GAGGI – “È passato un anno e non sappiamo ancora niente, abbiamo aspettato ma sembra che tutti dormano su un fatto così grave”, scuote la testa Antonio D’Agostino mentre la moglie Irina gli tiene il braccio. Un anno di attesa dal giorno del terribile incidente di Salvatore: “Cerchiamo solo giustizia per nostro figlio”. 

Una giustizia ferma nelle maglie della burocrazia. Perché se ad uccidere il piccolo Salvatore è stata l’incuria, è il rimpallo di responsabilità a rallentare, se non bloccare, le riposte: di chi è la colpa per la morte del 16enne? Una morte che ha il sapore dell’assurdo ma che di certo poteva essere evitata. 

Un anno fa, il due agosto del 2016, nella piazza di fronte alla chiesa di Cavallaro, frazione di Gaggi, il sole è già tramontato quando un gruppo di ragazzi decide di occuparla giocando a pallone. Due tiri tra amici, ma uno di questi manda la palla un po’ più in là. Salvatore D’Agostino è scattante, la palla va fuori e va lui a riprenderla ma è caduta oltre la ringhiera, lui la scavalca e nel farlo urta un faro che lo fulmina. I compagni chiamano i soccorsi, la fuga in ospedale non basta. Salvatore resisterà per 18 giorni in coma, per poi cedere alla morte. La scarica elettrica di un impianto non a norma gli è stata fatale. Nel mese successivo i periti della procura di Messina sequestrano documenti al Comune di Gaggi, le indagini sono aperte per individuare le responsabilità, e le competenze. La piazza viene messa subito sotto sequestro, sequestro ancora in vigore oggi. Ed eccolo il nodo, la piazza è di fronte una chiesa: l’impianto è comunale o della sagrestia? Quando il difensore della famiglia D’Agostino fa richiesta di incidente probatorio, il pubblico ministero, Antonella Fradà, non può concederla: il procedimento è ancora aperto contro ignoti. Fradà respinge la richiesta dando l’unica notizia in un anno alla famiglia: a marzo non c’è neanche un’ipotesi su chi possa essere responsabile della morte del ragazzo. 

“La responsabilità di quell’impianto è del Comune di Gaggi”, chiarisce il sindaco Giuseppe Cundari, eletto lo scorso giugno, Cundari è l’unico ad avere dato una risposta – aggiornamento di mercoledì 6 settembre: “Ho parlato di titolarità e mai di responsabilità – specifica Cundari – le mie parole sono state erroneamente riportate” -. Chiarita la competenza, però, sono ancora tante le domande dei D’Agostino: chi aveva collocato il faretto, chi doveva provvedere alla manutenzione? Perché c’era del nastro adesivo con tanto di rotolo di cartone ormai rovinati dal tempo e nessun cartello che ne indicasse il pericolo? Chi ha rimosso il faretto dopo l’incidente? Perché il nastro adesivo, i bulloni e i dadi che lo ancoravano alla staffa sono rimasti ancora lì?  Perché il giorno dopo l’incidente, il 3 agosto, alcuni tecnici si sono affrettati a intervenire sul quadro di contatori che alimenta la piazza, mettendo un lucchetto nuovo prima inesistente?

Domande che ora rivolgono in un appello al nuovo capo della procura di Messina, Maurizio De Lucia: “Comprendiamo la grande mole di lavoro che devono affrontare i magistrati, soprattutto presso procure molto impegnative come quella di Messina – spiega Ermes Trovò, presidente di Studio 3A, società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità, a tutela dei diritti dei cittadini – ma riteniamo che la Giustizia non possa lesinare i propri sforzi in casi di questo genere e debba dare risposte in termini di verità, oltre che di giustizia, a dei genitori che hanno perso il loro figlio di soli 16 anni in un modo così inaccettabile. Hanno già aspettato abbastanza”.

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