Se è vero che ogni favola ha il suo castello, quella del Mish Mash Festival ha tutte le carte in regola per rendere i sogni solide realtà: un panorama mozzafiato, tra Isole Eolie all’orizzonte e i colori avvolgenti del tramonto, principi e principesse tra chitarre e synth, un museo che racchiude i segreti del mare e quell’atmosfera magica, tra lucine e stelle cadenti, che ti fa percepire che tutto può succedere. Questo perché dal 2016 l’Associazione Mosaico, nata dall’unione di tre diverse realtà locali, si impegna costantemente nel dar vita a quello che è diventato un appuntamento fondamentale dell’estate siciliana tra le mura del Castello di Milazzo. Sin dall’ inizio la dichiarazione d’ intenti del Festival era chiara: amore per la musica di un certo tipo e per il territorio. Il punto di forza della manifestazione, infatti, oltre allo svolgersi in una cornice naturale così bella e particolare, come quella di una cittadella fortificata medievale sul mare, è quello di rispecchiare il melting pot culturale dell’isola, in un mix di sonorità e forme d’ arte diverse, regalando al Festival un’identità unica e riconoscibile. Una realtà che è riuscita da sempre sia a giocare d’ anticipo individuando artisti emergenti che da lì a poco sarebbero esplosi in classifica, o avrebbero riempito gli stadi, sia capace di far arrivare in Sicilia tutta quella musica del panorama indie ed alternative indie, italiano e non, dal punk al rock, dall’ elettronica al dream pop e cantautorato, che difficilmente sarebbe passata dal qui, senza perdere mai di vista i talenti siciliani. Tra i protagonisti delle diverse edizioni, per tanto, Calcutta, Canova, Pinguini Tattici Nucleari, Cosmo, La Femme, Frah Quintale, Selton, Nada, Nu Genea, Alessio Bondì, Gazzelle, Rovere, Ariete e tanti altri. Dietro i nomi degli artisti, nazionali ed internazionali, che animano il palco del Mish Mash, così come dietro a tutto ciò che accade tra le mura del castello, ci sono circa 25 organizzatori, appassionati di musica o a loro volta musicisti, che insieme all’ aiuto prezioso dei tanti giovani volontari, che ogni anno arrivano da tutt’ Italia, fanno si che tutto funzioni alla perfezione. Tra loro Lucrezia Muscianisi, classe ’87, nata e cresciuta a Milazzo, che dopo la laurea in Architettura ha deciso di dedicarsi al mondo degli eventi e dello spettacolo e che, insieme al direttore artistico Gabriele Gaipa, è tra i fondatori del Mish Mash occupandosi principalmente della cura della direzione artistica. Con lei ripercorriamo la storia del Festival e cosa succederà dal 10 al 12 agosto per la sua nona edizione.
Com’ è iniziato il tuo percorso con il Mish Mash?
“Una sera tra amici ci siamo visti per bere una birra e chiacchierando abbiamo iniziato a riflettere sul fatto che ormai Milazzo, soprattutto per la nostra generazione, d’ estate offrisse ben poco. Così abbiamo buttato giù dei progetti e, successivamente, dato che la passione per la musica ci ha da sempre accomunati, abbiamo organizzato l’evento “Non dirlo a nessuno”: la location era bellissima, sul mare ma in mezzo al verde, nel giardino dell’ex locale Mediterranima, ospitammo Niccolò Carnesi ed altri artisti. Non ci fu una seconda edizione perché grazie a quest’ evento iniziammo a creare una prima mini rete sul territorio che ci portò a costruire le basi per il Mish Mash.”
Come nasce l’Associazione Mosaico?
“Il bar dell’evento che avevamo organizzato era stato gestito dal team del Santeria, ovvero Mario Giglio ed altri ragazzi, come Pietro Carbone e Toti Poeta, che appartenevano ad una generazione più grande della nostra e che già su Barcellona Pozzo di Gotto organizzavano concerti e musica live. Da qui e con loro nasce, quindi, il collettivo Milab e nel 2015 ci ritroviamo a chiedere al Sindaco di allora di poter organizzare un evento al Castello di Milazzo, ma l’evento non si organizza e si va incontro anche ad un cambio d’ Amministrazione. In tutto ciò veniamo a contatto con altre realtà che avevano fatto più o meno la nostra stessa proposta, ovvero i ragazzi che organizzavano il Falò degli Artisti Uniti, sul lungo mare vicino alla Madoninna tra Milazzo e Barcellona, ed un altro gruppo focalizzato prevalentemente sull’ organizzazione delle serate clubbing del Samparà. Decidiamo, quindi, di unire le nostre forze, per creare un evento ben strutturato e più grande di quello che ognuno di noi avrebbe potuto creare singolarmente, e ci uniamo nell’ associazione Mosaico che nell’ estate 2016 dà ufficialmente il via alla prima edizione del Mish Mash Festival nel Castello di Milazzo con Calcutta in line up.”
Come avete scelto il nome del Festival?
“Eravamo in una fase iniziale in cui stavamo ragionando tantissimo su chi eravamo, dato che siamo nati dall’ unione di tre entità diverse, ragionavamo su cosa rappresentava il castello di Milazzo, e quindi tutte le dominazioni e popoli che si sono alternati nei secoli, e soprattutto su cos’ è la Sicilia. Così un giorno Gabriele, che poi è diventato il direttore artistico del Festival, e che essendo italo-americano in quel momento era in America per un master, ha proposto Mish Mash proprio perché nello slang americano vuol dire calderone, miscuglio. Ci è piaciuto subito, anche perché già solo a pronunciarlo ci rimandava alle onde del mare”.
Con che obiettivi nasce il Festival?
“Nasce fondamentalmente con tre obiettivi: il primo, il più importante, era quello di provare ad andare a capovolgere un certo modus operandi, ovvero quello di evitare che i turisti, o tutti coloro che venivano da posti limitrofi, si limitassero a passare solo dal porto di Milazzo senza fermarsi a visitare sul serio la location. Abbiamo pensato soprattutto alle generazioni più giovani riflettendo, ad esempio, sul fatto che tantissimi ragazzi non erano mai entrati al Castello, ed allora abbiamo deciso di ovviare a questo fenomeno proprio con un evento musicale. Il secondo, non meno importante, era quello di far sì che tutti gli studenti, i giovani laureati, i giovani lavoratori fuorisede che tornavano a casa, ma non solo, anche chi era rimasto a vivere in Sicilia, potessero trovare durante l’estate, senza prendere aerei, treni, hotel, in un’unica rassegna tutti gli artisti che ascoltavano su Spotify, che nel resto dell’ Italia si esibivano all’ ordine del giorno e che da qui difficilmente sarebbero passati. Il terzo obiettivo era quello, infine, di creare una manifestazione tale per cui a un certo punto tutto il territorio ne fosse andato in qualche modo fiero, perché sarebbe stata riconoscibile e di conseguenza potevamo riuscire a far venire gente da fuori e far conoscere loro il territorio.”
Cos’è che definisce l’identità del Mish Mash?
“In questi nove anni il Mish Mash ha continuato ad essere, romanticamente parlando, un miscuglio di cose. A volte si crede che mischiare tante cose possa portare a qualcosa di indefinito e di caotico, quasi strano, ma noi, secondo me, siamo riusciti con questo miscuglio a dar vita al DNA del festival ed è proprio questo che lo rende riconoscibile. Se qualcuno dovesse definire il Mish Mash Festival abbinandolo a un solo genere musicale o ad una sola atmosfera, non ci riuscirebbe. Questa sua caratteristica lo rende unico.”
Cos’ è cambiato e cos’ è rimasto durante questi nove anni anni?
“Sicuramente le persone: da quando abbiamo cominciato ad ora, colonne portanti a parte, è vero che abbiamo perso dei pezzi ma se ne sono aggiunti altri e questo perché siamo riusciti a creare una community pazzesca di ragazzi e ragazze che vengono ogni anno, anche da fuori, per fare i volontari credendo nel progetto. Quest’ anno abbiamo tesserato una decina di persone che, dopo aver fatto i volontari per tanti anni, sono passati dal lato dell’organizzazione e questa è una bellissima evoluzione. Resta la voglia di fare il festival, anche se ogni anno è sempre più complicato. Resta la bellezza ed il brivido di vedere il Castello ed il palco illuminarsi durante la prima serata di ogni edizione. L’ anima del Festival, ovviamente, è sempre la stessa ma interfacciandosi con il territorio, con il suo target, con vari input, va incontro inevitabilmente ad una continua crescita e ad un continuo cambiamento. Pian piano, ad esempio, abbiamo dato sempre più spazio agli emergenti siciliani e della zona, cosa che inizialmente non c’era, anche grazie al contest che facciamo e all’ idea di dedicare la prima giornata alla Sicilia, nonostante un qualsiasi imprenditore direbbe che è una follia perché economicamente parlando non porta chissà che vantaggi ma secondo noi porta molto a livello di mission del Festival.”
Qual è una delle principali difficoltà per la musica dal vivo in Sicilia e soprattutto su Messina e provincia?
“La mancanza di spazi. Una delle cose per cui il nostro Festival ha senso di esistere, oltre a quella di far arrivare musica da fuori, è quella di fare in modo che le persone ascoltino anche musica locale di un certo valore. Mi riferisco a quella musica che non ha modo di esprimersi perché in Sicilia non ci sono gli strumenti e le possibilità che magari si hanno a Bologna, a Milano o a Roma. E questo perché, per l’appunto, sia che si tratti di musica che viene da fuori che di musica locale, in Sicilia abbiamo pochissimi live club, quattro massimo cinque. Uno di questi fortunatamente è il Retronouveau di Messina, live club che da sempre lavora con il massimo impegno e che per noi è stato di fondamentale importanza: là abbiamo ascoltato e visto un tipo di scena, che chi di noi viveva fuori magari già conosceva, che forse non avremmo mai scelto di portare se non l’avessimo così vissuta.”
Ci sono dei momenti che ti sono rimasti particolarmente impressi durante queste nove edizioni?
“Tantissimi, è difficile sceglierne alcuni. Il Castello di Milazzo è una location pazzesca, ma è anche una location molto difficile, fragile, noi prestiamo la massima attenzione nell’ allestire, montare e smontare e lo ripetiamo all’ infinito anche a tutte le band ed artisti. Ecco non scorderò quando i Rovere sono rimasti incastrati con il furgone davanti al portale del Castello, o l’emozione di California dei Coma Cose una volta salita sul nostro palco, Nada che con il marito decide di arrivare fin dentro al Castello in macchina passando tra il pubblico, o tutti gli artisti che poi si sono voluti fermare a fare il bagno di notte, ma è anche bello vedere che da noi si abbatte la distanza tra il pubblico e gli artisti e quindi te li ritrovi a seguire gli altri live tranquillamente accanto al banco regia.”
Cosa succederà nell’ edizione di quest’ anno?
“Sarà un’edizione particolare in attesa di festeggiare i 10 anni del Festival: riportiamo sul palco due artisti che abbiamo avuto in due momenti diversi dato che Giorgio Poi ha suonato praticamente ai suoi inizi e sul palco piccolo, mentre Marco Castello, con le sue sonorità mediterranee, suonò nell’ edizione del 2021 in cui per il covid ancora c’erano molte restrizioni. Sono secondo me due bei ritorni con due sonorità diverse tra loro ed attualmente sono tra i migliori nel panorama italiano. Il mix molto italiano che abbiamo scelto quest’anno sarà un viaggio sonoro in crescendo: ci sono i Dov’ è Liana che uniscono al loro modo di cantare in italiano l’elettronica francese, Joan Thiele e le sue sonorità un po’ brasiliane, okgiorgio e tanti altri. E anche quest’ anno, come sempre, abbiamo cercato di fare in modo che il Castello sia contenitore e contenuto del Festival, quindi ospiteremo altre forme d’ arte oltre alla musica, tra installazioni, performance e Museo del Mare, e non mancherà una particolare attenzione verso il mondo della grafica. La collaborazione con Andrea Sposari, infatti, iniziata tre anni fa, ci regala un tocco unico e molto particolare.”
Qual è il tuo P.S. (Post Scriptum)?
“La nostra scelta di organizzare il Festival in luogo culturalmente di spessore, un luogo che viene ritenuto quasi museale, è data dal fatto che vorremmo far capire che luoghi del genere non vanno messi sotto una campana di vetro ma si possono vivere. I luoghi di cultura, proprio come il Castello, si possono vivere nel vero senso della parola anche attraverso forme culturali diverse, ed è giusto poter anche sperimentare. Se non si può sperimentare, se resta tutto fermo e piatto, la creatività non cresce e non si sviluppa e diventiamo tutti più poveri. Quando abbiamo iniziato l’avventura del Mish Mash c’ erano veramente pochi festival in Sicilia, pian piano sono fortunatamente aumentati di numero e mi auguro che possano aumentare anche i live club. La musica solo in estate non basta, la musica non è solo una forma d’ arte ma è anche un’economia e va tutelata. È importante avere più spazi, più luoghi dove si possa ascoltare musica.”