Pare che Messina stia rinunciando ai grandi concerti, nella fattispecie quelli di Tiziano Ferro e Ultimo, anche se mettere questi due nomi uno accanto all’altro non rappresenta la mia attività preferita. Considerato che questa amministrazione sta dando ai due eventi bene o male la stessa attenzione che il governo concede ai concerti medio-piccoli, quelli che diciamo fanno suonare un discreto 80% di band nei club in giro per l’Italia, quelle stesse band e club che ad oggi brancolano nel buio perché cascasse il mondo se qualcuno avesse speso mezza parola per rassicurarli, la playlist odierna sarà incentrata su questo, sui concerti da vedere “adesso” che sono più accessibili (target dai 300 ai 3000 posti circa) perché, quando si ripartirà, quando si potrà stare tutti in una sala a urlare verso il soffitto, vi voglio tutti sotto palco a perdere la voce.

The Streets – Call my phone thinking I’m doing nothing better (feat Tame Impala)

Alcuni lo conosceranno per un brano in cui tuffarsi quando si viene mollati, quella straordinaria Dry your eyes che resta tra le top nella sua categoria, ma in questa quarantena si è rifatto vivo anche Mike Skinner, ai più noto come The Streets. Un mesetto fa il primo singolo dal nuovo lavoro (None Of Us Are Getting Out Of This Life Alive, in uscita il 10 luglio—annunciato anche feat degli IDLES quindi godicchio), pochi giorni fa anche un altro pezzo, Where the F*&k did April go, e la sensazione che Skinner sia tornato per restare. La scrittura è sempre fluida e ficcante, e in Call my phone eccetera troviamo anche Tame Impala con un grande ritornello e la voce di Parker che si sposa benissimo con quella di The Streets.

Fast animals and slow kids – Come conchiglie

Un annetto fa usciva Animali notturni e i fan di vecchia data dei Fask non la prendevano bene. Immaginate, quindi, la reazione davanti a un pezzo senza batteria, scritto e registrato in tempi di Covid, in un momento storico in cui per Aimone e soci era più importante il cosa che il come. Eppure, Come conchiglie è un brano malinconico e nostalgico, in cui i dubbi nascono legittimi sulla condizione umana, uno dei marchi di fabbrica del songwriting della band perugina, ma la confezione non soddisfa alcuni tra quelli che vorrebbero sentire chitarre, chitarre, solo chitarre. A me Come conchiglie piace, non lo nascondo, perché affrontare i dubbi insieme è più semplice e ci rende ancora più umani.

Our Lady Peace – Made to heal

Siamo uomini e non macchine, per cui ripeschiamo questo brano di inizio anni zero degli Our Lady Peace tratto da Spiritual Machines, concept album liberamente ispirato a The age of spiritual machines, libro di Ray Kurzweil in cui si andava ad affrontare il distopico scenario di una società futura comandata da macchine non solo intelligenti, ma capaci di provare emozioni. Molly viene creata con questa finalità, ma specie in giorni come questi, in cui si calcola quanto può valere la vita di una donna per le tasche di un italiano, forse vorremmo tutti essere dei robot per evitare di provare vergogna per condividere con loro la stessa razza, quella sulla carta umana.

Willie Peyote – Oscar Carogna

Forse aveva ragione Willie, che c’aveva visto lungo nel 2014: Non è il mio genere il genere umano, e questi ultimi giorni sono sempre più convincenti in tal senso. La grettezza di paragonare il denaro alla vita umana è una carognata come poche altre ne abbiamo viste nella nostra esistenza. Non esiste discussione al riguardo, questa grettezza fa venire l’orticaria. Non serve aggiungere altro.

Fontaines DC – A Hero’s Death

Ci siamo ripromessi in queste settimane di non abbandonarci allo sconforto, non lo abbiamo fatto quando la morte ci bussava alla porta e proviamo a non farlo neanche ora che a strisciare non è un virus ma la malvagità congenita nel dna umano, per cui ci scrolliamo tutto via con il nuovo singolone dei Fontaines DC; questi giovani irlandesi, tanto bravi quanto a tratti scazzati, sono in rampa di lancio e il loro nuovo disco, se rispetterà le aspettative fortemente wave di questo primo estratto, sarà una bomba atomica. Una di quelle belle, che ti fa scatenare sotto palco per poi girarti verso la persona al tuo fianco e farti pensare la fortuna di averli potuti vedere nonostante un governo miope che si dimentica dell’esistenza di questa spina dorsale della cultura.

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