«Se di Carlo Meucci non si parlava più da decenni, se la sua stessa presenza in quel di Tindari stava per essere consegnata all’oblio, il volume di Mimmo Mollica “Meucci figlio del… telefono, mendicate a Tindari” ha certamente risvegliato la memoria e un provvidenziale dibattito sulla figura ‘dolente’ di un uomo vissuto nell’incertezza della propria identità anagrafica e burocratica». Ha detto questo Santino Franchina, vicepresidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, intervenuto sabato 11 marzo nel Palazzo del Turismo di Patti, alla Rassegna ‘Vestigia Artis’, sul tema “Costruzione e decostruzione dell’identità sociale, Il caso Carlo Meucci”, organizzato dall’Ufficio Turistico Regionale di Patti, in collaborazione con il Club “Amici di Salvatore Quasimodo” di Patti, a cura di Carmelo Buttò. «Non si dica clandestino ma migrante – continua Franchina – se un uomo scampato al naufragio riesce a salvarsi e approda laddove spera di trovare accoglienza, come fece Carlo Meucci approdando in Sicilia e poi a Tindari. Perché mi piace ricordare, citando Giorgio Faletti, che ‘non c’è nessun naufragio, non c’è nessuna nave che affonda e nessun capitano che vuole colare a picco con lei». 

Durante l’incontro di sabato scorso, che si è svolto pochi giorni prima dalla Giornata Nazionale del Paesaggio (che si tiene oggi 14 marzo con oltre 120 iniziative in tutta Italia), il dirigente del Servizio Turismo di Patti, Antonino Milici, ha parlato dell’identità del territorio, con riferimento all’armamentario umano, culturale, paesaggistico, naturale e storico che connota la ricchissima area tirrenico-neibroidea”, su cui si estende la competenza del Servizio a lui affidato. «Identità del territorio – ha detto – è come dire che né l’essere umano né il terreno su cui poggiano ‘i gesti creativi dell’homo faber’ possono rinunciare alla propria identità. Perché se un’identità umana venisse completamente annullata, sarebbe l’inizio di un incubo…».

«Sappiamo bene che Carlo Meucci – sottolinea Mimmo Mòllica nel suo intervento – è stato descritto più come mendicante che come venditore ambulante, quale egli realmente fu, ma ciò che lo ha ferito profondamente nella sua complicata esistenza è stato il mancato riconoscimento della sua identità come figlio dell’inventore del telefono. Questo è un oltraggio che non possiamo continuare ad avallare senza renderci complici. E se ci ostiniamo a dubitare pure dei documenti anagrafici ufficiali, su cui quest’uomo vissuto a Tindari risulta essere figlio di Antonio Meucci ed Ester Mochi (legittima consorte dell’inventore del telefono), non è a Carlo Meucci che dimostriamo di non credere, ma alla burocrazia, alle istituzioni, probabilmente allo Stato».

A suggellare il rinnovato interesse per la ricostruzione dell’identità umana e burocratica di Carlo Meucci, sepolto nel cimitero di Patti, in provincia di Messina, nel corso dell’incontro è stata presentata al pubblico la foto ceramica funeraria (ritrovata), sparita dalla lapide del figlio dell’inventore del telefono, morto a Patti nel giugno 1966. La lapide, infatti, mancante dal loculo (oggi spoglio), era stata parzialmente ritrovata in frantumi dallo stesso Mòllica, come lui stesso racconta nel suo volume “Meucci figlio del… telefono, mendicante a Tindari’ (Armenio Editore). Il ritrovamento della foto ceramica funeraria di Carlo Meucci è un ulteriore tassello nella ricostruzione dell’identità del figlio dell’inventore del telefono, nato a New York e vissuto in Sicilia.

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Mario Midolo
Mario Midolo
14 Marzo 2017 9:51

quando non esisteva ancora lo spionaggio industriale e gli americani in nome della loro presunta supremazia commettevano i peggiori abusi che si potessero immaginare. Oggi non è cambiato nulla esiste lo spionaggio industriale me se ci sono di mezzo gli alleati d’oltreoceano si chiama “collaborazione fra alleati”