MESSINA. Ventiseiesima puntata (qui le altre puntate) della rubrica che spiegherà ai messinesi perché il rione, il quartiere o la via in cui vivono si chiama come si chiama: un tuffo nel passato della città alla ricerca di radici linguistiche, storiche, sociali e culturali, che racconta chi siamo oggi e perché.

ZAFFERIA: casale a meridione di Messina, tra Pistunina, Tremestieri, le colline di San Filippo superiore e di Larderia, è uno dei ventisei aldea y casal por la parte de Mediodia elencati, tra il 1622 e il 1625, dal regio storiografo Antonino Amico (1891), casale più noto fino in epoca recente con il termine “forìa”. Con tale nome, oggi desueto, derivato dal tardo greco chorìon (forìon), erano chiamati i tanti villaggi della cinta periurbana di Messina e con l’appellativo “furioti”, che utilizza il tipico suffisso in -oti degli etnici di radice greca, erano indicati i loro abitanti*.

Il toponimo Zafferia (etnico zaffiroti), come proposto da Giovan Battista Pellegrini (1972), Girolamo Caracausi (1993) e, di recente, da Lucia Abbate (2008), identifica un termine della tarda grecità, assimilato poi dalla lingua araba, indicante un fitotoponimo. Un nome di luogo, pertanto, determinato dalla presenza di una pianta, che segnava la coeva presenza, in quel territorio, della pianta erbacea dello zafferano, il “crocus sativus” dai caratteristici fiori violacei e dagli stimmi rossi: «Zaffarìa [dial. Zzaffarìa] deriverebbe da ar. Zà’farān, sic. zzafaràna “zafferano”, forse attraverso il greco “Zafarìa”. Potrebbe quindi trattarsi di un originario Zafarìa, col suffisso –ias che indica giusto l’abbondanza di una certa vegetazione […]». L’aggiunta del suffisso –ia non è rara nei toponimi derivati da nomi di piante. Si confrontino, ad esempio, alcuni fra i tanti: cardìa, cardeto; castanìa, castagneto; giammarìa riferito al fogliame delle palme nane; lumìa, limoneto; scordìa, campo coltivato ad agli; zagarìa, che rimanda ai giardini di zagare, i fiori dell’arancio. L’origine del nome di Zafferìa/Zaffarìa è identica a quella dei più noti toponimi Zafferana Etnea (Peri 1953, 1956; Pellegrini 1972), Zafferano (capo), promontorio nei pressi di Solunto nel palermitano e di Zafarana (foresta), tra Nebrodi e Peloritani, nel territorio di Castroreale.

Le origini di Zafferia si legano all’arcivescovo Nicolò, rettore della Chiesa messinese dal 1166 al 1183, che concesse, nel 1176, terreni a quanti, coloni e braccianti, fossero andati ad abitare in quella contrada alla sola condizione che corrispondessero un “terratico” (in base ai contratti dei fondi agricoli il cui canone veniva pagato in natura) di frumento, orzo, ceci e lino. Da quel primo nucleo di case coloniche si andò strutturando il casale. La contrada tuttavia sarebbe stata abitata già in epoca araba come proverebbe, oltre l’etimo Zafferia, l’insistenza dei toponimi Monalla che, a parere degli arabisti, rimanderebbe alla locuzione amān allāh, “la sicurezza che viene da Dio” e Cuba “edificio coperto da una cupola”.
La cura spirituale degli abitanti fu inizialmente sostenuta dal clero greco della regola di san Basilio che vi insediò sia la devozione per san Nicola di Myra con la dedicazione di due chiese, a Zafferia e a Pistunina, quest’ultima alla confluenza del torrente con il Dromo, sia i culti prettamente bizantini di Santa Sofia e di Maria Odigitria. Nella prima metà del ‘600 ai Basiliani subentrarono i Cappuccini che vi rimasero fino al 1866 allorché vennero soppresse le corporazioni religiose.

Della primigenia chiesa di san Nicolò si ha notizia in un documento del 1308 pubblicato da Pietro Sella in “Rationes Decimarum Italiae” (1944). Il sacro edificio, di fondazione basiliana, era a unica navata e sorgeva su di un poggio prospiciente l’attuale abitato. Ricostruito sul finire del XVII secolo a tre navate, fu impreziosito da alcuni altari fastosi per tarsie marmoree policrome. Sul portale della chiesa si leggeva: SANCTE NICOLAE // PROTEGE // INGREDIENTES HUC// ANNO MDCLXX, “Proteggi, o Santo Nicola, coloro che entrano in questo [luogo]. Anno 1670”. Il sacro edificio, gravemente danneggiato nel sisma del 1908, venne nuovamente fondato, tra il 1927 e il 1930, sulla sponda opposta del torrente là dove si andavano edificando la gran parte dei caseggiati.

Zafferia è nota per l’indizione dell’Anno Santo e per il rarissimo culto di santa Sofia venerata in Sicilia soltanto a Sortino e a Ferla nel siracusano. Ambedue le tematiche hanno un particolare significato religioso, antropologico e storico.
L’antica devozione per santa Sofia è segnata dalla presenza di un dipinto che la raffigura (cm. 163 x 76,5) collocato nella parrocchiale proveniente dall’antica chiesa di san Nicolò rovinata nel 1908 e indicata ancora, popolarmente, “la chiesa vecchia”. Messo in relazione con la cultura di Salvo D’Antonio e accostato all’attività del cosiddetto Maestro del polittico di Castroreale (Campagna Cicala 2013), il dipinto è stato posto per le precarie condizioni, negli anni ’70 del secolo scorso, a un restauro che ha visto anche il trasferimento dall’originario supporto ligneo alla tela. Dell’opera rimane oggi solo la parte centrale che, in origine, era fiancheggiata da sei quadretti con scene della vita della santa (La Corte Cailler 1905). Sofia, la Sapienza di Dio, è delineata nei canoni della tradizione devozionale popolare che la raffigura nelle vesti di una giovane donna avvolta in un ampio mantello e coronata da due angioletti. La figura si erge isolata e monumentale su di un primissimo piano descritto negli arbusti e nei sassi che caratterizzano “un paesaggio che si snoda tra rocce e costruzioni turrite fino a perdersi nelle azzurre montagne” a fronte di un cielo luminoso e terso (Campagna Cicala 2016). Sofia regge con la mano sinistra un libro, simbolo della “Sapienza Divina” che identifica e spiega lo stesso suo nome, e con la mano destra la palma del martirio.

Riguardo l’Anno Santo, l’evento, straordinario poiché si ripete solo tre volte ogni cento anni, si ripete quando il sabato di Pasqua coincide con la festività del 25 marzo. L’Annunciazione della Santissima Madre di Dio e sempre Vergine Maria è una delle maggiori solennità dell’anno liturgico bizantino. Per antica tradizione non viene mai differita anche se coincide con il venerdì o il sabato Santo o con la stessa Pasqua. Quando domenica di Pasqua cade il 25 marzo, il giorno dell’Annunciazione, la festività è chiamata Kiriopàsca, la “Grande Pasqua”.

L’Anno Santo di Zafferia è accostato alle Grandi Indulgenze di Lione e di San Giacomo di Compostela, le uniche due città che godono di un simile beneficio. Il privilegio pare che rimandi alla figura di Giovanni Francesco de Lignamine, archiatra del pontefice Sisto IV, da alcuni autorevoli storici ricordato invece non come medico ma come prestigioso tipografo. Nativo di Zafferia, vi è tradizione che abbia curato il pontefice da una grave malattia e per questo gratificato con la concessione della Grande Indulgenza: lo ricorda una epigrafe marmorea, staccata dalla chiesa settecentesca e murata su di una parete della sacrestia della nuova parrocchiale, che riporta il “Breve” del 9 febbraio 1817 con cui il pontefice Pio VII confermava “in perpetuo” la concessione dell’Anno Santo e l’Indulgenza Plenaria a quanti visitassero la locale chiesa di san Nicolò. Riguardo De Lignamine, forse laureatosi a Catania in “Arti e Medicina”, ovvero in Filosofia, Medicina e Chirurgia, possibile chiave di lettura è che abbia esercitato ambedue le arti: quella di medico e quella di tipografo. È pur vero che la lettura di De Lignamine raffinato e colto tipografo, è sostenuta da un’ampia e valida bibliografia.

Nel secolo scorso la Grande Indulgenza dell’Anno Santo di Zafferia è stata celebrata il 25 marzo 1967, 1978, 1989: ve n’è una esauriente cronaca nella stampa cittadina del tempo. Gli Anni Santi del XXI secolo saranno celebrati il 25 marzo del 2062, 2073, 2084.

* La chiesa di S. Nicolò di Myra nel casale di Zafferia. La Grande Indulgenza in San Nicola nel Valdemone tra memoria e devozione, Atti del Convegno di Studi, Messina 4 dicembre 2010, a cura di C. Micalizzi – D. Macris, Messina 2011, pp. 89-110.

 

Parte del contributo  già pubblicata dall’autore sulla rivista “Messina Medica 2.0”

A cura di Carmelo Micalizzi, medico e scrittore. Classe 1953, ha pubblicato un centinaio di saggi, articoli e contributi sul territorio dello Stretto. Particolare riguardo ha dedicato alla Toponomastica storica peloritana e alla Storia della Fotografia messinese (dalle origini al 1908). Ha dato alle stampe due monografie su Antonello da Messina (2016, 2018). Cura la rubrica “Questioni di Lingua” per «Messina Medica 2.0», rivista on line dell’Ordine dei Medici della Provincia di Messina.

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Grazia
Grazia
29 Marzo 2020 10:04

Molto interessanti gli articoli pubblicati su Facebook e relativi al territorio della città di Messina per quanto riguarda le origini lessicali e storiche dei suoi rioni.