contributi del Museo archeologico “Paolo Orsi” (171.243), della Galleria regionale di Palazzo Bellomo (89.717) e dell’Area archeologica del Teatro Antico di Palazzolo Acreide (49.437). Agli incassi totali, però, mancano quelli dell’Area archeologica della Villa del Teallaro di Noto, resa gratuita, che nel 2015 aveva “guadagnato” 38.688 euro. E se la provincia di Trapani conquista il quarto posto (3.011.377,50), complici soprattutto le aree archeologiche di Segesta e Selinunte (incassati, rispettivamente, 1.363.419 e 1.125.708) e l’Ex Stabilimento Florio di Favignana (284.460), nel resto dell’Isola conquistano posizioni milionarie solo Enna (2.617.294 euro, la cui quasi totalità provengono dalla Villa del Casale) e Palermo (1.556.076 provenienti, soprattutto, dal Chiostro del Duomo, a Monreale, e da quello di San Giovanni degli Eremiti, dal Castello della Zisa, dalla Galleria regionale di Palazzo Abatellis e dal Museo di Palazzo Mirto, tutti a Palermo), perché Catania è al settimo posto con 268.633 euro (portati in gran parte dal Teatro romano e Odeon nel capoluogo), Ragusa all’ottavo con appena 57.822 (evidentemente ai fan del Commissario Montalbano non interessano i cinque beni iblei, tra i quali l’Area archeologica di Cava d’Ispica) e, al nono e ultimo, Caltanissetta, che conta quattro beni (Complesso Minerario Trabia Tallarita, i Musei archeologici del capoluogo e di Marianopoli più quello di Gela, comprensivo di aree archeologiche) ma ha incassato solo 10.840,00 (10.857 visitatori in tutto, 2977 dei quali entrati gratuitamente).

 

Villa romana di Patti

 

SQUILIBRI. I beni culturali siciliani funzionano? Una buona parte fa da traino, ma manca un principio di sussidiarietà. Per comprendersi meglio, la cifra di Taormina non serve né al Teatro Antico né alla Villa Romana di Patti, che incassa meno in provincia di Messina, né, in Sicilia, al Museo Civico di Polizzi Generosa (Palermo), ricco di testimonianze del secondo manierismo madonita ma visitato solo da 2.084 persone (385 entrate gratis), per un totale di 714 euro. Insomma, i tesori siciliani incassano, però non possono aiutare se stessi né far entrare i soldi in un circuito che serva ad aiutare i “meno visitati” ma, non per questo, poco interessanti.

 

PALERMO LADRONA. Come già accennato, tutti i denari che i visitatori lasciano ai botteghini viene “carpito” dalla Presidenza della Regione, la quale non li reinveste sui siti (vedi esempio sul Museo di Messina). E se è vero che una gran parte del bilancio dell’assessorato va anche ai 2000 custodi (dei quali 200 full-time e 240 di categoria B, già dipendenti della Società Beni Culturali Spa Gestione & Servizi, sono confluiti qualche anno fa nella Sas, la Servizi Ausiliari Sicilia, società consortile che ha inglobato anche i lavoratori di Multiservizi e Biosphera), lo è altrettanto che il personale rientra, più in generale, in quello regionale e, quindi, non giustifica la sottrazione degli incassi dei beni. Va detto, poi, che il numero dei custodi, al di là di alcune discutibili pratiche di reclutamento, così come la cifra totale dei dipendenti del pianeta beni culturali, non è così abnorme come viene raccontato dalle cronache nazionali, considerato soprattutto il fatto che la Sicilia gestisce autonomamente i suoi tesori e che, quindi, l’assessorato ai Beni culturali equivale al Ministero guidato da Dario Franceschini, che sostituisce.

 

IL TENTATIVO ANDATO A VUOTO. Negli anni scorsi, alcuni esponenti dell’Ars come Pippo Gianni, Giuseppe Picciolo e Marcello Greco avevano proposto di lasciare ai siti la gestione degli incassi, ma tutto è rimasto lettera morta. I guadagni, inoltre, non riguardano solo i visitatori, ma anche i possibili prestiti. Tanto per fare un esempio, teoricamente, per i quadri “inamovibili” prestati anni fa al Mart di Rovereto per una mostra su Antonello da Messina, i musei prestatori avrebbero potuto incassare, listino alla mano, circa 580 mila euro. “Avrebbero potuto”, però, sia perché il prestito fu “saldato” con organizzazioni di eventi in Sicilia che per quanto è stato già scritto: gli eventuali soldi, infatti, sarebbero andati alla Presidenza della Regione, nonostante un Museo o una Galleria, con soli centomila euro in più, avrebbero potuto implementare la propria attività.

 

QUEL 5% SOTTRATTO. Come se non bastasse, le cifre derivanti dai siti siciliani sono private di un 5% che, secondo il capitolo 377315 del bilancio regionale va destinato (si tratta delle spese obbligatorie) all’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i pittori, scultori ed incisori. Di che si tratta? La dicitura completa è “’Ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori e gli scultori, i musicisti, gli scrittori e gli autori drammatici” (Enap o anche Enappsmsad), istituito con il Decreto del Presidente della Repubblica 202 del 1978 fondendo l’Ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori e gli scultori (già Cassa nazionale assistenza belle arti), la Cassa nazionale assistenza musicisti, la Cassa nazionale assistenza previdenza scrittori italiani, la Cassa nazionale assistenza previdenza autori drammatici, con compiti di promozione dell’attività professionale. L’ente è stato soppresso nel giugno 2010 per accorpamento delle funzioni con l’Enpals (oggi assorbito dall’Inps). La quota del 5% riguarda, comunque, gli ingressi su tutto il territorio nazionale.

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