MESSINA. Ventottesima puntata (qui le altre puntate) della rubrica che spiegherà ai messinesi perché il rione, il quartiere o la via in cui vivono si chiama come si chiama: un tuffo nel passato della città alla ricerca di radici linguistiche, storiche, sociali e culturali, che racconta chi siamo oggi e perché.

GESCAL. Acronimo di (GEStione CAse per i Lavoratori): appena superando il Villaggio Aldisio, prendendo la lunga e tortuosa strada che giunge a “San Giovanello” subito a destra attira l’attenzione un agglomerato di piccole palazzine aggregate secondo un curioso disegno ordinato, è il quartiere delle “Case Ges.Ca.L.” Un piccolo rione fatto di piccoli blocchi edilizi a forma di parallelepipedi coperti con tetti a falde areati che si incastrano tra loro come tanti “tetramini”. Un “Tetris” che produce un disegno urbanistico singolare dal quale derivano le strade e gli altri spazi interni ad un’area di circa due ettari vagamente pentagonale che lambisce con uno dei suoi vertici il torrente Gazzi, oggi coperto dalla bretella autostradale che si propaga dalla tangenziale.

Si tratta di piccole tipologie abitative economiche a tre elevazioni fuori terra più piano seminterrato. Blocchi regolari da tre appartamenti messi in comunicazioni da interstiziali corpi scala di raccordo. Gli involucri esprimono la stessa concezione modulare del disegno urbano. Il telaio portante in cemento armato posto in evidenza disegna i prospetti suddividendoli in campate quadrate. Uno scheletro esterno tipico della cifra neorealista del secondo dopo guerra che ha caratterizzato tutta l’architettura popolare italiana.

La composizione dei prospetti e il ritmo dei pieni e dei vuoti sono declinati con il modulo del quadrato, che va dal sovra multiplo dell’impronta in pianta al quadrato delle campate sino al sottomultiplo dei quadratini che disegnano le scacchiere dei corpi scala, dei parapetti delle finestre, di quelli dei balconi, interni al profilo dei prospetti, e dei pannelli a griglia che nascondono i locali di servizio. Le finestre incorniciate da esili paraste suddividono le campate in spazi sempre modulari. Tutti i campi pieni sono intonacati e colorati, almeno in origine, di giallo ocra, che insieme all’azzurro delle tapparelle e alle regolari geometrie conferisce agli involucri un gradevole vago atteggiamento neoplasticista, De Stijl.

Si tratta della tipologia che caratterizza gran parte degli interventi della Ges.Ca.L. in territorio nazionale, concepita come modello e cifra tipica dell’istituto dall’architetto Michele Valori, figura preminente nel novero degli architetti neorealisti italiani.  Fu uno dei progettisti del Quartiere Tiburtino Ina Case di Roma insieme a Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni, di cui fu uno dei più significativi epigoni. Fu anche uno dei fondatori dell’APAO (l’Associazione Per l’Architettura Organica) capeggiata da Bruno Zevi, oltre ad essere il fratello della famosa attrice Bice Valori. A Messina progetto il villaggio U.R.R.A.. Di lui si sa che progettò le case Ges.Ca.L. di Catania, mentre di quelle di Messina, non avendo certezze ufficiali, possiamo solo dire che la tipologia è quella da lui concepita e che in esse si intravede la sua mano e il suo estro minimalista ma attento nel disegno che aggrega i blocchi edilizi.

Il sottostante Villaggio Aldisio, come raccontato in una precedente occasione, fu uno dei più significativi interventi di edilizia economica e popolare operati in Sicilia dall’INA Casa nell’ambito del Piano Fanfani intitolato, ad imperituro ringraziamento, all’allora ministro dei Lavori Pubblici e leader della DC in Sicilia Salvatore Aldisio.

Nel 1962 venne emanata dal parlamento italiano la legge 167, una delle leggi più umanistiche della repubblica, che incentivava la realizzazione di quartieri di edilizia economica e popolare attrezzati di standard urbanistici efficienti. Standard che hanno anticipato quelli dettati dal D.M. 1444 del 1968 che riguardano ogni espansione urbana. La nuova norma obbligava i Comuni a realizzare dei piani attuativi specifici, denominati P.d.Z. (Piani di Zona), con i quali avrebbero dovuto disegnare, nel dettaglio, i nuovi quartieri delle città, prevedendo oltre che agli edifici residenziali tutte le necessarie urbanizzazioni primarie e secondarie per un’organica espansione dell’abitato, con particolare riguardo agli edifici scolastici, ai servizi sociali e al verde pubblico.

Essi dovevano contenere dal 40% al 70% dell’edilizia residenziale dimensionata dai P.R.G.. Queste prescrizioni erano sostenute da una efficace disciplina sull’esproprio di aree private per fini pubblici, quali la realizzazione dei suddetti dei Piani di Zona. Con questa struttura la legge imponeva una visione socialista di quello che oggi chiameremmo, con lessico urbanistico nuovo, “governo del territorio”, e rafforzava il principio base della scienza urbanistica per il quale il P.R.G. e tutti i sui strumenti derivati sono finalizzati a far prevalere l’interesse pubblico su quello privato, per uno sviluppo armonico della società e per la tutela degli equilibri ecologici.

L’anno successivo l’I.N.A. Casa, venne liquidato con la Legge 60/1963. La stessa legge, in sostituzione del Piano Fanfani, introdusse un nuovo programma di costruzioni di alloggi per lavoratori di durata decennale le cui risorse economiche erano attinte da un fondo all’uopo istituito che fu denominato con l’acronimo Ges.Ca.L. (GEStione CAse per i Lavoratori). La Finalità di questo fondo era di: “Costruire, gestire e dare in affitto o in vendita a riscatto a prezzi modici e modalità agevolate, case per i lavoratori”. Il fondo si autofinanziava prelevando direttamente una quota dagli emolumenti di tutti i dipendenti italiani pubblici e privati (0,35%) e dai profitti delle imprese (0,70%). Le quote venivano integrate da contributi governativi.

La Ges.Ca.L., finanziava la realizzazione di quartieri per lavoratori dipendenti da enti statali, quartieri per dipendenti di aziende private, cooperative di lavoratori autonomi ed elargiva mutui per la ristrutturazione o la realizzazione di singole case per lavoratori che già disponevano di beni ed aree edificabili di proprietà. Era un’istituzione bicefala che operava attraverso due organismi direttivi: il “Consiglio d’Amministrazione” che era nominato dal partito di maggioranza (La D.C.) e il “Comitato Centrale” nominato dai partiti d’opposizione (P.C.I. e P.S.I.).  Di fatto fu un organismo di gestione politica che aprì la strada alla stagione delle cooperative edilizie gestite dai partiti.

La Ges.Ca.L. opererà all’interno dei P.d.z. fino al 1973, anno in cui verrà soppressa. Ma nonostante la soppressione il contributo continuò ad essere prelevato dagli stipendi dei lavoratori, inspiegabilmente, fino al 1992. Al 31 dicembre 1998 ammontavano a più di 200 miliardi di lire. Una piccola parte fu stornata a favore delle strutture di recupero per tossicodipendenti, la gran parte finì nei meandri della Cassa Depositi e Prestiti e nella disponibilità delle Regioni di cui si ignora l’utilizzo. Da qualche parte, quindi, ci dovrebbe essere un tesoretto dormiente, che farebbe molto comodo all’impellente bisogno di nuovi alloggi per il risanamento delle aree urbane degradate, specie a Messina.

Il Quartiere Ges.Ca.L. di Messina disattende tutti i principi della L.167/62, riguardo agli standard urbanistici.

E’ privo di servizi essenziali come scuole e centri d’assistenza sociale, niente attività commerciali, niente verde, niente spazi di socializzazione, niente asili nido, niente casa per anziani, nessun bar, nessuno spazio di relazione, nessuna piazza. La piazza è il giornalaio e la fermata dell’autobus. Le botteghe, solo un chiosco emporio, sorto in un’area di sfrido, che vende pochi generi di prima necessità.

Vi è solo un giardinetto impervio, poveramente attrezzato con un campo di bocce, qualche misero gioco per bimbi e due tavoli fissi in cemento che aspettano un’improbabile partita a briscola da parte degli anziani.  Ha l’aria di essere nato dalla solerzia di qualche abitante che poi ha abbandonato l’impresa o di essere qualche svogliata operazione preelettorale, lasciata ovviamente a consenso raggiunto e consegnata presto all’incuria e al degrado. Di altro c’è un brullo e superato campo di calcio di recente realizzazione. Il quartiere è tranquillo ma privo di spazi comuni. Chi ha disegnato quel Tetris si è scordato di disegnare una piazza. 

I pochi spazi determinati dalla geometria urbana presto sono stato privatizzati, annessi agli aderenti alloggi ai piani rialzati e traformati in garage, giardini e orti privati. Interrogando chi ha vissuto o vive il quartiere non emerge nessun genius loci strutturato, nessuna storia comune, solo un quartiere di transito, quieto, fatto di gente laboriosa e tranquilla, ma chiusa in casa e senza una forte identità comune. I destinatari degli alloggi furono lavoratori operai di enti statali, che poterono col tempo riscattare gli alloggi.

Il resto è un quartiere dove chi vi abita si trova nella perenne condizione di essere esule di quel luogo. Un quartiere alieno, all’interno di una popolosa periferia, un quartiere dormitorio che vive la sua vita sociale da sempre o in parrocchia o altrove. Una vita trascorsa sull’autobus. Una vita ad aspettare l’autobus. Una vita di tempi morti che sono la vera fatica del vivere, che abbattono ogni processo motivazionale.

Chi abita e chi ha abitato quel quartiere è un vero eroe sociale. Un cristo che si è sopportato e si sopporta la croce degli inganni di una sedicente democrazia avara di uguaglianza. Ragazzi per cui la scuola, lo sport, lo svago, il tempo libero, la socializzazione costa il triplo della fatica dei loro coetanei meglio ubicati sul territorio. Per loro tutto non può che avvenire altrove. Il quartiere Ges.Ca.L. è un universo di cittadini, operai, oggi in gran parte pensionati, ai quali, a suo tempo, è stato riconosciuto il diritto alla casa ma non quello alla socializzazione.

Le case Ges.Ca.L. di Messina sono il riconoscimento di un diritto che è costato, e costa fatica. Sono il rischio di un’alienazione che al tempo del digitale accentua i suoi effetti negativi su coloro che vi abitano.

(a cura di Carmelo Celona)