di Marina Pagliaro e Marino Rinaldi
MESSINA. Intere strade divelte, case e fabbriche fatte a pezzi, carcasse di automobili, macerie, immondizia e cani randagi, oltre a detriti di ogni tipo disseminati sull’arenile e persino dentro l’acqua. Se per qualche oscura ragione un forestiero dovesse ritrovarsi per caso in un punto qualsiasi del litorale della zona sud di Messina avrebbe probabilmente l’impressione di essere capitato in una terra bombardata. Sebbene a devastare chilometri e chilometri di costa non siano stati degli ordigni bellici, ma decenni e decenni di agenti atmosferici, incuria, chiacchiere, promesse elettorali e abbandono.
La “terra di nessuno” della zona sud ha inizio nella Zona Falcata: un’area della città – la più simbolica, probabilmente – di cui tanto e troppo si è detto e si è scritto, a fronte di anni di totale immobilismo (o quasi). Subito dopo, superata l’oasi verde in cui sorge il Ricrio a Mare, una piccola cattedrale nel deserto in mezzo alle macerie, si giunge quindi in via Don Blasco, anch’essa da tempo al centro delle cronache e degli scontri politici, che in attesa che qualcosa si smuova sul serio continua però ad essere sepolta da tonnellate di immondizia, con accumuli di copertoni, sanitari, pezzi di mobilio e lastre di amianto.
A fornire le ultime notizie sull’avanzamento dei lavori per la realizzazione della “nuova” via Don Blasco è il vicesindaco Salvatore Mondello, che nel pomeriggio di mercoledì 6 si è recato nelle aree di cantiere, appurando che sono stati demoliti i fabbricati delle ex Ferrovie della Stato. Lo scenario, tuttavia, è quello di sempre.
Spostandosi più a sud la situazione non cambia. Anzi peggiora. Con l’aggravante che a differenza della Zona Falcata e di Maregrosso qui non esiste al momento alcun progetto di riqualificazione e l’area è completamente dimenticata. Anche perché raggiungerla è praticamente impossibile, se non armati di buona pazienza per percorrere i torrenti o i tunnel immersi nell’immondizia, fra strade sterrate e “cani da guardia”.
Nella zona più accessibile, ovvero il litorale sottostante il quartiere di Contesse, in prossimità del villaggio Unrra, ci sono degli operai al lavoro. Stanno mettendo in sicurezza il parcheggio della stazione, con cinque ruspe dell’impresa Vidr di Catenanuova, dopo che la struttura è stata sventrata dalle onde. Negli anni, tuttavia, la violenza del mare ha letteralmente inghiottito quello che una volta era il litorale. Lasciando solo detriti. Basta sposarsi qualche metro più a nord del parcheggio per imbattersi infatti nei resti di una vecchia fabbrica di marmo con annessi dei capannoni. Lo scenario è da brividi, a partire dalla struttura dove avevano sede gli uffici, che da un momento all’altro potrebbe cadere in mare. Meglio non va nei dintorni, dove le carcasse dei camion, una volta adibiti al trasporto dei materiali, testimoniano soltanto lo scempio che il tempo e l’indifferenza hanno creato. A finire fra i marosi, oltre ai relitti, anche interi pezzi di quella che una volta era una strada. Alberi compresi.
Quello che sorprende, ma non più di tanto, è che in tutto il litorale non ci sia anima viva. Decine di chilometri di costa, su tutto il versante ionico, che è come se non esistessero. L’unica presenza umana è un anziano, che racconta i tempi che furono e mette in guardia sui rischi del presente: «Qua fin quando non ci scappa il morto non fanno niente».
A impedire l’accesso all’arenile, per larghi tratti, è la presenza dei binari della Ferrovia, che percorrono tutta la linea della costa, creando una cesura netta fra la città e il suo mare. Una spiaggia però c’è. O almeno qualcosa che le assomiglia e che viene vissuta come tale: nonostante i divieti di balneazione e lo scenario post apocalittico che si presenta ai coraggiosi che riescono a raggiungere l’arenile, attraversando un cunicolo alto poco più di un metro, c’è infatti anche chi, d’estate, prende il sole anche qui, sdraiandosi sotto l’ombrellone fra quintali di spazzatura e scarichi fognari a cielo aperto.
Ancora più inaccessibile è un’altra “spiaggia”, raggiungibile scarpinando per un torrente al termine del quale sorge una piccola baraccopoli, con tanto di stalla improvvisata che si riconosce solo dall’odore del letame. Anche qui il mare ha fatto la sua parte, distruggendo un edificio industriale che attende solo di essere divorato definitivamente dalle acque.
Infine, prima del Porto di Tremestieri, resta l’area dell’ex Sanderson, costeggiata da una selva di case e casette ammucchiate una sull’altra: una ferita aperta di 100.000 metri quadrati che attende ancora di essere rimarginata. Malgrado i soliti proclami e le boutade da campagna elettorale.
(Hanno collaborato alle riprese Andrea Denaro e Andrea Agrillo)