MESSINA. William Shakespeare? Messinese, forse, ma con parenti di Bari. E’ la conclusione, tra il serio ed il faceto, con un tocco di psichedelia, alla quale arriva Antonio Gelormini, giornalista barese che, in un articolo sul sito Affari Italiani, “parlando ai lampioni del lungomare di Bari”, si lancia in un ardito “fil rouge” tessuto da un improbabile Amleto,  tra Araldo di Crollalanza (ministro del Lavori pubblici durante il fascismo al quale si devono infatti i lavori di riqualificazione del lungomare del capoluogo pugliese), ed il bardo William Shakespeare, al quale una scuola di pensiero molto minoritaria attribuisce natali messinesi e anagrafe da Guglielmo Crollalanza.

Da quel lampione il busto dell’artefice del lungomare levantino era ‘in presa diretta’ – scrive Gelormini – anzi la notte prima era stato proprio preso di mira dal canto squarciato di versi, declamati in suo onore, da uno strano poeta, che parlava una lingua sconosciuta. Sembrava un attore di scena nel vicino Teatro Petruzzelli, i cui tratti somatici – magari perché vestiva ancora i costumi di Amleto – rimandavano a quelli del celebre drammaturgo inglese William ShakespeareNon aveva un teschio tra le mani, ma una bottiglia da tre quarti di Nastro Azzurro – racconta il giornalista, romanzando – certamente non la prima, dato l’incedere claudicante più consono alle ripetute alzate di gomito, che a quelle più cadenzate del sipario del Politeama barese. L’Amleto-Shakespeare si rivolgeva alla statua come a una sorta di divinità, e nello scomposto farfugliamento, tra un brindisi e un prosit, gli unici riferimenti apparentemente comprensibili erano stati gli intercalari di grandfather o forse meglio great grandfather”.

Dopo il contesto, la rivelazione, anch’essa molto romanzata. “Parlava della madre, si riusciva a capire che faceva riferimento a Messina e alla Sicilia e l’impressione era che maledisse il destino ‘isolano’, che aveva relegato la sua famiglia a vivere lontano dal Continente: prima in Trinacria e poi in Bretagna, o meglio in Great BritainLa luce del lampione aveva cominciato a ‘tremolare’ quando in dialetto siciliano, alquanto arcaico ma più comprensibile, e avvolto dalla foschia dei fumi dell’alcool il “Principe triste” cominciò a raccontare della madre siciliana e del suo cognome Crollalanza, di Messina, di un padre sconosciuto e del lungo viaggio in mare, da un’isola riscaldata dal vulcano all’approdo su un’isola più grande: terra regina dei mari, del freddo e della pioggia insistente – gigioneggia il giornalista – E tra un’invettiva e una serie di intercalari a suon di ‘Mizzeca, eccellenza!’ imprecava su mercanti di Venezia e falsi tradimenti, riveriva signorie trevigiane, gentildonne veronesi e bisbetiche padovane; litigava con fantasmi danesi ed evocava le stelle di ‘una notta di mezza estate’, fino a perdersi nella tempesta dei ricordi, per tacere improvvisamente quasi a sottolineare – inconsapevolmente – che stava facendo “tanto rumore per nulla” – continua Gelormini, citando un’opera di Shakespeare ambientata a Messina – Ma avvicinandosi al volto bronzeo di Araldo, quasi per baciarlo, cominciò a sussurrargli: “Shake-speareshake and speareTo shake‘aggitare’, scrollare. Spear: asta, mazza, aculeo, lancia. Shake – spear scrollare la lancia, Shakespeare – Crollalanza”. Per poi gridargli a squarciagola tra il sorriso beffardo e lo sguardo implorante: “U capisti?”, prima di sbattere a terra la bottiglia ormai vuota”.

E la mitologia di Shakespeare messinese si arricchisce di un nuovo capitolo…

 

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments