MESSINA. Si è svolto giovedì sera, al “Cortile segreto” di Largo Seggiola, il primo AperiPride di questa primavera, in attesa del terzo appuntamento con lo “Stretto Pride”, che dopo il grandissimo successo delle prime due edizioni si appresta a colorare anche quest’anno le strade del centro il prossimo 10 giugno (per poi fare il bis a Taormina a settembre). Grandi protagoniste dell’evento, come sempre, sono state Lady Doretta, Lady Aisy e Lady Godiva, che hanno intrattenuto il pubblico presente con musica, balli, goliardia, trucchi, divertimento e impegno. Ma come nasce il movimento drag fra le due sponde dello Stretto? A raccontarlo, in un articolo pubblicato sul secondo numero di LetteraEmme Magazine, è Lady Doretta, che si sofferma sulla storia del “gruppo delle portinaie” e sulla finalità degli spettacoli (in programma anche il 9 giugno a bordo delle navi Caronte & Tourist per l’evento “Onde Sonore”).

 

 

Di seguito l’intervista (di Franz Moraci e Marino Rinaldi):

Di giorno lavora come imbalsamatore di animali in un laboratorio di tassidermia; la sera, truccato di tutto punto, con indosso parrucca e pailletes, intrattiene il pubblico dei suoi spettacoli nelle vesti di Lady Doretta.

La passione di Salvatore nasce nel 2009, quasi per gioco, da giovanissimo, in un contesto, quello calabrese, che lì a poco avrebbe visto nascere il gruppo “delle portinaie”, che ormai da tanti anni propongono i loro variopinti show quasi tutte le sere, fra locali ed incontri a tema Lgbtq+, ma anche feste private, celibati, nubilati ed eventi nelle piazze, attraendo un pubblico sempre più eterogeneo, compresi etero e famiglie.

Insieme a Salvatore ci sono anche Lady Aisy e Nerisha drag. Intente a truccarsi in previsione di un “aperipride” allo Zero90, raccontano gli albori del movimento drag fra le due sponde dello Stretto, a partire dall’antesignana “Divina”, che già trent’anni si esibiva a Palmi, in provincia di Reggio.

«Questo è un lavoro a tutti gli effetti. La gente ci chiama per divertirsi», esordisce Salvatore, che con cura meticolosa si acconcia per la serata in camerino, davanti allo sguardo benevolo della sua amata Orietta Berti.

«Il mio personaggio incarna una figura comica. Si tratta di una comicità salata, non piccante, destinata agli adulti ma mai volgare, considerando che un bambino non percepisce neanche le allusioni e le nostre battute. Negli anni ho capito che c’è tantissima gente che apprezza lo spettacolo in quanto arte, mentre un altro tipo di pubblico ci chiama spesso per finalità più ludiche, perché magari trova simpatico che lo sposo si trovi al cospetto di un uomo vestito da donna al posto di una spogliarellista».

Ma quali sono le caratteristiche essenziali di uno spettacolo drag? «Sicuramente il travestimento, che deve essere curato nei minimi dettagli in base al personaggio che si intende interpretare. Poi serve una commistione tra danza e musica, così come un minimo di goliardia. Io interpreto una zia di paese e i miei “pezzi” sono legati in particolare agli anni ’70 e a icone come Orietta Berti, Iva Zanicchi e Gigliola Cinquetti. Con Orietta Berti ci sono amica, ci sentiamo spesso anche al telefono», racconta.

«La differenza tra drag queen e travestito? La prima è un uomo che si veste da donna per esigenze sceniche, il secondo lo fa soprattutto per motivi sessuali. Noi cerchiamo di enfatizzare la femminilità portandola all’esasperazione».

Il lavoro nelle vesti di Lady Aisy, Nerisha e Doretta non è però solo e soltanto intrattenimento: «Essere drag queen va di pari passo con i doveri morali che si hanno nei confronti della comunità Lgbtq+ e di tutte minoranze. Noi siamo gli alfieri di questo mondo, perché siamo quelle più in vista. Quando lancio un messaggio in piazza da drag, arriva in maniera ben diversa rispetto al discorso di un sindaco o di un assessore».

Sfortunatamente le discriminazioni esistono anche in questo mondo. Qualche anno fa, Salvatore è stato vittima di un attacco omofobo, l’unico in tredici anni di lavoro. «È una piaga sociale che va debellata anche sul web, dove la gente si sente libera di esprimere il proprio odio in maniera brutale e terrificante», spiega nel corso dell’intervista, avvenuta pochi giorni prima del pestaggio di un ragazzino in provincia di Cosenza. «Capita a volte che qualcuno tra gli spettatori mi sbraiti contro, ma poi è lo stesso pubblico a farlo zittire».

Infine una battuta sul Pride e sul ruolo delle nuove generazioni. «Spesso sono le stesse persone omosessuali a dire di non sentirsi rappresentate da abbigliamenti “eccessivi”, ma il Pride è la massima espressione di liberazione e ognuno deve essere libero di esprimersi come cavolo vuole. Per fortuna, negli ultimi anni abbiamo assistito a un importante cambiamento culturale e i giovani sono sempre più aperti e sensibili, sebbene non manchino episodi di bullismo. Arcigay sta facendo un ottimo lavoro anche nelle scuole, ma c’è ancora tanto da fare per sconfiggere l’ignoranza e la cattiveria».

 

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