Si ritiene, e non a torto, che i social network – Facebook tra tutti – abbiano prodotto oltre che una straordinaria, e mai prima d’ora verificatasi nella storia, circolazione di messaggi, anche una corrispondente e anch’essa straordinaria circolazione di idee in libertà, fake news, sfoghi personali, invettive, esternazioni non richieste e pressoché ininfluenti su aspetti della sfera familiare e privata che fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile potessero sfuggire al duplice controllo del pudore e del buonsenso.

Tutto ciò ha prodotto un fatto nuovo, la possibilità cioè di cogliere in vivo gli umori, le ubbìe, i quadri di riferimento, gli orizzonti di intere categorie di persone le cui voci era prima pressoché impossibile cogliere nella variegata molteplicità delle loro articolazioni, mancando un’agorà virtuale che tutte, simultaneamente, le rendesse presenti.

Chi negli ultimi anni ha avuto l’opportunità, e la pazienza, di compulsare quotidianamente le straordinarie pagine di Facebook e dei suoi straordinari abitanti, se sarà riuscito a emergere indenne dal cicaleccio fatuo di quelli che non avevano niente da dire, e però lo hanno detto, avrà guadagnato la possibilità di dispiegare uno sguardo complessivo sui paesaggi ideologici che costellano le nostre giornate storiche.

A me è capitato così di farmi un’idea più chiara e distinta sugli intellettuali messinesi. Una realtà sfuggente e magmatica, complessa e assai ardua da decriptare nelle sue declinazioni.

Eppure qualcosa può essere azzardata su questo ceto, avanzando (come qui timidamente mi provo a fare) alcune ipotesi di classificazione.

A Messina esistono e operano:

Gli integrati. Sono quelli che credono di vivere nel migliore dei mondi possibili. La loro occupazione preferita è stare affacciati al loro balcone mentale per vedere come va a finire la storia (di qualunque storia si tratti).

Quelli del Mulino Bianco. Passano la vita a recitare struggenti giaculatorie sulla Messina di un tempo, e non si accorgono (forse non importa loro) della Messina che si potrebbe costruire proiettando in avanti i sogni, piuttosto che vivere dei loro pallidi fantasmi.

Gli eruditi. Sanno tutto di tutte le storie messinesi, conoscono rigo per rigo tutto ciò che Padre Placido Samperi o Edoardo Boner o Gaetano La Corte Cailler hanno scritto. E basta.

I nostalgici. Poco importa di cosa. Che siano il Fascismo, i Borboni, il Sacro Romano Impero o quelli della battaglia di Lepanto, l’importante è rituffarsi quotidianamente nelle glorie passate. (Glorie??!!)

I movimentisti. Sessantottini non pentiti o ragazzotti che nel sessantotto non erano ancora nati. Coltivano bei sogni. Spesso non capiscono molto del territorio in cui vivono.

Gli accademici. Passano da un convegno all’altro e scrivono cose a volte interessanti, che però pochi leggono perché ci mettono le note. Vengono considerati una casta, e di ciò essi traggono spesso compiacimento.

I chiesastici. La loro vita è organizzata adeguandosi al calendario liturgico. Se si parla dei culti mariani i loro occhi si inumidiscono per la commozione. Incontrano però qualche difficoltà nel leggere, e vivere, il Vangelo.

Gli apocalittici. Sono quelli che attendono che un nuovo terremoto giunga a correggere, fatale lavacro, i mali della città.

E qui mi fermo, perché mi sono attirato ormai un buon migliaio di avversioni profonde. Una cosa sola mi pare accomunare tutte queste categorie di intellettuali (e chissà quante altre ancora se ne potrebbero enucleare, con un po’ di applicazione …..). E la cosa che tutti li accomuna è questa: allorquando possono lambire da vicino, anche di sfuggita, la sfera del Potere (che sia di un Gran Maestro, di un Onorevole, di un Sindaco, di un Assessore, di un Presidente o Consigliere di Quartiere, e financo di un Amministratore di Condominio) tutti vengono sopraffatti da un piccolo orgasmo.

Altro aspetto che accomuna queste enclave è di camminare lungo strade parallele, destinate a mai incontrarsi.

E perciò a Messina non esiste una società civile degna di questo nome.

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