Maria Andaloro, classe 1970, oltre a svolgere l’attività di orientatrice, occupandosi dell’inserimento socio lavorativo degli stranieri ospiti nelle strutture di accoglienza e che si rivolgono al Polo Sociale di Messina, con la cooperativa Medihospes, è l’ideatrice e promotrice della campagna Posto Occupato e di tutte le iniziative ad essa collegate. “Al suo posto avrei potuto esserci io”: una frase che ogni donna ha pensato almeno una volta nella vita ascoltando in tv e leggendo sui giornali notizie relative a femminicidi, abusi e violenze di vari tipi. Ed è così che Maria Andaloro ha ideato nel 2013 “Posto Occupato”, un’iniziativa che in dodici anni da Rometta Marea ha attraversato tutte le città d’ Italia, coinvolgendo Istituzioni, Associazioni ed Enti, luoghi pubblici e privati, dai teatri, agli stadi, alle sale comunali, fino alle Università, agli studi medici e ospedali. Un’ azione semplice ma dal forte impatto concettuale: occupare simbolicamente un posto a sedere con un cartello che illustra il logo ed espone l’obiettivo della campagna, un posto vuoto a simboleggiare chi avrebbe potuto occuparlo e non può più. Quel posto, così, sarà per sempre riservato a tutte quelle donne che avrebbero voluto, potuto e dovuto essere presenti ma che non ci sono più. Un’ assenza-presenza, una memoria tangibile, ma soprattutto un segno e un monito silenzioso, una voce per chi non ha più voce, per urlare forte e chiaro di non sottovalutare mai e poi mai i sintomi della violenza. Una campagna, virale e gratuita, dunque, che da quel momento non si è più fermata, contro la violenza di ogni genere e con l’obiettivo principale di contrastare la violenza attraverso iniziative di sensibilizzazione e, quindi, di prevenzione, mantenendo alta l’attenzione nei confronti di un fenomeno, come quello per l’appunto della violenza sulle donne, che si configura come una piaga sociale che sovrasta, ormai, l’emergenza. Crescono sempre di più, infatti, i casi di cronaca nazionale e locale che ruotano attorno ad episodi di violenza di ogni tipo, da quella psicologica, a quella verbale, passando per quella economica, fino al femminicidio. E chissà quanti episodi restano nell’ ombra perché chi li subisce non ha ancora la forza o il coraggio di parlarne. Dall’ inizio del 2025 ad oggi solo in Italia si registrano undici femminicidi, e nel corso degli anni sia la Sicilia che Messina sono state scenario inerme e impotente di donne uccise per mano del proprio compagno: da Rosalba Tedesco nel 1985 ad Omayma e Stefania Ardì nel 2015, Alessandra Immacolata Musarra nel 2019, Lorena Quaranta nel 2020, Bonina Butto nel 2023, Sara Campanella nel 2025 e tante altre ancora. E proprio nella città dello Stretto, inoltre, dal 2023 ad oggi il Questore di Messina, sulla base di un’attenta attività istruttoria svolta dalla Divisione Anticrimine, ha adottato 144 provvedimenti di ammonimento per atti persecutorio e/o violenza domestica. Forse di violenza se ne parla ancora troppo poco, nonostante se ne parli molto di più rispetto agli anni precedenti, o forse, a volte, se ne parla in modo poco corretto e incisivo. Parlare di violenza fa paura, ma è indispensabile dato che ancora, purtroppo, nonostante tutto, non sempre la violenza la si sa riconoscere. E riconoscerla, ma soprattutto riconoscerla in tempo è fondamentale. Così come è fondamentale condividere, perché la condivisione fa sentire meno soli e meno sbagliati, dato che la violenza logora chi la subisce portando non solo ad una grande solitudine ma a tanti cambiamenti radicali del proprio essere e della propria vita. Ma bisogna, soprattutto, capire che la violenza è un problema che riguarda non solo chi l’ha subita e chi la subisce ma l’intera comunità che gli ruota accanto. Serve un lavoro di educazione, di sensibilizzazione e prevenzione, un lavoro svolto quotidianamente e non solo dopo lo scossone provocato dal tragico evento mediatico, serve un lavoro coraggioso, consapevole, inclusivo e amorevole come quello che Maria Andaloro porta avanti con “Posto Occupato”.  

Cos’ è Posto Occupato?  

“Posto Occupato è un’idea, un dolore, un pensiero, un gesto concreto dedicato a tutte le donne vittime di violenza: uniniziativa nata per sensibilizzare, prevenire e contrastare, ogni giorno, la violenza sulle donne. 

Si tratta di “Riservare” un posto ad una donna, vittima di femminicidio,che non c’è più. “Quel” Posto Occupato è per ricordare SaraCampanella, la giovane studentessa morta ammazzata a Messina il 31 marzo 2025, ma anche Ilaria, Giordana, Lorena, Roberta, Eligia, Pamela, Sandra, Omayma, Giulia e tutte le altre migliaia di donne uccise.  Tutte donne che non potranno mai più vivere la vita che avevano scelto, né svolgere la propria professione. È uniniziativa per occupare fisicamente e in modo permanente una sedia, una poltrona, uno scranno, un sedile. Ci sono posti occupati in tutta Italia, dai contesti che ospitano le Istituzioni fino ai privati. Ci sono posti occupati incinema, teatri, scuole, consigli comunali, provinciali e regionali, Università, tribune sportive, sale d’attesa di studi privati e ospedali. Posti per ricordare che lì poteva e doveva esserci una donna che invece è stata uccisa. Un posto per ricordare a tutti che la violenza va fermata da sin da subito. Sin dai primi sintomi che tutte e tutti dovremmo saper identificare per poter riconoscere la violenza, contenerla, contrastarla efermarla. La violenza è una responsabilità sociale, tutti dobbiamo farcene carico, ogni giorno e quel posto serve proprio come monito. Memoria e invito a non sottovalutare, a non ignorare, a non girarsi dall’altra parte.” 

 

Quando, come e perché hai deciso di dare vita alla campagna di Posto Occupato?

Posto Occupato nasce il 29 giugno del 2013 a Rometta Marea. Ho scelto Rometta Marea per il primo posto perché dai dati emersi una donna su tre è vittima di violenza e, di conseguenza, ho pensato che nel mio pianerottolo sicuramente ne viv, o forse sopravviverà, una e allora tanto valeva cominciare da casa mia. La parte visuale della campagna la devo alla mia amica e grafica Maria Grazia Di Gennaro, in arte Magra, che mi ha ascoltata a lungo: ed è così venne fuori quella locandina. Locandina che tutti possono scaricare gratuitamente e stampare dal sito, disponibile in diverse lingue. Un “posto occupato” con una descrizione netta del perché lì ci fosse una locandina e non una donna. Posto occupato è, dunque, un gesto concreto dedicato a tutte le donne vittime di violenza. Ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un ex, un amante, uno sconosciuto decidesse di porre fine alla sua vita, occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana, nella società. Questo posto vogliamo riservarlo a loro, affinché la quotidianità non lo sommerga. Per non dimenticarle e per sensibilizzare e invitare alla riflessione tutte e tutti. Ogni giorno. Non potevo, non volevo solo indignarmi e addolorarmi e poi dimenticarmi che ad una donna era stata negata la libertà e la vita, era stata cancellata. Dodici anni fa come adesso, per l’appunto, studiavamo la modalità più efficace per poter esprimere il concetto di assenza-presenza, memoria e monito.  Il primo posto occupato è avvenuto il 29 giugno, distante dal 25 novembre proprio per la necessità di sollevare nel quotidiano il problema della violenza di genere che, se non fermata in tempo può far male, può sfociare sempre col femminicidio. La violenza sulle donne non è un’emergenza come spesso erroneamente viene definita, non è un incidente, ma un enorme problema culturale e strutturale.  Accade quando uno o più reati colpiscono le donne in quanto donne: comportamenti e azioni che negano la loro autonomia e indipendenza, che non riconoscono la libertà di scelta, che considerano il possesso una forma di amore, la gelosia un metro per valutare il legame e la violenza un linguaggio per comunicare i “sentimenti”. Sono le relazioni “tossiche” che non possono emergere solo quando arrivano i lividi, tra l’altro, anch’essi, spesso nascosti. Ecco cosa era necessario fare, raccontare che c’è molto da fare prima di arrivare all’irreparabile, primache quel posto diventi vuoto. È di fondamentale importanza non dimenticare, passato il momento di sgomento, proprio quelle donne cherisparivano fra le mura di quelle case che le avevano viste protagoniste delle loro storie di vita e di morte: figlie, madri, sorelle, colleghe, vicine di casa che sparivano dalla società e che rappresentavano il fallimento di tutti. E tutto ciò perché non eravamo arrivati in tempo, purtroppo troppo spesso non arriviamo in tempo. E il fattore tempo è determinante.

 

Spesso si è portati, erroneamente, a pensare che tu sia la referente di Posto Occupato in Sicilia quando, invece, ne sei l’ideatrice e fondatrice.  

Si sì, non mi stupisce. Lo credono in molti. La campagna è nata sul web, libera e gratuita e si è diffusa velocemente e in modo sorprendente.  Mi capita di dire che è diventato un esperimento sociale. Differenze notevoli fra sud e nord. Ho vissuto in questi anni spettatrice entusiasta per la forza del messaggio che porta e tutte le iniziative collegate. Ma anche episodi spiacevoli poiché la libertà e la gratuità ha lasciato pensare, a non pochi, che se ne potesse fare ciò che si voleva, interpretando e utilizzando gli sforzi, la creatività, la storia, la vita, il pensiero profondo di persone che stanno dietro l’iniziativa. Mancando di rispetto alla campagna (e quindi a me e a quelle persone). Sono sempre voluta rimanere dietro la campagna e non davanti per non personalizzarla o rischiare che si pensasse che fosse uno strumento personale e non un obiettivo sociale. D’altronde, fra i complimenti più belli è stato definire Posto occupato un “gesto politico”. Ricevere il premio come difensore dei Diritti Umani da Amnesty International emozionante. Vedere “quel” posto nella Sala Nassirya al Senato, o a Lampedusa, come a Bolzano, o in tribuna allo stadio Barbera. Quando mi chiedono qual è il posto preferito dico che non c’è: hanno tutti lo stesso valore perché è quello che rappresentano che ha valore, non dove è “occupato”. Ma non posso negare che vederlo, nel 2016, grazie alla senatrice Amati, nella sala Nassirya, in un luogo dedicato a uomini morti in guerra, non mi abbia fatto effetto. Ricordo l’emozione dei compagni di scuola di Sara Di Pietrantonio, vittima di femminicidio a Roma, lo scorso novembre la senatrice Barbara Floridia lo ha rinnovato ed è stato altrettanto emozionante. D’altronde le donne vittime della violenza vivono una guerra contro la loro identità, volontà e libertà.

 

Non esiste una forma sola di violenza: se ne parla abbastanza e nel modo più corretto? La violenza la si sa riconoscere? 

La violenza sulle donne ha radici lontane e si manifesta attraverso un linguaggio violento, che si trasforma in comportamenti violenti fra restrizioni, costrizioni, controllo, abusi, maltrattamenti. Violenze fisiche, psicologiche, economiche e sessuali. Ferite e cicatrici. Quella cultura della violenza, la cifra del possesso, la determinazione nell’esercitare potere che si ferma, troppo spesso, con l’eliminazione, la morte. Secoli di cultura patriarcale fra pregiudizi, stereotipi e discriminazioni. Penso alla violenza assistita, una delle più feroci, che divora l’identità della donna/moglie/mamma e colpisce, per sempre, in modo devastante i figli, spettatori indifesi.  Violenze che finiscono col femminicidio. Se ne parla sicuramente di più, ma non abbastanza altrimenti la cronaca ci racconterebbe altro. Ripeto ai giovani che incontro nelle scuole di non farsi mai dire cosa fare, chi incontrare, cosa indossare, a che ora tornare e come truccarsi perché è l’inizio del controllo e dell’esercizio di potere. La libertà è un diritto non una concessione e se, fin dall’inizio di una relazione, qualcuno non rispetta i vostri gusti, i vostri spazi, non gradisce i vostri amici, non riconosce le vostre scelte, non ha sicuramente interesse per i sentimenti ma ambisce al controllo e quindi al possesso e la violenza è già iniziata. Mai compiacere, mai come si dice, “togliere l’occasione” per non avere discussioni. Il confronto e il rispetto dell’altro sono indispensabili per non avere inevitabili conflitti in futuro.” 

 

Quali sono le attività principali di Posto Occupato?  

Oltre alla campagna principale che procede in autonomia, poiché basta scaricare la locandina e collocarla ovunque avrebbe potuto esserci una donna vittima di femminicidio, sono numerose le iniziative svolte: singoli progetti con scuole o Enti e/o aziende pubbliche e private, una su tutte, per esempio, “Franca e le altre”. Nel 2012 conobbi Franca Viola ad Alcamo. Un incontro indimenticabile, la donna che aveva contribuito col suo “NO” al cambiamento della storia dei diritti di tutte le donne. Capii che non tutti sapevano chi fosse e così un progetto con l’USR, e col sostegno di Caronte & Tourist, consentì a me e Serena Maiorana di girare le Sicilia con un camper e raggiungere, con un camper, nove istituti superiori nelle nove province per far conoscere Franca, la sua storia e quanto è necessario riconoscere i segnali della violenza per poterla evitare. Vennero somministrati un migliaio di questionari e ne furono restituiti oltre 700 e rilevammo una serie di indicatori che dimostravano la necessità di informare sia sulle diverse forme di violenza ma soprattutto a chi rivolgersi in caso di necessità. Penso alle iniziative nelle università, su tutte quelle dell’Università di Messina e che adesso la magnifica Rettrice Giovanna Spatari continua a portare avanti nel solco tracciato dalla nostra amatissima prof.ssa Cocchiara. E poi c’è la mostra “Violate”, 10 tavole che rappresentano 10 fra le modalità di come può essere esercitata la violenza che Lelio Bonaccorso donò a Posto Occupato, quale suo contributo al contrasto della violenza e che da undici anni vengono esposte in scuole, università, spazi comunali, teatri da Bolzano a Noto da chiunque le chieda. Illustrazioni che servono per parlare di violenza col linguaggio mediato del fumetto, molto vicino ai giovani. Il mio tempo libero, le mie ferie le uso per incontri e prediligo quelli con i giovani nelle scuole. Parlo con loro ma, soprattutto, li ascolto e da loro imparo e capisco quanto è necessario questo scambio generazionale, quanto siano indispensabili i loro punti divista e le loro esperienze per contrastare la violenza, di ogni genere, anche agita attraverso i nuovi strumenti (social), col loro linguaggio, nel loro tempo. In questi anni, anche grazie alla mostra “Violate”, gli insegnanti e i loro contributi abbiamo fatto esperienze bellissime. Importantissime. 

 

Credo fortemente che fin quando la violenza resterà solo e soltanto una questione relativa alla vittima questo fenomeno non cesserà mai di esistere.

In questi anni ho visto molti cambiamenti, lenti ma ci sono stati. Occorre fare di più, meglio, ogni giorno e insieme. Non far sentire le donne sole. Occorre comprendere che non si deve arrivare alla violenza fisica per valutare la gravità del caso. La violenza psicologica, quella economica sono un tunnel di sofferenze indicibili, che spesso sfociano nella violenza domestica e assistita, e a pagare l’incapacità di riconoscerle ci sono i figli, oltre alla donna in prima persona. Continuare a fidarsi e affidarsi alle istituzioni che spesso si trovano al centro del dibattito della cronaca, ma si ignora o sottovaluta il lavoro che svolgono quotidianamente, in silenzio per riserbo nelle indagini e la privacy dovuta alle vittime. Educare, formare e informare per prevenire. Per arrivare in tempo.

 

Tre aspetti da non sottovalutare e da tenere a mente quando all’interno di una relazione si può essere in pericolo. 

Il mancato rispetto, in pubblico e in privato. La limitazione della libertà. Mai aggrapparsi al <<mi ama troppo>>, mai giustificare o peggio nascondere/coprire eventuali comportamenti sopra le righe/aggressivi. 

O ti rispetta o non ti rispetta. O ti ama o non ti ama. L’amore, per definizione, non fa male. Mi piace molto la parola “reciprocità”. Penso all’imbarazzo generale quando dico che, anche all’interno del matrimonio/convivenza, se non si ha voglia di avere rapporti sessuali occorre che venga rispettata la scelta. 

E capisco che non si ha contezza che “consenso” è un’altra parola chiave. Subire un rapporto sessuale è violenza sempre, con chiunque, è stupro. E c’è sempre qualcuno che lo trova “esagerato. Il “consenso” non riguarda gli estranei.

 

Spesso passa il concetto che solo denunciando la violenza subita questa possa risultare concreta e riconosciuta dagli altri. Non tutte le persone però per svariati motivi ricorrono alla denuncia. Esistono vittime meritevoli e non meritevoli?  E cosa resta finite le fiaccolate, finite le manifestazioni? Cosa si dovrebbe continuare a fare nella vita di tutti i giorni per contrastare la violenza?   

La violenza è una ferita. Che sia psicologica, verbale, economica, fisica, sessuale lascia sempre cicatrici.  Tanto più profonda quanto si è impreparate e in ritardo nel riconoscerla. È necessario lavorare insieme, ogni giorno, sull’educazione, sulla formazione e informazione. Educare anche a prevenire la vittimizzazione secondaria perché, ahimè, troppo spesso c’è chi sta lì pronto col ditino a giudicare e sentenziare: “chissà cosa gli ha fatto?”, “chissà come era vestita”, “che ci faceva a quell’ora in quella strada”, “perché si è ubriacata?” e via così fra pregiudizi e stereotipi. Le vittime che subiscono la violenza, spesso,nella solitudine decidono fra paura e “vergogna” di non denunciare. Non ci sono vittime meritevoli e non meritevoli. Una violenza impatta nella vita di una donna e “sposta” ciascuna donna in un modo diverso. Ricordo una ragazzina che, durante un incontro, chiese quale fosse peggiore fra la violenza fisica e quella verbale, chiesi alla dirigente di avvicinarsi, le dissi che non c’era una unica possibilità poiché, ad esempio, era possibile che a me facesse più male la violenza verbale e alla sua dirigente la violenza fisica (e viceversa). 

Tutto era relativo alle nostre vite, alle nostre esperienze, alla nostra educazione e al vissuto che ci portano ad elaborare e sopportare quanto accade in modo diverso. Non tutto il male è “fisico”. Cito la frase di Gisèl Pelicon, la donna francese che per anni fu sedata dal marito e fatta stuprare da decine di uomini “La vergogna deve cambiare lato”, e nel 1966 lo disse con altre parole Franca Viola a 17 anni: “L’onore lo perde chi le fa certe cose non chi le subisce” e ancora “Io non sono proprietà di nessuno”. Ecco, questa è la rivoluzione. Dovremmo, credo, essere più veloci.”


Qual è il tuo
P.S (Post Scriptum)? 
 

La violenza è un problema culturale.  La violenza è una responsabilità sociale.”  

  

La locandina si scarica gratuitamente e liberamente dal sito (disponibile in più lingue) così il sito 

www.postoccupato.org  

Per ulteriori informazioni  

info@postoccupato.org

Troverete ascolto, supporto e aiuto:

112

1522 numero nazionale

Messina

CeDAV Centro Donne Antiviolenza. Contatti: 3452630913 (chiamate, sms e WhatsApp);

e-mail a cedav@virgilio.it; Facebook CEDAV Onlus

 

Messina

Evaluna Onlus risponde sia su invio delle chiamate dal 1522 che direttamente h24 al numero 3476993034 disponibile anche su WhatsApp e messanger

Villafranca Tirrena

UNA DI NOI Onlus Il centro antiviolenza: l’accoglienza telefonica al numero 3426239473.

Capo d’Orlando e Brolo

Pink Project

0941054182

3478987147

San Piero Patti

La Clessidra

3311641974

Barcellona P. G.

Frida Onlus

3279879516

Roccalumera

Al tuo fianco

3296235252

C.I.R.S.(09040820) Messina

112

1522 il numero nazionale gratuito attivo h24

https://www.1522.eu/

 

Quando fare una telefonata può essere più difficoltoso se non pericoloso, l’app diventa fondamentale.

La segnalazione arriva all’ufficio di Polizia in modalità geolocalizzata e consente di conoscere in tempo reale il luogo e i dettagli degli eventi.

Disponibili due utilissime App:

Youpol

https://play.google.com/store/apps/details?id=it.poliziadistato.youpol

Where are you

https://play.google.com/store/apps/details?id=it.Beta80Group.whereareu

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
meno recente
più recente più votato
Inline Feedbacks
View all comments