Se dovessi istituire un rapporto di causa ed effetto tra la manciata di riflessioni sulla realtà che ho cercato di apparecchiare nelle puntate precedenti e le vicende della città in cui viviamo, dovrei sentirmi alquanto depresso poiché la mia voce nel deserto è servita solo a far piombare Messina in uno stato di degrado forse mai prima d’ora raggiunto.

Come a dire: più uno sciocco moralista strepita e ci ricama sopra con le sue metafore apocalittiche e più noi ci incaponiamo a sprofondare nel fango. A cosa è dovuto tutto ciò? Chi mi legge credo sappia ormai come la penso. È dovuto a difetto di democrazia, a storica mancanza del senso della storia, dello stato e della società civile, a pernicioso convincimento, proprio di nove messinesi su dieci, che quel che conta veramente nella vita sia farsi gli affari propri o della propria famiglia o del proprio clan mandando tutto il resto a farsi catafottere. Peccato che poi tutto questo “resto” sia, in realtà, ciò che fa dell’uomo un uomo, ciò che rende la vita degna di esser vissuta.

Un esempio?

Parliamo di barriere architettoniche. Esistono in questa città disabili che vivono in tuguri posti al terzo o quarto piano di brutte case popolari prive di ascensore. Queste persone, senza aver mai commesso reato alcuno, si trovano in pratica in una situazione peggiore di quella di Marcello Dell’Utri; essi infatti sono prigionieri dentro casa e non possono neanche sperare in un condono o in un differimento di pena (come di fatto è accaduto al summenzionato personaggio, agli arresti domiciliari da qualche mese), in quanto dal proprio corpo non c’è verso di evadere fin tanto che si campa. Cosa fa la società per costoro? Esistono leggi sull’abbattimento delle barriere architettoniche, norme statali, regionali, comunali; esistono associazioni professionali di ingegneri e di architetti, Enti Autonomi delle Case Popolari, Assessorati per i Servizi Sociali o sigle analoghe, tanto roboanti quanto inutili.

Cosa fanno i messinesi per costoro? Niente. È abbastanza palese, ad esempio, che infagottati nei nostri cappotti di egoismo non ci rendiamo neppure conto che occupando i marciapiedi con le nostre costose scatole di latta non consentiamo il transito di una carrozzella. Ma tanto, ognuno pensa, è giusto che ci sia un po’ di selezione naturale, e che diamine!, sono ormai diversi anni che la pubblicità e i politici si sforzano di farcelo capire.

Il difetto di democrazia, la mancanza di senso civico, il “buddacismo” dei messinesi rivela così la sua più intima essenza; lo scrivo con un filo di pudore, perché di queste cose non si parla di solito in pubblico. Si tratta fondamentalmente di un difetto di amore, di capacità di spendersi, in una qualche maniera, per un prossimo che non sia il compare della cordata di turno; una tanto grande miopia umana da farci a volte dubitare sull’opportunità di levar voce in un tale deserto.

Penso che a volte, oppressi come siamo dall’enormità degli eventi che attraversano la nostra storia collettiva e le nostre esistenze individuali, ci scopriamo di fatto incapaci di farci un’idea della realtà che corrisponda al vero più di quanto si affannino a testimoniarci le fatuità ciarliere quotidianamente propinateci dalla società dello spettacolo, del profitto e dello spreco.  Siamo come i prigionieri nella caverna del mito platonico, che danno corpo alle ombre e rimangono una vita intera (se non riescono a evadere) a coltivare idee illusorie su ciò che è reale.

Voi credete, ad esempio, che personaggi come Matteo Salvini esistano davvero; io sono convinto che, in realtà, essi siano molesti sogni che qualcuno, magari iniettandoci “à la Matrix” un siero allucinogeno nella placenta in cui siamo immersi, artificialmente provoca in noi al fine di indurci alla paranoia e al cupio dissolvi. È come se, dopo millenni dacché siamo scesi dagli alberi che nel Pleistocene costituivano la nostra permanente dimora, venissimo tutti presi dalla tentazione di gettare a mare millenni di storia e di conquiste umanamente umane per ripristinare lo stato belluino che (forse) ci contrassegnava.

Ma non voglio divagare. Avevo promesso omelia e omelia ha da essere.

https://www.youtube.com/watch?v=ByiYq95w34M

Ho sentito giorni or sono un bimbetto (credo messicano, di nome Brunito, in attesa di trapianto del rene) recitare il Padre Nostro con la sua voce appassionata, e ho pensato che veramente Gesù arriva innanzitutto per i piccoli e per i miti e umili di cuore, per i poveri in spirito i quali sono quelli che, spirito non avendone di proprio al contrario della maggior parte di noi, sono maggiormente disposti a farsi riempire da quello divino. Come possiamo recuperare il senso dell’Avvento e del Natale, se ormai da troppo tempo abbiamo distrutto in noi intere famiglie di sentimenti e di sensazioni e non sappiamo più dove recuperarle? Stiamo paghi di una nostra – intermittente – nostalgia ma non tentiamo alcun ritorno perché ci sfugge l’orizzonte.

Eppure dovremmo essere ottimisti e gioiosi. I teologi non ci hanno mai offerto una immagine attendibile di Gesù, presentandolo sempre preso dalla sua missione e proiettato verso la sua passione. Io credo invece che Egli sia stato allegro, felice, poeta, tollerante, accogliente, trasgressivo pur di essere vero, pur di esaltare il primato della persona umana, della dignità dell’uomo. Una religione che fa paura all’uomo è una religione falsa e la passione di Cristo vale solo a indicare che l’amore vince su tutto. La salvezza non è frutto della sofferenza, ma dell’amore disposto a superare qualunque ostacolo, anche la sofferenza. Per parte nostra, cerchiamo di essere consapevoli della nostra natura di fuscelli che cambiano dall’oggi al domani, dal mattino alla sera. Alla domanda del Bruco “Chi sei?”, Alice risponde: “Io … io … non saprei, signore, sul momento … per lo meno, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma credo di essere cambiata parecchie volte, da allora.” E chi di noi non potrebbe onestamente dire di sé la stessa cosa? Se è destino che recuperiamo una qualche via, non sarà certo per nostro merito.

Cosa auguro a noi tutti per questo Natale? Di mantenere purezza di cuore, ironia e senso del mistero. Di farci prendere da un incantamento, che è quello che sempre avvolge e attraversa il mondo di fronte al Dio che viene. Questo anno che finisce ci consegna un paese lacerato, più povero, velleitario, rumoroso e cialtrone, in qualche misura “virtuale”, attento solo alle apparenze e di fatto incurante della sostanza (le uniche sostanze a fare aggio essendo quelle personali).

Quarant’anni di televisione spazzatura e l’uso spregiudicato di enormi quantità di denaro hanno fatto sì non solo che una discreta quantità di italiani abbia smarrito la propria anima e la propria identità andando appresso a ilari quanto fatui imbonitori, sviluppando sentimenti di odio e ferocia mai prima d’ora espressi in tale misura, ma anche che un ceto politico, il quale nonostante tutto aveva mantenuto decoro e senso dello stato per circa un quarantennio, si sia prestato a gettare alle ortiche gli interessi legittimi di tutto un paese per difendere quelli, illegittimi, di una casta e dei suoi tristi pifferai.

L’anno che verrà….. già galoppa e ci chiama a scelte nuove e coraggiose. Cos’altro augurare, a me stesso povera canna al vento e ai quattro gatti che hanno avuto la compiacenza di seguirmi fin qui, se non che il protocollo delle nostre paure si trasformi nella mappa delle nostre speranze?

Così sia.

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