buche messina

MESSINA. La voragine che si è aperta venerdi pomeriggio tardi in via S. Agostino insegna: ci sono intere strade di Messina in cui tra la superficie e quattro, cinque metri di vuoto c’è solo un sottile strato di asfalto, una soletta e un tubo della fognatura. E nient’altro.

Il tubo che si intravede e che “consolida” la strada è una conduttura fognaria. Il sottosuolo è probabilmente stato eroso da perdite nelle tubature.

Non è la prima volta che la stessa strada, poco più a monte, si apre: anche perché al di sotto ci passa un torrente naturale che con le urbanizzazioni è stato “tombinato”. Nella stessa via S. Agostino, infatti, poco più sopra della fenditura di venerdi, nel 2009 se ne era aperta un’altra. Rattoppata alla bell’e meglio (oggi i lavori si sono estesi a tutta la parte di sottosuolo “mancante”), la buca si era riaperta qualche giorno dopo.

Perchè si aprono, queste buche? In pratica, lʼacqua “scava” il materiale terreo sotto il manto stradale, e lo rende “cavo”. Con solo una sottile soletta di cemento e asfalto, e quando va bene una rete metallica, che le strade si aprano è solo questione di tempo, e di peso dei veicoli che ci passano sopra. Il termine tecnico è “sifonamento”: lo svuotamento del sottosuolo a causa dellʼerosione dovuta a perdite nelle condutture, o a canali di scolo che non funzionano o ancora, in genere, al passaggio veloce di acque che letteralmente divorano porzioni di suolo sotto le strade. Quando accade, si formano vere e proprie voragini.

E a Messina, negli ultimi anni, è accaduto con frequenza allarmante: In pieno viale Boccetta nel 2009, praticamente di fronte alla Soprintendenza: prima un evidente incurvamento del manto stradale stressato dal passaggio dei famigerati Tir, poi la buca, uguale a quella di via S. Agostino: un mese e passa per richiuderla, riempiendo il vuoto con terra di riporto e piazzandoci sopra, prima di asfaltare, una rete metallica.

Passa qualche mese e di fronte alla scuola Vittorini dellʼAnnunziata se ne apre un’altra, molto più grande, rimasta lì a prendere acqua e detriti per sei mesi prima che lʼamministrazione dellʼepoca, guidata da Giuseppe Buzzanca, trovasse i fondi per richiuderla.

Nel 2012, il corso Cavour era stato appena riaperto dopo tre mesi abbondanti di lavori per riasfaltatura, che allʼimprovviso, davanti al teatro Vittorio Emanuele si apre una buca nellʼasfalto vecchio solo di qualche giorno: sotto l’asfalto, il vuoto.

Poi tocca alla via Nicola Fabrizi: è il 2013, un camion, carico di pesantissime attrezzature tipografiche, superata la via Risorgimento, si ritrova con la ruota posteriore destra inghiottita dalla strada, che aveva ceduto sotto il peso del bestione.

Da sinistra, le buche di via Nicola Fabrizi (2013), Annunziata (2012) e viale Boccetta (2009)

Poi ci sono quelli meno “gravi”: i buchi che negli anni si sono aperti, da piazza san Vincenzo a via Bellinzona fino alla litoranea, allʼaltezza dellʼincrocio col torrente Papardo, o all’annunziata altissima, subito prima della strada per Citola. Dove le buche sono meno estese, o in zone non troppo trafficate, ci si limita a gettare bitume su bitume, col risultato di sovraccaricare ancora di più la zona stressata: è quello che accade in via Galatti, una traversa del viale Regina Elena: su un manto stradale incavato per cinque metri, ogni volta che nell’asfalto spunta una buca, cosa che succede regolarmente ogni paio di mesi, gli si getta sopra altro asfalto: ad oggi, gli strati ben visibili saranno una dozzina.

Il problema, quello primigenio, è la conformazione stessa di Messina: sotto la quale scorrono una impressionante quantità di torrenti e piccoli corsi d’acqua, che negli anni sono stati “tombinati”: gli si è costruito sopra un impalcato stradale per permettergli di scorrere sotto. Ogni tanto, però, qualcosa va storto, come quando, una decina d’anni fa, tutta la parte bassa del torrente Trapani, da via Gabiraldi in giù, è collassata, non facendo miracolosamente alcuna vittima.

A questo si aggiunge la manutenzione sottostradale parecchio deficitaria: una semplice rottura in una conduttura dell’acqua, o della fognatura, provoca i cosidetti  “fornelli”, cioè una depressione che muove una grande massa dʼacqua che provoca il collasso del terreno. Come si ovvia? Con uno screening delle strade, innanzitutto. Un lavoro salato: esaminare il sottosuolo per una corsia di un metro lungo un percorso di quattro km costa settantamila euro. Un georadar, è così che si chiama lo strumento che consente di eseguire lo screening, ad acquistarlo costerebbe cinquantamila euro.

Quindi si va avanti ad emergenze: una specie di roulette russa, in cui scommettere quale strada crollerà: perchè la questione non è “se”. E’ “quando”.

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