MESSINA. La riscoperta del pollice verde da parte dei messinesi è stata repentina e fragorosa. È bastato vedere le motoseghe in azione, che subito è partito un tam tam indignato che si è propagato a velocità inusitata. Chi taglia i nostri alberi? E perché?

Il problema parte da lontano. Gli alberi messinesi non stanno bene, sia per caratteristiche “proprie”, che per una lunga serie di disastrosi interventi passati: maltrattati attraverso le micidiali “capitozzature” (taglio radicale dell’intera chioma, comprensiva di tutto l’apparato formato dalle branche e dalle ramificazioni, lasciando il solo fusto), sottoposti a continui urti, soffocati da un asfalto che spesso viene steso fino ai piedi del tronco. Tutto ciò indebolisce la vitalità e incide sulla capacità di resistenza alle aggressioni di natura biologica o ambientale. Questo ha provocato, in un paio di casi, il crollo improvviso del tronco. Era quindi necessario prendere provvedimenti.

 Quali? Si è proceduto prima con l’analisi VTA (Visual Tree Assessment), standard in agronomia, poi con l’analisi strumentale tramite dendrodensimetro, che riesce a dare indicazioni sulla qualità del legno interno ai tronchi. La prima è stata effettuata da Alessandro Giaimi, agronomo ed esperto del comune, che è stato affiancato dalla la D.R.E.A.M di Arezzo, impresa vincitrice del bando emanato dal Comune, che ha effettuato anche la seconda fase, quella strumentale, e ha completato l’incarico nell’aprile del 2016. In tutto sono stati monitorati 3021 alberi, con analisi visiva e strumentale.

 Quali alberi si e quali no? A determinare la salute di un fusto non c’è solo l’analisi, ma anche altri parametri tipo la conformazione delle radici, l’inclinazione del fusto, la presenza di carie, ma anche quello che c’è attorno alle radici, sottoterra (presenza di sottoservizi, scavi, linee elettriche, ecc.). Una volta determinato quanto sia lo spessore di legno integro e quanto quello ormai compromesso, si stabilisce una “classe di propensione al cedimento”, che va da “A” (rischio trascurabile) a “D” (rischio estremo, albero da abbattere perché non recuperabile). Per la cronaca: solo 118 sono stati classificasti come A, e 461, quelli che stanno per essere abbattuti, rientrano in classe D.

 

 

L’analisi è stata effettuata su tutti gli alberi? No. I fondi disponibili hanno consentito il monitoraggio di poco più di 3000 alberi, “mentre il patrimonio arboreo interno alla struttura urbana della città di Messina viene da me stimato intorno ai diecimila esemplari”, spiega Giaimi, che aggiunge: “Purtroppo non è mai stato effettuato un censimento sull’intero territorio comunale, così come manca un regolamento del verde pienamente operativo. Esiste un documento adottato dalla Giunta municipale pro tempore durante la seduta del 2 luglio 1996, ma mai approvato dal Consiglio municipale. Di conseguenza, la sua efficacia è molto ristretta, limitandosi più che altro a orientamenti in materia”. 

Capitolo tagli, quello più scottante. In città, si è scoperta una vera passione per la botanica, fomentata dall’inondazione di foto sui social, e dall’immancabile parere che danno ormai tutti: “quell’albero non era malato, si vede a occhio nudo che il tronco è sano”. Ovviamente non è così. “Probabilmente l’anomalia si trovava uno o due metri sopra il taglio, oppure la pianta era molto inclinata, o ancora aveva le branche compromesse”, spiega ancora Giaimi. Del taglio delle piante se ne sta occupando la Costrubo, cooperativa che si è aggiudicata l’appalto per 83mila euro.

E l’eucalyptus di via degli Orti, il cui abbattimento ha scatenato polemiche a non finire nei giorni scorsi?  Qui la questione è diversa: l’albero ricadeva in zona privata, e la competenza non era comunale. “Nonostante questo, e considerate le rilevanti dimensioni dell’albero, il proprietario deve chiedere l’autorizzazione paesaggistica alla Soprintendenza. In ogni caso il Comune sarebbe dovuto essere stato perlomeno informato”, conclude Giaimi.

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