Quante notizie in questo scorcio di anno passato e in questo scorcio di anno nuovo!

La piazza leghista che fischia un galantuomo come il nostro Presidente Mattarella (che, a proposito, giusto quarant’anni fa – il 6 gennaio – perdeva un fratello ucciso dalla mafia). Una donna di colore piange la figlioletta morta e qualcuno si disturba pure a sentire quei pianti (“da selvaggia”). Un barbone muore assiderato e qualche sciacallo si premura di bruciare la panchina che gli serviva da casa, così, tanto per manifestare un’esigenza di doverosa profilassi. Il nostro Papa Francesco, il mansueto Papa Francesco che sta rivoluzionando la Chiesa, reagisce con uno sacrosanto scatto d’insofferenza a una fedele idiota che lo strattonava come se fosse un flipper, e quel tontolone di Salvini (sì, proprio quello che gira con rosari e presepi e sprizza odio da tutti i pori) si permette di scimmiottarlo quasi a volerne mostrare le contraddizioni. Una manifestante No Tav viene arrestata all’età di 73 anni, mentre i responsabili di stragi, di uccisioni, di milionarie ruberie pubbliche, di stratosferiche evasioni fiscali, di ferocia pura contro persone inermi vengono considerati “in attesa di giudizio” e lasciati ai domiciliari a godersi le comodità domestiche. E, tanto per chiudere, Berlusconi che racconta barzellette. Lui, che è una barzelletta vivente….

Troppa follia, troppa ferocia, troppa mancanza di giustizia, troppo ridicolo. Come commentare tutto ciò? Io non ci riesco davvero.

Se mi volgo a un contesto a me più vicino, malanova !, il panorama non è poi tanto diverso, semmai vagamente farsesco ma altrettanto triste. Tra gli aspetti che mi hanno colpito in queste settimane messinesi ne cito solo uno, quello degli usi sbagliati della piazza. Che si sia trattato di Piazza Cairoli per il Natale, o di Piazza Duomo per il Capodanno, abbiamo assistito al trionfo dello strapaese, poco consono per Messina, una città che sulla carta sarebbe tra le prime quindici in Italia. Sarebbe bastato scorrere i programmi festivi di altri centri, anche siciliani, per accorgersi che quando si fa festa si forniscono spettacoli differenziati, in grado di soddisfare le diverse fasce di utenza, e non solo i coatti. Ma è forse superfluo insistere ancora su una mutazione che è sotto gli occhi di tutti.

Passo ad altro (ma forse solo in apparenza), e mi cimento anch’io con “i cinque”, anche se stavolta non è tutta farina del mio sacco. Le cinque brevi riflessioni a proposito della “tragica illusione” dell’identità che seguono mi sono state infatti ispirate da Francesco Remotti, uno dei decani dell’antropologia italiana. Si tratta di riflessioni costruite a mo’ di aforismi. Ad alcuni dispiaceranno, in altri susciteranno addirittura stupore e scandalo. Molti intellettuali messinesi (quelli inebbriati di messinesità) forse non le capiranno neanche. Io ci ritorno spesso perché credo fermamente che dal travisamento del concetto di identità derivino molti dei mali che affliggono oggi il nostro Bel Paese.

Uno. Bertolt Brecht: “L’idea della razza è il tentativo di un piccolo borghese di diventare un nobile. D’un colpo solo si ritrova degli antenati cui può guardare con compiacimento, mentre guarda dall’alto in basso altri suoi simili. Noi tedeschi ne ricaviamo persino una specie di storia. Se non eravamo una nazione può essere che fossimo almeno una razza”.

Due. “I frutti puri impazziscono” (James Clifford). L’uomo non è un individuo ma un “dividuo”. La persona umana è fatta di relazioni, è una realtà sempre diversa e cangiante, si nutre e si arricchisce delle diversità con cui viene a contatto. La sua identità è multiforme, meticcia, variegata, cangiante, frutto dell’esperienza di altre identità, di altre storie, di altre memorie.

L’uomo non è un masso erratico, un’entità monolitica, è frutto invece delle relazioni che egli intrattiene non solo con gli altri “dividui” ma anche con il complessivo ecosistema in cui si trova immerso. Animali, piante, minerali. La natura tutta (ah, l’alchimia!).

Tre. Occorre essere consapevoli dell’esigenza di un cambiamento radicale di paradigma. Per ciò, occhio alla rivoluzione copernicana di Carlo Marx e di Sigismondo Freud. Non esiste un solo livello di realtà, quello visibile. Gli uomini hanno un inconscio. Gli uomini assai spesso contraddicono con la prassi le proprie teorie. Occorre dunque giudicarli non già in base a ciò che essi dicono ma in rapporto a ciò che essi fanno.

Cosa ha a che vedere questo con l’identità? Boh, fate un po’ voi…..

Quattro. Il Bruco e Alice si guardarono a vicenda per qualche tempo in silenzio; finalmente il Bruco staccò la pipa di bocca, e le parlò con voce languida e sonnacchiosa: “E tu chi sei?”. Non era un bel principio di conversazione. Alice rispose con qualche timidezza: “Davvero non lo saprei dire ora. So dirti chi ero, quando mi son alzata stamattina, ma da allora credo di essere stata cambiata parecchie volte”.

“Che cosa mi vai contando?” disse austeramente il Bruco. Spiegati meglio”. 

“Temo di non potermi spiegare”, disse Alice, “perché non sono più quella di prima, come vedi”. “Io non vedo nulla” rispose il Bruco. “Temo di non potermi spiegare più chiaramente”, soggiunse Alice in maniera assai gentile, “perché dopo esser stata cambiata di statura tante volte in un giorno non capisco più nulla”. “Non è vero!” disse il Bruco. “Bene, non l’hai sperimentato ancora”, disse Alice, “ma quando ti trasformerai in crisalide, come ti accadrà un giorno, e poi diventerai farfalla, certo ti sembrerà un po’strano, non è vero?”. “Niente affatto” rispose il Bruco. 

“Bene, tu la pensi diversamente”, replicò Alice, “ma a me parrebbe molto strano”. 

“A te!”, disse il Bruco con disprezzo, “Chi sei tu?”. 

Cinque. Senza una qualche forma di identità non si può vivere. Esistono infatti esigenze legittime di continuità, di radici, di coerenza, di riconoscibilità e distinguibilità…… Ma questo va bene solo se si tengono i piedi per terra, se l’identità la si coltiva solo un po’, consapevoli di tutto il resto. Quando da un po’ si passa alla totalità, allora si passa dalla normalità alla patologia.

L’identità “monolitica” è infatti una risposta esagerata e patologica a quelle esigenze. Una malattia del pensiero.

Quando questa malattia rimane confinata alla singola persona il problema è di natura psichiatrica. Quando investe intere comunità diventa, spesso tristemente, socio-politica. E anche etica.

Buon anno, compañeros!

 

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