MESSINA. Riceviamo e pubblichiamo la riflessione del “Movimento dei tavolini” sulla movida messinese e, in particolare, in merito alla vicenda che ha interessato il ragazzino di 12 anni ricoverato in ospedale dopo essersi ubriacato, per dire che non tutti gli imprenditori della ristorazione sono uguali, e che quindi non è corretto parlare di “movida selvaggia”.
Di seguito la nota integrale firmata dal portavoce Domenico Anna:
Il movimento dei tavolini, dissociandosi e nel condannare senza se e senza ma quanto accaduto la notte di sabato 6 giugno, è però costretto, ancora una volta, a stigmatizzare l’incomprensibile omologazione di chi ha scelto, incluse alcune associazioni di categoria, di parlare di “movida selvaggia” o cose simili.
Lo ribadiamo, speriamo per l’ultima volta anche reputavamo la cosa davvero scontata e pacifica, che gli oltre trecento imprenditori del campo della ristorazione, “battezzati” movimento dei tavolini che hanno deciso di unirsi per gridare a gran voce il disagio e le difficoltà dovute alle conseguenze della pandemia, sono interessati esclusivamente a lavorare seguendo le regole.
Se dunque verrà confermato che il responsabile di quanto accaduto sia un operatore allora è bene che lo stesso venga sanzionato così come prevede la legge.
Ad ogni modo però non è accettabile che ogni qualvolta si verifichino inconvenienti legati in modo diretto o indiretto alla nostra attività si tenti di colpevolizzare o omologare il nostro comportamento che invece è basato sull’assoluto rispetto delle norme.
Ricordiamo che oggi la decisione di riaprire le nostre attività è frutto di un atto di coraggio per provare a restare in piedi nonostante le grandissime restrizioni e cercando in ogni modo di dare dei servizi alla collettività.
Non si comprende dunque perché a tali oggettive difficoltà si debba aggiungere un’immotivata azione finalizzata a denigrare e colpevolizzare la quasi totalità degli imprenditori che invece, come è possibile verificare da tutti, hanno un comportamento irreprensibile e fanno sempre il proprio dovere.