Già alcuni anni fa su questo stesso Blog (cfr. https://www.letteraemme.it/la-triste-storia-dei-beni-culturali-in-sicilia-ovvero-musumeci-la-lega-e-lequivoco-identitario/), esaminando la situazione dei Beni Culturali in Sicilia, avevo cercato di mettere in luce la distanza abissale che intercorreva tra la straordinaria primavera che il settore delle nostre più preziose risorse identitarie aveva vissuto dalla fine degli anni ’70 per almeno un ventennio, e la deriva intervenuta successivamente a opera di politici sprovvisti di un accettabile sentimento del tempo e adusi ad assumere i Beni Culturali unicamente sotto la veste di merci.

Adesso che Luciano Ordile ci ha lasciati, essendo stato proprio lui il principale autore di quella gloriosa primavera, sento il bisogno di consegnarne la memoria attingendo a ricordi personali. Non dunque, questo mio, un coccodrillo di maniera quanto piuttosto il tentativo di ricostruzione di una personalità il cui percorso politico è stato, a detta di molti, contrassegnato da luci e ombre ma in cui, nella mia personale esperienza, le luci hanno di molto sopravanzato le ombre eventuali.

Ho avuto conoscenza diretta di Luciano Ordile agli inizi degli anni ’80. Nel 1980 avevo partecipato al primo concorso indetto dall’Assessorato Regionale dei Beni Culturali per l’attribuzione di quattro borse di studio nel settore dei Beni Etno-antropologici. Grande fu la mia sorpresa quando, a concorso non ancora espletato, venni contattato dalla sua Segreteria per apprendere che l’Onorevole mi chiedeva di recarmi da lui che intendeva conoscermi. Fino a quel momento non mi ero ancora reso conto che “l’Onorevole” era anche l’Assessore del dicastero che aveva indetto il concorso. La nostra conversazione fu breve e al contempo cordiale, mi resi conto che l’uomo intendeva guardarmi in faccia e farsi un’idea della mia persona. Gli parlai del lavoro che svolgevo (direttore di un gruppo privato di scuole) e degli interessi che fin dagli anni universitari coltivavo in ambito antropologico: laureatomi in Filosofia con una tesi di argomento antropologico-culturale, avevo già al mio attivo un libro su Ernesto de Martino e qualche articolo. Ordile si rese conto, ne ebbi netta impressione, che io fossi tutt’altro dall’essere un democristiano, ma altrettanto chiaramente – mi fu chiaro – che la cosa non gli interessava più di tanto.

Di tale “indifferenza” rispetto alle mie tendenze politiche, assai distanti dalle sue, ebbi ulteriore conferma allorquando, una volta vinto il concorso e dopo l’anno di Borsa vissuto presso l’Università di Messina, sostenni un secondo – impegnativo – concorso finalizzato all’assunzione in Regione quale Dirigente tecnico-scientifico antropologo, risultando primo tra i quattro vincitori del primo concorso del genere bandito in Sicilia, me lo ritrovai come Assessore fortemente intenzionato a valorizzare proprio il settore cui ero preposto, certamente attraverso un approccio non scientifico ma in ogni caso presto mostratosi estremamente rispettoso di quello da me praticato: non indulgere agli aspetti “folkloristici” ma tenere conto della grande vitalità delle forme di cultura popolare, materiali e immateriali, ancora esistenti nel territorio isolano, e assumerle rifuggendo da narcotizzanti logiche da Mulino Bianco e viceversa valutandole quali lacerti di anime nascoste e rimosse della Sicilia da recuperare criticamente per la costruzione di una identità possibile. In ciò mi favoriva la nuova normativa in tema di Beni Culturali, proprio da lui portata a compimento.

Ordile infatti aveva avuto il merito, dovuto alla sua straordinaria lungimiranza politica, di farsi promotore di leggi regionali che ampliavano le categorie di beni culturali meritevoli di tutela e conservazione, inserendo tra quelli tradizionali di natura archeologica, architettonica, storico-artistica e libraria anche i beni etno-antropologici e quelli naturali e naturalistici. Da qui derivava anche una piccola rivoluzione copernicana in seno alle Soprintendenze siciliane, trasformate da organi settoriali volti alla tutela di un solo ambito e con competenza pluriprovinciale a Soprintendenze “uniche” provinciali, articolate in Sezioni tecnico-scientifiche volte a dispiegare sul territorio della provincia di competenza uno sguardo che tenesse conto dell’incredibile palinsesto di realtà e di saperi offerto dalla Sicilia, dialogando l’una con le altre senza barriere o rigidi steccati disciplinari. Utilizzando, in una maniera virtuosa mai più verificatasi in seguito, la propria autonomia la Sicilia di Ordile, attraverso le leggi regionali 80/1977 e 116/80, riuscì a ridisegnare l’amministrazione dei Beni Culturali operando di fatto un radicale capovolgimento rispetto al vecchio ordinamento del Ministero nazionale.

L’Assessorato che alla fine degli anni ’70 aveva dunque iniziato gloriosamente il suo percorso virtuoso sotto la guida di quest’uomo, offrì alle comunità isolane quella che non ho avuto timore a definire una “primavera”, una politica dei Beni Culturali rimasta esemplare anche a detta di sguardi esterni e che per oltre due decenni venne considerata anche nel resto d’Italia un’esperienza all’avanguardia in grado di abbandonare i criteri selettivi ed elitari della vecchia legislazione statale, che nelle Soprintendenze tematiche frammentava in compartimenti stagni i beni culturali nazionali e addirittura ne valutava l’interesse attraverso una loro differente collocazione gerarchica. Di tutto ciò, dico di una concezione risalente agli anni del Fascismo, Luciano Ordile, proveniente da un piccolo villaggio messinese, era riuscito a rilevare l’inadeguatezza. Lui, democristiano di lungo corso, si mostrava parimenti interessato alla cultura figurativa “alta”, quella di Antonello e di Caravaggio, e agli elementi di cultura popolare ancora vitali e registrabili in Sicilia. Sono innumerevoli le mostre da lui promosse, in particolare nella provincia suo principale serbatoio elettorale, riguardanti aspetti della cultura popolare legati al lavoro, alle attività produttive, ai momenti cerimoniali e rituali, al gioco, al teatro.

In ambito regionale, come Assessore, ebbe la capacità di circondarsi di Direttori Generali e di alti funzionari di straordinaria competenza e capacità organizzativa. Chi, come me, ha vissuto quegli anni, non potrà non ricordare con nostalgia figure come quelle di Alberto Bombace, di Maria Teresa Currò, di Nicola Cusumano. Figure tutte che, Assessore Luciano Ordile, hanno scritto la storia dei Beni Culturali in Sicilia.

Nella istituzione dei previsti Consigli Regionali o nella scelta di consulenti cui affidare la supervisione di grandi eventi Ordile, anziché riempire tali organismi con persone a lui politicamente vicine (o addirittura con ascari disposti a vendersi al primo offerente, come oggi va di moda) non ebbe esitazione alcuna a circondarsi di esperti come Leonardo Sciascia, Antonino Buttitta, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo, Vincenzo Tusa, Giuseppe Bellafiore e altri di pari calibro. Pare fantascienza ricordarlo oggi.

Dopo il suo allontanamento dalla politica attiva, risalente forse a una ventina d’anni, non ci siamo più incontrati. Ma non è trascorsa da allora una sola volta senza che in occasione dei miei onomastico e compleanno la sua voce affettuosa giungesse dal telefono per farmi gli auguri, come se ci fossimo lasciati il giorno prima.

Questo è stato Luciano Ordile, certamente un politico di razza, ma di una razza alquanto più avveduta di quella della gran parte dei politici che popolano i tristi paesaggi odierni. Certamente non un intellettuale come un altro grande politico messinese, Giuseppe Campione, ma un uomo in grado di intuire cosa veramente avrebbe potuto fare il bene della sua isola. Un po’ nazionalpopolare è stato certamente il suo modo di approcciarsi ai fatti culturali, ma anche di tale sua personale equazione, nei tempi alquanto bui che attraversa la Sicilia, non posso oggi fare a meno di provare tanticchia di nostalgia.

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