MESSINA. Domenica 22 settembre al Multisala Iris, alle ore 18.00 e alle ore 21.00, verrà presentato “Vermiglio”, con la regia di Maura Delpero, film acclamato dalla critica e vincitore del Gran premio della Giuria del Festival di Venezia 2024. Per l’ occasione entrambe le proiezioni verranno precedute dall’ introduzione dell’attore messinese Giuseppe De Domenico, protagonista della pellicola nel ruolo di Pietro, che a fine visione resterà a disposizione per domande, curiosità e dibattito con il pubblico in sala. Lunedì 23 invece l’attore incontrerà gli alunni del Liceo Statale Felice Bisazza, scuola dove lui stesso si è diplomato, per raccontare non solo la sua esperienza all’ 81ª Mostra Internazionale d’ Arte Cinematografica, ma anche il suo percorso di formazione nell’ambito della recitazione partendo proprio dalla città in cui è nato e cresciuto. Giuseppe De Domenico, classe ’93, muove i suoi primi passi nel mondo del teatro, per poi velocemente arrivare sullo schermo, tra fiction e film, recitando in “Bang Bang Baby”, “Euforia”, “ZeroZeroZero”, “Paolo Borsellino. Adesso tocca a te”, “Una partita ai confini del mondo” e “Ragazze a mano armata”. “Vermiglio” ambientato nel 1944 prende il titolo dall’ omonimo villaggio di montagna in Trentino Alto Adige, ultimo comune della Val del Sole e narra le vicende della famiglia Graziadei, in particolare delle tre figlie femmine (Lucia, Ada e Flavia), sconvolta dall’ arrivo di Pietro, soldato siciliano che ha disertato l’esercito, fin da subito molto chiacchierato in paese in quanto ultimo arrivato. Il film è uscito in 26 sale italiane giovedì, 19 settembre 2024, e resterà in programma alla Multisala Iris per le prossime tre settimane. 

Cosa ti ha fatto capire che volevi fare l’attore e come hai iniziato il tuo percorso?

“Ho iniziato facendo teatro prima con mio padre, da piccolissimo, e poi partecipando ai laboratori teatrali del liceo. E proprio in questo contesto mi sono affezionato all’idea di frequentare il teatro in orario extrascolastico, ed era la prima volta che riuscivo ad avere un’attività ludica che mi permettesse di legittimare degli stati emotivi. Un contesto in cui si poteva discutere di determinati stati emotivi, perché a differenza della vita di tutti i giorni dove, ad esempio, se ti arrabbi o piangi, o hai delle forti reazioni emotive, la società ti impone anche in un certo senso di reprimere il tutto e mantenere un certo controllo, in teatro accadeva l’opposto: più andavi a fondo a quelle emozioni, più ricevevi un applauso. Questa strana sensazione di sentirsi legittimati ad esprimere qualcosa di sé mi ha completamente rapito, al punto tale che non riuscivo più a farne a meno. Da buon messinese non avevo idee dell’esistenza di scuole di recitazione, e che fare l’attore potesse veramente diventare una professione. Fu Michele Fallica, che faceva già parte della compagnia messinese che frequentavo, che era riuscito ad entrare in una scuola di cinema e teatro a Roma a suggerirmi di provare. E da là ci ho provato, e poi step by step, lavorando e studiando in modo molto metodico, arriva tutto e le cose succedono.”

Come arrivi a recitare in “Vermiglio”? 

“Dopo aver lasciato Roma, mi trasferisco a Genova, dove avviene la mia vera formazione e dove mi diplomo, e mi innamoro artisticamente della mia insegnate di recitazione, Anna Laura Messeri, ed io volevo fare solo e soltanto teatro ma lei mi indirizza e sprona a fare cinema. Quindi soltanto perché mi fidavo del suo giudizio all’ inizio del 2017 inizio ad inviare materiale alle varie agenzie. Da qui vari lavori per la televisione e cinema, ho cambiato tre agenzie, e questo di Vermiglio è il primo progetto che prendo con la mia nuova agenzia. È avvenuto con la richiesta di un self-tape che è andato bene, e successivamente sono stato richiamato per un primo provino in presenza con la regista, ed un secondo provino con regista e protagonista.” 

Chi è Pietro? 

“Pietro è un giovane uomo, di Galati Marina, in realtà doveva essere di Marzamemi ma andando avanti io nei provini hanno scelto di mantenere il mio accento siciliano naturale chiedendomi di indicare ed individuare un paesino, ed è un giovane costretto ad andare guerra, come molti giovani dell’epoca, e che in guerra perde tutto, vede tanti orrori, e perde fiducia nella vita stessa. Quando riesce a scappare, dunque, e rifugiarsi a Vermiglio, proprio nel momento in cui inizia il film, è a tutti gli effetti sia un disertore che un fantasma.”

Come ti sei preparato ad interpretare un personaggio così con un vissuto così particolare e lontano dai giorni nostri?

“Sono molto metodico, quindi vado a strutturare la preparazione passo per passo, suddividendo le grandi cose in piccole azioni. Pietro era scappato dalla guerra, aveva camminato per chilometri e chilometri, ed io da giugno a novembre, facevo casa mia pilone, pilone casa mia, circa 15.000 passi, 8,8 km circa, ogni giorno, con il sole, con lo scirocco o con la pioggia. Camminavo ogni giorno, perché volevo sentirmi sul set con un corpo e delle gambe che erano il più vicino possibile a quello che lui aveva potuto vivere sulla sua pelle. Dal punto di vista mentale mi sono preparato guardando vari film e letto vari libri, Dunkirk di Nolan l’ho rivisto diverse volte per esempio, giusto per imprimere nel mio sguardo quella pesantezza e quella tragedia. La combo della preparazione fisica ed immaginaria, hanno messo le basi per il cuore pulsante di Pietro e tutto il resto è avvenuto sul set con Maura.” 

Nel momento in cui un conflitto mondiale sta per giungere alla fine, una famiglia di un tranquillo paesino di montagna inizia a vivere il suo conflitto…

 “Il film va immaginato come se fossero le pagine di un romanzo: la regista si sofferma si sofferma su quelle che sono le dinamiche di queste tre sorelle, ma si sofferma anche sulla storia della madre, del padre, dei fratelli, e su quello che succede in città, perché proprio come in un romanzo vengono portate avanti tante trame e sottotrame. L’ arrivo di Pietro a livello drammaturgico serve proprio ad inserire il concetto di conflittualità all’ interno della storia: lui altera l’equilibrio della prima figlia che essendo in simbiosi con le altre suscita dei cambiamenti e delle riflessioni ad effetto a catena, un effetto domino. Ed io mi sono sentito molto orgoglioso ed onorato di essere stato incaricato di ricoprire un ruolo del genere.”

Gli altri attori recitano nel dialetto della Val di Sole mentre tu mantieni il tuo dialetto.

“Già, mantengo il nostro accento, un po’ sporcato dato che il mio personaggio pur di integrarsi inizia a prendere elezioni di italiano dal maestro del paese. È un modo di parlare nostro che cerca di somigliare all’ italiano il più possibile, perché un altro contenuto del film è che nonostante fossimo tutti italiani in territorio italiano, Pietro siciliano veniva percepito come straniero in quella terra. Quindi c’ è quest’ altro rifiuto di essere nella propria Patria non sentirsi accettato e faticare per integrarsi.”

Com’ è andata a Venezia?

“Abbiamo vinto il secondo premio più importante di tutto il Festival. Esperienza pazzesca. Siamo arrivati lì ed eravamo tra Brad Pitt e George Clooney, Joaquin Phoenix e Lady Gaga, eravamo in questo buco spaziotemporale. Abbiamo cercato sin da subito di goderci il più possibile l’esperienza perché ci rendevamo conto dell’enorme prestigio, eravamo in un concorso in mezzo a mostri sacri ed icone che spostano masse, attenzione dei media e della stampa, eravamo nel bel mezzo della storia del cinema. Siamo arrivati consapevoli e convinti che il lavoro che avessimo fatto insieme e che la visione di Maura avesse qualcosa di speciale. Man manco che il tempo passava, io sono stato tre giorni a Venezia, già col fatto che dal primo giorno l’attenzione si spostava sul fatto che il giorno successivo ci sarebbe stato Vermiglio, e poi il passaparola generale da parte della stampa era positivo, il giorno della conferenza stampa i giornalisti avevano detto che era partito un applauso spontaneo in sala a fine proiezione, prima che facessimo il Red Carpet si vociferava al lido di quanto il film potesse essere la rivelazione di quest’ anno, l’ hype cresceva e siamo andati via con la certezza di aver fatto un ottimo lavoro di networking, un ottimo lavoro di comunicazione e promozione. Le interviste e le foto erano andate anche molto bene. Non volevamo nemmeno pensare che potevamo entrare così tanto nella storia del Festiva di quest’ anno, ed invece è successo. Così come ogni cosa quando gli dai spazio: quando desideri fortemente qualcosa fatichi ad arrivare, così come quando hai fretta e sei in ritardo becchi tutti i semafori rossi. Sembra quasi una legge universale, perché quando lasci da parte le aspettative e ti concentri su quello che ti compete, poi le cose hanno più margine per sorprenderti.” 

C’era qualcuno, tra registi ed attori, che desideravi incontrare al Festival?

“Sono stato molto contento di vedere Tornatore in giuria, era lui che volevo incontrare più di tutti e tra l’altro verrà alla presentazione del film a Roma e là spero di riuscire a parlarci.” 

Cosa consigli a chi ha il sogno di fare l’attore?

“È difficile ma non impossibile, vale la pena provarci e alle brutte si scopre qualcosa di importate di sé. Nel percorso attoriale, soprattutto in fase di formazione, ci concediamo la possibilità di capire meglio chi siamo, sia come corpo che a livello psicofisico. È una grande crescita di sensibilità a tutto tondo. Il consiglio è innanzitutto chiedersi il perché lo si vuol fare, e se la risposta ha più a che fare con un riscontro di voglia di scoperta, di raccontare storie o empatia, e non di ricerca della fama, allora c’ è il seme di un qualcosa di importante. La realtà formativa messinese negli ultimi anni sta creando diversi poli di riferimento, soprattutto rispetto a quando io vivevo qui, uscire dalla propria città fa scoprire tante cose sia del mondo che di sé stessi, ma magari non tutti possono o vogliono andar via, e per chi resta in città ci sono dei validi punti di riferimento.”

Sai di essere il primo attore di Ganzirri a portare un proprio film dentro al cinema Iris?

“Si, esatto ed il bello è proprio il fatto dell’andare per tornare, esplorare per condividere, e così la vita culturale di una città come Messina si muove in divenire e rinascere in questo desiderio di chi è andato via di condividere e restituire, dato che siamo quello che siamo grazie a dove siamo cresciuti.”

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