coronavirus test

 

MESSINA. A Messina si somministrano troppo pochi tamponi per l’analisi della positività al contagio da coronavirus. Così come in Sicilia. E così come in tutta Italia. Perchè? Per una serie di motivi, che vanno da precise scelte, a oggettiva scarsità nel reperire il materiale necessario per i test, fino alla “saturazione” dei laboratori, che non riescono ad assicurare tutti gli esami necessari. Una  circolare ministeriale del 3 aprile ha chiarito che se la capacità dei laboratori che analizzano i test è limitata (come nel caso italiano), i tamponi vanno fatti ai pazienti che rientrano in categorie prioritarie (ricoverati, operatori sanitari a rischio, pazienti più fragili) e che “tutti gli altri individui che presentano sintomi possono essere considerati casi probabili e isolati senza test supplementari”.

In Sicilia, al 5 aprile ne sono stati somministrati 22mila, che hanno permesso di scoprire 1994 infezioni da covid-19: un dato inferiore al 10%, che pone l’isola nella parte bassissima della percentuale di contagi rispetto al numero di test in Italia.

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Su cinque milioni di siciliani, i 22mila tamponi somministrati sono molti o pochi? Una domanda alla quale non è semplice rispondere. In assoluto sì sono pochi, e per una scelta precisa, (anche ministeriale) quella cioè, avendo a disposizione risorse limitate, di privilegiare tre categorie ben specifiche: casi sospetti, i rientrati dal 14 marzo ed il personale sanitario, in ottemperanza con le indicazioni di ministero della Salute Istituto Superiore della Sanità, che hanno raccomandato di fare i test a tutti i pazienti che presentavano sintomi sospetti. Nonostante questo, la Sicilia è regione “virtuosa: in una regione che conta però casi di contagio enormemente superiori come la Lombardia, i tamponi vengono fatti in larga parte soltanto ai pazienti così gravi da richiedere un ricovero in ospedale, e a migliaia di casi sospetti meno gravi (ma non per questo asintomatici o molto lievi) il tampone non è stato fatto.

All’inizio della crisi, a fine febbraio, in Sicilia i laboratori autorizzati erano solo l’ospedale Cannizzaro di Catania e il Civico Palermo, oggi sono diventati venti: motivo per il quale il numero dei tamponi somministrati ha iniziato a crescere al ritmo di praticamente mille al giorno a partire dal 20 marzo (e non 500, come ha affermato, senza citare alcuna fonte, il sindaco di Messina Cateno De Luca tre giorni fa). A Messina, unica provincia in Sicilia con tre laboratori in strutture pubbliche, ad analizzare i risultati dei tamponi ci sono Policlinico, Papardo, Cutroni Zodda, e il laboratorio privato di biologia molecolare Lifegene, autorizzato il 3 aprile nell’ultima “tornata” di strutture private scelte dalla Regione e unico a Messina e provincia. In tutto sono arrivate, da tutta l’isola, solo 14 domande (perchè il test a livello molecolare sono in grado di eseguirlo solo pochissimi laboratori). “Una responsabilità che nello stesso tempo ci rende fieri del risultato ottenuto e della professionalità che ci ha riconosciuto la Regione, e che potremo mettere al servizio dei messinesi”, spiega Francesco Lanza, amministratore di Lifegene.

Poi c’è la scelta “obbligata” di eseguire pochi tamponi, che deriva dalla difficoltà, che in questo momento ha tutto il mondo, di reperire il materiale per i test, soprattutto kit di estrazione dei reagenti, che nelle quantità attualmente disponibili consentono di analizzare soltanto una parte dei tamponi che si potrebbero processare. Attualmente, la domanda di test da somministrare si aggira intorno ai… nove miliardi, dal momento che la pandemia è globale e tutti i paesi del mondo hanno le stesse necessità. Ovviamente, questo si scontra con la scarsità della materia prima, perchè nessun laboratorio o multinazionale farmaceutica ha in magazzino o la capacità di produrre un numero così incredibilmente elevato di metariale per i kit, dato che fino a due mesi fa non se ne presentava neanche lontanamente la necessità. E infatti, nel bando che la regione ha emanato per la ricerca dei laboratori privati da autorizzare ad analizzare i test, era specificato che fossero indicati il numero di tamponi e di reagenti di cui avrebbero potuto disporre (e di quanti ne avrebbero potuti avere in tempi brevissimi).

In più c’è una spietata concorrenza tra stati e governi. Il presidente degli Stati uniti d’America Donald Trump ha per esempio disposto di finanziare con un milione di dollari due società, per accaparrarsene per primo i frutti,  per accelerare lo sviluppo e la produzione dei test che permettono la diagnosi del Covid-19: la DiaSorin , che riceverà 679 mila dollari, e la Qiagen, due tra i maggiori colossi del settore.

Come funziona un test? Sostanzialmente con la “Reazione a catena della polimerasi (Pcr)“. Si inizia con il “tampone”: strofinandolo in bocca, sul tampone rimangono cellule provenienti dall’epitelio faringeo. Attraverso passaggi chimici, tramite kit, si procede all’estrazione dell’rna (acido ribonucleico) totale di tutte le cellule. Se è presenta il virus, rimarrà “incastrato” tra le cellule. Il passo successivo è la “amplificazione” per capire se c’è rna del virus o meno. Se c’è’apparecchio realtime ha delle sonde che emettono fluorescenza, il segnale attraverso il software aumenta, e rappresenta la “positività” al test. Il lavoro grosso sta alla base: attraverso il deposito delle sequenze del dna e studi bioinformatici, del coronavirus, si è passati al “disegno” delle sonde, cioè i filamenti di dna marcati dalla fluorescenza che, se è presente il virus, lo riconoscono attraverso passaggi chimici.

Tecnicamente, per effettuare un singolo test e avere risultati attendibili, occorrono dalle tre alle sei ore dall’arrivo del tampone, all’estrazione del dna fino alla conclusione della procedura di analisi ed al risultato: un laboratorio, al massimo della capacità lavorativa, è in grado di processare mediamente poco più di un centinaio di test al giorno.

E questo è il motivo per il quale è semplicemente impossibile pensare di poter sottoporre a tampone tutta la popolazione. Anche potendo assicurare l’analisi di ventimila test al giorno (materiali permettendo), il che è già un’ipotesi irreale al limite con la fantascienza, per poter somministrare i tamponi a tutti i siciliani ci vorrebbe un anno.

 

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Eugenio Campo
Eugenio Campo
6 Aprile 2020 10:47

Complimenti per l’articolo. I testsono un argomento intorno al quale tutti scrivono e nessuno informa veramente, anche perchè i dati bisogna andare a cercarli, oltre il bollettino giornaliero della Protezione Civile. Mi permetto di aggiungere un ulteriore elemento che sarebbe auspicabile venisse affrontato: la validazione dei laboratori. In particolare il ruolo di ISS e OMS.

Blacky
Blacky
6 Aprile 2020 11:33

Tamponi effettuati 18 giorni fa a personale medico entrato in contatto con uno degli sciatori ed ancora si aspetta il risultato. 😐

Mario L. I.
Mario L. I.
12 Aprile 2020 12:47

Complimenti per l’articolo e l’approfondimento. Volevo evidenziare che facendo il calcolo di quanti campioni si fanno ogni giorno, stranamente alcuni giorni risultano il doppio di quanti i laboratori possono effettuare. Possiamo capire come mai?