All’inizio doveva diventare bellissima. Parlo della Sicilia, nelle promesse elettorali di Nello Musumeci, l’attuale conducator della nostra Isola.

Già fin d’allora nutrivo seri dubbi sulla possibilità che tale roboante proclama potesse inverarsi, con uno che si alleava con Miccichè e con i politici più rottamati e riciclati della storia siciliana, dall’Autonomia in poi. Unica – ancorché ridotta – consolazione era la presenza in Giunta di uno studioso serio e preparato come Sebastiano Tusa, cui affidavo in cuor mio almeno la buona gestione dei Beni Culturali, il settore nel quale si è dispiegata la mia lunga esperienza lavorativa e che sempre più mi si rivela come l’unica risorsa che potrebbe emancipare l’isola dal sottosviluppo che da sempre la connota.

Almeno con Sebastiano, riflettevo tra me, il “diventerà bellissima” potrebbe avere un senso; e facevo voti affinché a questo caro ex collega fosse permesso di operare a dispetto dell’Amministrazione e della compagine politica nella quale si trovava.

Sappiamo bene com’è andata a finire. La sorte, strappandocelo anzitempo, non ha permesso che Sebastiano Tusa improntasse delle sue idee, della sua capacità, della sua lungimiranza il dicastero dei beni culturali. E la responsabilità di questo dicastero è ritornata al Governatore, che incautamente se l’è attribuita ad interim.

Incautamente? Direi piuttosto furbescamente, atteso che nel giro di poche settimane Musumeci ha adottato provvedimenti che fanno a pugni con la logica e il buon senso, ma che comportano per lui e i suoi sodali la possibilità di praticare l’eterna attività delle nomine “a cazzo di cane”.

La famigerata Legge Regionale 10/2000, che unificava le dirigenze mettendo tanto i tecnici che gli amministrativi in un unico indistinto calderone (una notte hegeliana in cui tutte le vacche sono nere….) ci aveva abituati a vedere dirigenti amministrativi preposti a strutture tecniche come Biblioteche, Musei, Parchi Archeologici. Una sorta di todos caballeros de noantri.

Al nostro Conducator questo non è bastato. A lui occorreva consumare fino in fondo la confusione delle lingue e accelerare la dissoluzione del settore, in vista – presumibilmente – di un futuro accorpamento dei Beni Culturali al Turismo. Un accorpamento che quando avrà luogo sarà niente di più e niente di meno che un’assimilazione, posto che ormai nel quadro mentale dei nostri politici i Beni Culturali appaiono essere nient’altro che merci, da mettere in vetrina a fini di lucro.

Ecco dunque l’ultima, estrema novità. Nelle recentissime nomine promosse al Dipartimento dei Beni Culturali è avvenuto che dirigenti tecnici siano stati preposti a strutture amministrative, tenendo in non cale decine di anni di studi, di esperienze, di professionalità maturati nel settore di competenza.

Faccio solo un esempio preso a caso, e poi chiudo per correre a prendermi un Plasil Enzimatico (potente antivomito). Poniamo che ci sia uno storico dell’arte, bravo, valido, appassionato al suo lavoro e seriamente intenzionato a svolgerlo nel migliore dei modi a vantaggio dell’Amministrazione. Bene, arrivano le nomine, e costui si ritrova a occuparsi di personale, di bilanci, di fogli presenza, di riunioni sindacali, di fattispecie cui non avrebbe pensato minimamente allorquando ha affrontato e superato un concorso per Storici dell’Arte!

Che ne dite? Ci troviamo nel Paese di Bengodi? Nella Repubblica (pardon, Regione) delle Banane? Io suggerirei piuttosto (per deformazione professionale) in un mondo alla rovescia di gran lunga più rovesciato di quelli, descritti con rara efficacia, da Giuseppe Cocchiara.

Tant’è. Dovremo abituarci a vivere in questo universo “a testa sutta e pedi all’aria”. Almeno fin quando una società civile degna di questo nome non si deciderà a mandare a casa i barbari che oggi dettano le regole.

L’aveva già compreso Søren Kierkegaard più di un secolo e mezzo fa, nel suo Diario:

La nave è ormai in mano al cuoco di bordo. Quello che trasmette il microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.

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gloria
gloria
5 Settembre 2019 9:35

Cui prodest scelus, is fecit.