MESSINA. K è una ragazza messinese di 28 anni che quattro anni fa ha scoperto di avere l’artrite psoriasica, una malattia autoimmune che colpisce le articolazioni e la pelle. Un fulmine a ciel sereno che ha cambiato la sua vita e che l’ha messa di fronte a una scelta: sprofondare nella depressione oppure rialzarsi. Per amor proprio e per l’amore dei propri cari.

Di seguito il suo racconto, che riceviamo e pubblichiamo integralmente:

 

Qualche giorno fa mi è stato chiesto di scrivere la mia storia, i miei problemi, ho accettato. Poiché penso che spesso le parole possano essere un conforto sincero. Per voi che mi leggete resterò una sconosciuta, ma forse le mie parole vi potranno essere amiche.

Ho ventotto anni e sono la quarta di sei figli, potete chiamarmi K. Spesso negli anni mi sono sentita dire una frase che a me sta parecchio antipatica: “Sei giovane e bella, che problemi hai?”. La verità è che di problemi ne ho sempre avuti tanti. Avevo dodici anni quando mi venne il primo attacco di tachicardia e per la prima volta mi definirono “fragile”. Anche se all’epoca non capii pienamente il significato di quella parola sapevo che era qualcosa che mi definiva e che mi avrebbe fatto compagnia per sempre. Quello fu solo l’inizio. Dai diciassette ai diciotto anni persi quindici chili, arrivando a pesare 48 kg e a vestire una taglia 38. Era anoressia nervosa, ed era iniziata lentamente. La cosa peggiore era vedere il volto di mia madre spaventato dalla mia magrezza, oppure la tristezza negli occhi di mio padre quando mi accompagnava a comprare i vestiti. Gli occhi della gente invece mi giudicavano negativamente, come se l’avessi fatto apposta a dimagrire. 

Nonostante la mia magrezza volevo donare il sangue e quando andai all’Avis dicendo di avere lo 0RH negativo loro mi dissero che era necessario ingrassare per poter donare. Lo feci, cercai di ingrassare con tutta me stessa, ma quando riuscii a prendere cinque chili era troppo tardi. Nel dicembre 2013 il mio corpo non funzionava bene, ma cercai di non dire nulla alla mia famiglia, fin quando a febbraio 2014 non riuscii più a camminare, ed il dolore che provavo era così intenso e forte da farmi piangere. Dovetti arrendermi all’evidenza e andai da mio padre con gli occhi lucidi chiedendogli di portarmi in ospedale. Subito dopo ciò che ricordo è che ero su un lettino e c’erano nove dottori intorno a me. Parlavano con mio padre come se io non ci fossi. Le parole di un dottore mi fecero trasalire: “Sua figlia è malata.” Dopo quelle parole dentro di me ci fu un tonfo, tutti i rumori attorno si spensero, sentivo solo la voce di quel dottore, mentre osservavo il volto di mio padre spegnersi. “Sua figlia ha sicuramente l’artrite psoriasica.” 

Il dottore continuò dicendo: “Dobbiamo ricoverare sua figlia; il farmaco di cui ha bisogno costa più di mille euro.” Stavo immobile su quel lettino ad attutire le sue parole, non avevo intenzione di ricoverarmi e l’idea che mio padre dovesse spendere più di mille euro al mese a me non andava. Dopo tutto non ero l’unica figlia e mio padre, avendo sei figli e mamma e non essendo un uomo ricco, non poteva permettersi tali spese. Stavo iniziando ad agitarmi così cercai di alzarmi da quel lettino e andarmene. Fuori dall’ospedale alzai gli occhi al cielo e capii che era iniziata una nuova guerra per me. D’improvviso anche il cielo e le strade della mia città mi apparvero diversi. Quando mio padre tornò non sapeva cosa dirmi, ricordo che camminava a testa bassa, che quasi non mi guardava. Poi in macchina disse “Andrà tutto bene.” E io risposi “Non voglio curarmi. Non voglio che tu spenda quei soldi per me.”

“Io per te farei pure i debiti. Tu starai meglio!” Capii in quel momento che non si sarebbe mai arreso. Quando stai male non stai male solo tu, stanno male i tuoi genitori, le persone che ti amano. Per mia madre non fu facile quando, tornati a casa, ricevette la notizia.

Oggi sono quattro anni esatti da quel giorno in ospedale. In questi anni sono maturata tanto, ho capito che quando stai male hai due scelte, sprofondare nella depressione, oppure rialzarti per amor tuo e delle persone a te vicine. Lo so perché prima sono caduta in depressione, poi ho cercato di studiare la malattia e di lottare per il bene dei miei affetti. All’inizio fu difficile, molto difficile. La gente mi guardava sempre, guardavano i segni degli aghi sulle mie braccia e pensavano che mi drogassi, mi giudicavano male ed era orribile.

Vedevo più dottori che amici. Facevo visite continue, prendevo sempre farmaci, poi nell’agosto 2014 ero già stanca di tutte le visite mediche ed i farmaci, così partì per Salina dove avevo trovato un lavoro come cameriera.

I miei genitori accettarono la mia scelta, nonostante i dottori fossero contrari.

Lavorai per un mese e mezzo, impegnandomi al massimo, ma l’ultima settimana di lavoro la passai con il braccio sinistro bloccato e col piede sinistro gonfio.

La malattia colpisce più frequentemente tra i 30 e i 50 anni e in ugual modo donne e uomini.

Immaginate che fortuna averla già alla fine dei miei ventitré anni.

I sintomi dell’artrite psoriasica sono:

  • rigidità (specialmente al mattino);
  • dolore e gonfiore in una o più articolazioni delle mani, dei piedi oppure di gomiti, ginocchia e caviglie di solito a carattere asimmetrico;
  • riduzione dell’ampiezza dei movimenti;
  • psoriasi in qualsiasi parte del corpo, se viene nel cuoio capelluto c’è rischio di perdere i capelli.

Un giorno in ospedale conobbi una signora con la mia stessa malattia, lei però ci conviveva già da cinque anni. Quella donna aveva le dita delle mani e dei piedi storpiati dalla malattia.

La paura di ridurmi in quel modo era tanta, mio padre per consolarmi disse che non mi sarei mai ridotta in quel modo, ma mentre lo diceva era evidente che anche lui era spaventato.

Prima dell’artrite psoriasica, lavoravo il più possibile, andavo in palestra e spesso accettavo lavori come fotomodella o ragazza immagine. Dopo invece, persi tanti lavori… sia perché i farmaci mi rendevano debole, ma anche perché mi vergognavo ad uscire.

Ogni volta che mi guardavo allo specchio piangevo, il mio volto e gran parte del mio corpo erano pieni di psoriasi.

Ho usato per due anni quel farmaco costoso, che fortunatamente mi dava l’ospedale.

Una puntura ogni quindici giorni, un farmaco forte come una chemioterapia. 

Prima e dopo la puntura ero più debole, se trovavo un lavoro dovevo dire che ogni quindici giorni mi dovevo assentare dal lavoro per almeno due giorni.

Non fu facile lavorare così, solo per un mio titolare la mia salute non fu un problema.

Mentre due persone con la quale ho lavorato in questi quattro anni mi dissero delle cose orribili. Il primo disse: “Se avessi saputo che eri malata non ti avrei assunto.” 

Risposi ironicamente dicendo che avrei inserito i miei problemi di salute nel curriculum.

La seconda invece “Non voglio una modella malata.”

Per quanto mi sforzassi di vivere normalmente spesso la gente mi tirava giù.

Adesso però sto meglio, il dolore va e viene, ma dopo quattro anni mi sono quasi abituata; la psoriasi invece va meglio. I miei genitori adesso mi guardano, ma consapevoli che ho voglia di vivere. Ho anche trovato un compagno che mi accetta e che mi ama nonostante la mia fragilità, lui e mio padre mi accompagnano tutt’ora per le visite mediche. Ci sono persone che si lamentano di tutto, persone che odiano il loro corpo per un po’ di cellulite, per le smagliature o semplicemente perché vorrebbero essere perfette. Non esiste la perfezione e soprattutto ci sono cose peggiori, ci sono le malattie, quelle malattie che non passano, che ancora non hanno cura, che spesso ti causano dolori che ti impediscono di muoverti. Ciò che voglio dirvi è semplicemente: “Amatevi, amate il vostro corpo e trattatelo al meglio. Sorridete sempre e nonostante tutto.”

Con affetto, K.

 

 

(Le immagini pubblicate, sopra e in copertina, sono dei lavori di Domenico Francavilla)

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