Il primo “volo” all’incrocio dei pali lo ha fatto quando aveva appena 5 anni. Siamo in un centro decathlon e di fronte al piccolo Daniele Cadili, nato in Piemonte ma con sangue giallorosso che gli scorre nelle vene, c’è un ragazzino di 13 anni pronto a calciare. “Tira piano, che è piccolo”, gli consiglia la gente intorno, ma Cadili non ci sta e invita lo sfidante a giocare seriamente. “Tira più forte che puoi”, gli urla, con un sussulto d’orgoglio. L’attaccante non ci pensa due volte e mira all’angolo più alto. La risposta del portiere non si lascia attendere: un colpo di reni, un balzo felino sotto al sette a dispetto dell’altezza minuta e tentativo respinto, con la palla che rotola “in corner” sotto agli sguardi basiti dei presenti.

 

 

Un anno e mezzo dopo da quella prima parata, ecco l’esordio da “professionista”, nelle fila del Cenisia, storica società sportiva di Torino. Daniele di anni ne ha adesso poco più di sei e per lui il gioco del calcio è – appunto – solo un gioco. Un occasione per crescere, fare amicizia e divertirsi. Come è giusto che sia a quell’età.

A Torino, e in tutto il Piemonte, le società dilettantistiche sono tantissime, circa 120. E sono tutte molto seguite. Dal pubblico, innanzitutto, ma anche dalle testate giornalistiche (da Tuttosport in giù), fino agli osservatori, che setacciano i campi di periferia alla ricerca di talenti emergenti da appuntare sul taccuino. 

E non ci mettono molto, gli addetti ai lavori, ad accorgersi di quel bambino dallo sguardo vispo baciato dal talento che partita dopo partita, tuffo dopo tuffo, inizia ad attirare l’attenzione della stampa locale. “L’uomo ragno Cadili”, “Superman Cadili”, scrivono i cronisti, esaltando le prestazioni del ragazzino, che proteggerà la porta del Cenisia per due stagioni prima del passaggio all’Atletico Torino. Un cambio di casacca intervallato da uno stage a Gabetto, al “Summer Camp Village”, fucina di tanti campioni, e da una prestazione da campioncino contro la Juventus che gli consente di fare un provino a Vinovo, nel campo dell’allenamento di Dybala e Buffon, di cui Daniele – bianconero nell’anima – è tifosissimo. 

«Il match contro i pulcini della Juve si è svolto nel 2015 – racconta il padre Carmelo, nato in riva allo Stretto 44 anni fa – nel corso del girone di un torneo. Di solito per fare il conto dei gol nelle partite contro i ragazzini della Juve serve il pallottoliere, dato che le sfide finiscono 25 a 0, 28 a 1 e via dicendo. Per questo prima del match mi sono fatto il segno della croce. Quel giorno, per impegni vari, sono arrivato al campo sportivo a partita già in corso, immaginando un punteggio tennistico. Invece, con mia grande sorpresa, il passivo era appena di un gol. “Tuo figlio sta facendo delle parate incredibili”, mi hanno detto». E a restare colpito da quella prestazione non è solo il padre di Daniele. In tribuna, come spesso capita a quelle latitudini, c’è infatti un osservatore della Vecchia Signora, che non si lascia sfuggire quel ragazzino talentuoso e lo convoca per un provino. “Finora non abbiamo avuto alcun feedback – racconta Carmelo Cadili – ma stanno continuando a monitorarlo. I dirigenti e gli osservatori interessati a Daniele sono parecchi, ma per noi questa sua passione è poco più di un divertimento. Se arrivasse una chiamata di un certo livello, probabilmente ci rifletteremmo bene, ovvio, ma quello che mi preme al momento è solo assecondare il suo talento e la sua passione. Vogliamo che Daniele continui a vivere lo sport in maniera genuina, senza prendersi troppo sul serio. Le partite di calcio, ad esempio, nemmeno le guarda. Però quando indossa i guantoni si trasforma… lasciandomi di stucco. Non credo che lui debba diventare a tutti i costi un calciatore. Quello che mi interessa è che viva lo sport come un percorso di crescita”, prosegue il padre di Daniele, che adesso sta per compiere 11 anni e prosegue la sua carriera in Piemonte, fra tornei internazionali, trasferte in regione, partite da piccolo fenomeno  e soprattutto tanta voglia di divertirsi assieme ai compagni. 

«Per fortuna – racconta il genitore – A Torino c’è molta attenzione nella tutela dei bambini, che vengono seguiti con scrupolo. Per assistere alle partite di Daniele mi tocca sborsare tutte le settimane 5 euro. Una cifra forse esagerata per dei match fra bambini, ma in cambio le società sportive offrono serenità, sicurezza e strutture a norma. In più, grazie all’interesse degli addetti ai lavori e alla grande cultura sportiva che si respira da queste parti, c’è grande visibilità e c’è la possibilità di emergere. In fondo il calcio è uno sport democratico. Certo è un mondo malato e condizionato da tanti interessi, ma è anche un ambiente meritocratico: se sei bravo e hai la possibilità di farti notare le tue qualità vengono premiate».

Ma quali sono le differenze con Messina? «Nella città dello Stretto, in cui sono cresciuto e in cui Daniele trascorre le vacanze in compagnia dei nonni, purtroppo non c’è la stessa attenzione e lo stesso scrupolo che ho notato a Torino. Per non parlare poi delle possibilità di farsi notare dagli osservatori, che in Piemonte aumentano esponenzialmente grazie  alle grandi squadre che gravitano nel comprensorio e attirano tanti appassionati.  Sotto questo punto di vista, a Messina, vanno molto meglio il rugby e la pallanuoto, mentre nel calcio i passi da fare, a mio avviso, sono ancora tanti»

 


 

 

 

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