MESSINA. C’è chi la chiama la città “babba”, non si sa se perché Messina lo è nel vero senso della parola o se, verosimilmente, lo è perché nelle cose belle arriva per prima ma poi le lascia andare via. Non se le tiene strette e quel che è peggio, a volte, è che non è capace di prendersene cura e le dimentica. Ma ci sono cose che lasciano, inevitabilmente, un segno indelebile nel tempo. Una di queste è fatta di suoni, note, parole e di un fenomeno, come quello della radio, che ha generato dagli ’70 in poi, in città, delle ondate, tra altri e bassi, di pura avanguardia e rivoluzione culturale. Erano i tempi in cui a Messina, in alcuni frangenti, aleggiava un’anima punk, caratterizzata da un’ atteggiamento anticonformista e di rifiuto verso la società di massa, erano i tempi delle radio libere, dei primi disc jockey in città che prendevano le distanze dalle canzonette inflazionate e passavano quella musica, dal respiro più ampio, che arrivava dall’Inghilterra e dagli USA, erano i tempi dei suoni dalle cantine che davano vita a band su band, erano i tempi dei grandi concerti, film e spettacoli in riva allo Stretto. Testimone di tutto questo, e di molto altro, è Alfredo Reni, classe ’55, che della musica e della radio ne ha fatto ragione di vita e che, proprio in questi ambiti, ha rappresentato e continua a rappresentare, in città e non solo, un tassello di fondamentale importanza. Alfredo la musica ce l’ha nel DNA e forse il suo segreto, oltre alla grande passione che mette in quello che fa, sta nel non fermarsi mai, nel non avere pregiudizi e nella sua continua attività di ricerca musicale che ai tempi, insieme all’ amico Enzo Russo, lo portò a far ballare un certo tipo di New Wave anni ’80 in riva allo Stretto, e che oggi lo porta, sempre con grande curiosità, ad approcciarsi ai nuovi generi musicali ed artisti contemporanei, con intuizioni da talent scout, senza mai perdere di vista le proprie radici musicali undergronud.
Come inizia il tuo percorso nel mondo della musica e della radio?
“Come disc jockey nasco a Tropea, insieme a un mio caro amico, siamo negli anni ’70, c’era Miles Davis al Festival del Jazz di Pescara, ma come facevamo ad andarci noi giovani squattrinati? E allora lì abbiamo avuto l’idea: ma se mettessimo i dischi nell’unico localino che fa serate? Così ci siamo proposti, abbiamo fatto i dj, e con quella somma siamo partiti per andare a Pescara. Per quanto riguarda la radio basta pensare che per quella generazione a cui io appartengo la radio era lo strumento principale, il più desiderato, soprattutto se abitavi in Italia, in Inghilterra e in America era normale, ma qui, invece, la situazione era un po’ più triste, c’era solamente la radio nazionale, che dedicava poco spazio a quella musica che noi di notte uscendo ascoltavamo con l’alta modulazione cercando quelle radio che venivano dall’ estero. È stato anche un modo per imparare un po’ l’inglese, perché dovevi capire qual era il titolo. Quando poi, all’improvviso, si è detto ma sapete che si possono fare le radio? Quella è stata un’esplosione assoluta, in cui ci siamo voluti tutti quanti cimentare. Ed io sono uno di quelli che ha iniziato proprio in questa maniera.”
Ricordi esattamente il tuo primo momento On Air?
“È stato in uno studio, molto improvvisato, a Capo Vaticano. Poi iniziò la stagione estiva, io ero al Rebus Club di Tropea, intanto a Messina si stava creando una radio, Radio Onda, mi raccolsero e quello che mi ricordo è che esordì così: buonasera, sono Alfredo Reni e questo è il mio primo disco. Passai “Born to Run” di Bruce Springsteen. Radio Onda, che ebbe una popolarità enorme, era fisicamente a Messina, ma a trasmettere venivamo tutti da fuori. Vivevamo in cinque in questa villetta a Torre Faro e chi si alzava per primo, mai prima delle 10.00, trasmetteva e gli altri in coda. Iniziai ad avere la percezione che ci ascoltavano quando una mattina trasmettendo dissi che avevo voglia di un caffè e a un certo punto sentimmo suonare il campanello ed era il titolare di Maria La Scala con un vassoio pieno di granite e caffè, e quando un pomeriggio, noi ragazzi, su una Citroen Rossa, tutta scassata, andammo in centro al Select e mentre eravamo davanti a un bancone pieno di rustici fummo accerchiati da gente che ci aveva riconosciuti solo dalle voci, non ci avevano mai visti. Per quanto riguarda la prima radio esistita in città era fatta, quindi, da voci di persone non conosciute e che si potevano immaginare in qualunque altro modo. In più con questo accento che non era siciliano, inevitabilmente, il tutto ha avuto un successo dell’immaginario. Le cose cambiarono, naturalmente, quando il mondo della radio esplose a livello cittadino e non solo: sapevi, a quale punto, che stava trasmettendo il tuo amico e lo andavi a trovare, chiedevi la dedica per la ziticedda, insomma il fascino del mistero era caduto, ma non il fascino di uno strumento che consentiva di poter fare qualunque cosa.”
Quindi a Messina quando è come inizia a consolidarsi il mondo della radio?
“In contemporanea con la sentenza della Corte Costituzionale che liberalizza il settore. Nel 1975 ci sono stati tentativi ma tutti soffocati dall’allora Pretore che sequestrava gli impianti perché si violava il monopolio della RAI. La Corte Costituzionale disse che l’aria appartiene a tutti i cittadini e tutti i cittadini quindi potevano andare in onda. Da quel momento, era luglio 1976, ci fu un’esplosione: nascevano 10, 20, 30 radio al giorno. E fu un fenomeno assolutamente collettivo che coinvolse chi trasmetteva e chi girava intorno alle radio. La più popolare ai tempi era sicuramente Radio Antenna dello Stretto, ma ce ne erano tante e non vorrei fare torto a nessuno nel citarne solo alcune, Radio Messina Uno Special, Radio Libera Messina, Radio Messina International. Sono state radio che non solo hanno fatto da palestra per un sacco di gente, non per forza nel mondo della musica: da Antenna sono passati Maurizio Marchetti che poi ha fatto altro nella vita, è passato Nino Frassica, Nini Bruschetta, Ninni Panzera ha avuto anche una breve esperienza radiofonica, Messina Uno special aveva un campione della notte che si chiamava Paolo Miceli. Ma queste radio, soprattutto, hanno fatto una cosa che nessuno faceva, hanno portato in città gli spettacoli di quelli che erano i big del momento. Vasco Rossi, la prima volta, è venuto qui perché lo ingaggiò e lo portò Angela Costantino, editrice di Messina Uno Special. Insieme a lui arrivarono molti altri artisti come Renato Zero, Gianni Morandi, così Messina divenne una città che aveva anche la musica dal vivo.”
Quale fu poi l’evoluzione in città?
“La radio a un certo punto viene regolarizzata, prima era molto semplice creare una radio, non ci voleva niente, ma poi arriva la legge Mammì che diceva che si dovevano presentare determinati documenti, aumentò la burocrazia, e allora ci fu una specie di selezione naturale: chi poteva è andato avanti, gli altri si sono ritirati a poco a poco. La radio a Messina è durata fino agli anni 2000, l’ultimo fenomeno è Stato quello di Radio Street. Perchè Radio Street ce l’ha fatta? Perché fu la prima, e forse l’unica, che si inserì nel mondo dei social, quindi creò un binomio quasi perfetto tra social e radio, questo contribuì molto al suo successo, al fatto che veniva ascoltata anche con numeri interessanti. Il problema delle radio locali ad un certo punto, inevitabilmente, è stato il sostentamento economico, diventava complicato, ma anche la difficoltà nel trovare gente che trasmetteva, perché cambiano le prospettive, adesso un ragazzo vuole fare il content creator.”
Cosa girava e cosa si veniva a creare attorno al mondo della radio a Messina?
“La radio è stata, a mio avviso, la migliore prova del fermento culturale di questa città, perché non era solamente la radio era tutto quello che generava. All’inizio degli anni ’80 a Sant’ Alessio nasce un locale che per primo trasmetteva roba come Cure, Smiths, Simple Minds: è l’Ikebana, con me e con Enzo Russo che passavamo musica, ebbe un successo enorme perché era l’unico locale in cui tu potevi ballare questo genere in un momento in cui eravamo ancora sotto gli effetti della Febbre del Sabato Sera e invece lì con Enzo ci venne questa intuizione. In modo inconsapevole abbiamo messo la musica degli anni ‘80 che è quella che ancora oggi funziona, era veramente potente. Messina era un grande punto di riferimento radiofonico, ci invitavano alle presentazioni dei dischi, non mi scorderò mai quando ad Antenna dello Stretto arrivarono i biglietti per un viaggio a Roma e ci ritrovammo al Piper per la presentazione di “America” di una giovanissima Gianna Nannini. E Messina è stata anche un punto di riferimento per le vendite, a noi mandavano i dischi, li passavamo e la città li comprava. C’ erano tanti bei negozi di dischi e di musica. Era una città che rispondeva in modo importate. Era anche città capozona per i film, prima venivano presentati qua e poi andavano altrove: è di dominio pubblico che Nuovo Cinema Paradiso deve il suo successo alla prima fatta a Messina. Era la città delle band locali d’ eccellenza: i Victrola sono stati, lo dice la critica europea e nazionale, una delle band più importanti delle New Wave ed oggi per i collezionisti un loro album vale 2-3.000 euro. Ma anche ai tempi di Radio Street, la più recente, c’era un bel movimento: si trametteva in radio e poi si andava a bere tutti insieme, si andava ai concerti del Retronouveau che portava artisti che trasmettevamo, vedi i The Giornalisti ed il fenomeno dell’indie italiano, trasmettevamo in diretta anche da alcuni lidi o locali in città. Insomma Messina era ed è stata una città in cui radio, musica, spettacolo primeggiavano nel sud, non soltanto in Sicilia. Cito una giornalista che mi disse “Messina non si è mai presa cura di sé stessa, e quindi è forse per questo che non sono andate bene poi le cose” ed aggiungo che Messina, purtroppo, non ha memoria.”
Chi erano negli anni d’ oro delle radio messinesi gli speaker più in voga oltre te?
“Ma eravamo un paio. C’ era ad esempio Paolo Miceli, grande affabulatore notturno, dobbiamo immaginare il periodo: non è che la tv faceva il film oppure c’era lo streaming e tu potevi cambiare, quindi la notte la radio era assolutamente la compagna principe delle serate e lui parlava con tutti, riusciva a confrontarsi con tutti senza mai scadere nella banalità o altro. Un divo fu Antonio Lo Giudice, aveva una parlantina assolutamente esagerata ma che piaceva molto, Antonio fu davvero un grande divo di quegli anni, lo fermavano per gli autografi, ancora non c’erano i selfie per fortuna, era sempre circondato ovunque andasse da gente che gli voleva stringere la mano, chiedere di fare una dedica, cose di questo genere.”
Hai trasmesso in tantissime radio, ma le tre del cuore quali sono?
“Nessuno me ne voglia ma sicuramente la prima, Radio Onda, perché è legata ai miei 20 anni, ad un rapporto d’amicizia con questi quattro, due purtroppo non ci sono più, che rimane ancora oggi, e poi Antenna dello Stretto che mi ha dato la visibilità maggiore. Infine Radio Street perché in Radio Street io ho rivisto quella stessa passione, quella stessa freschezza che animava le radio all’inizio.”
Qual è la situazione delle radio adesso in città?
“Ne dobbiamo proprio parlare? È un panorama triste, ma non è colpa neanche delle radio stesse è l’arrivo del network che ha stravolto e cambiato tutto. Non ho mai capito perché le scuole non diano la possibilità di creare una radio o un podcast, ma mi fa piacere che all’ Università di Messina i ragazzi abbiano la propria radio. Resiste Antenna dello Stretto che però offre un palinsesto che non c’ è. Nei dintorni la più attiva è Radio Taormina. Ecco ad oggi, forse, il fenomeno più interessante, quello che può sostituire la radio, è il podcast. Ha le caratteristiche uguali, sono delle voci che parlano, quindi tu non devi essere costretto a stare a guardare. E poi c’è questa novità che tu te lo puoi ascoltare quando vuoi. Certo viene meno l’immediatezza della radio e lo scambio diretto tra chi parla e chi ascolta, perché magari è registrato il 15 maggio e tu te lo senti il 6 agosto, però penso che a questo punto è l’unico mezzo di comunicazione che può somigliare alla radio. Non fosse altro per lo studio, il microfono, e poi perché se c’è una cosa che dopo 50 anni della radio è rimasta sempre uguale che è proprio il suo assetto che va al di là delle innovazioni tecnologiche: c’ è qualcuno che parla e qualcuno che ascolta, è un rapporto che si crea in maniera colloquiale e che nessun altro mezzo riesce a dare. La televisione, i giornali non ce la fanno. La radio è proprio, per usare quasi un termine psicologico, la voce amica.”
Dov’ è finito tutto quel fermento?
“È finito, probabilmente uno dei motivi è che in città mancano gli spazi reali e concreti, ben organizzati, per suonare, per organizzare concerti e per trasmettere. C’ è da dire anche che chi per una vita ha tenuto le redini di queste situazioni è invecchiato o sta invecchiando, non c’ ha più la forza. Alcuni delle nuove generazioni ci provano, ma la mancanza di spazi li limita tantissimo. Per il resto le nuove generazioni hanno preso altri modelli di riferimento e si sono impoveriti nel linguaggio per l’uso dei social: c’è questa mancanza di curiosità, di ricerca e me ne accorgo anche nell’ambito della vita notturna. I locali ormai sono tutti uguali una volta c’era una differenza: guarda che lì fanno la commerciale, lì invece è proprio rock e quindi anche tu che vagavi per la notte avevi il tuo spazio, adesso fanno tutti per lo più elettronica. E questo mi riporta ad un discorso più ampio: arriva poca musica da fuori, forse resiste solo quella caraibica, e poi appunto la tecno e l’elettronica che sono proprio facili, le mixi facili e ti fanno guadagnare. Non c’ è più scambio, commistione, è tutto piatto. Pino Daniele esplose perché andò ad unire al napoletano il blues, e i grandi cantautori italiani, vedi De Gregori, avevano maestri a cui ispirarsi come Bob Dylan.”
Il 10 luglio al Giardino Corallo verrà presentato un documentario sulla storia della Radio a Messina
“Esattamente, “La Rivoluzione in FM – La Storia della Radio a Messina” che a me e ai miei compagni di avventura, Enrico Di Giacomo e Daniele Brigandì, è costato un anno di lavoro ed arriva in concomitanza con i 50 anni della radio. È nato prima con un’idea, poi con un’altra, poi ha preso la forma definitiva che vedrete il 10 luglio, alle ore 21.00, al Giardino Corallo in una serata a ingresso libero. Nasce da me e da Enrico Di Giacomo dal punto di vista di sceneggiatura e di racconto, e poi c’è la parte tecnica curata da Daniele Brigandì che ha fatto davvero un gran lavoro, perché questi speaker della radio hanno il vizio di parlare tanto e allora abbiamo dovuto ridurli perché altrimenti veniva fuori un film più lungo di quelli di Nolan. Siamo arrivati all’ora e trenta dell’attuale formato di La Rivoluzione in FM, siamo contenti di com’è venuto, penso che abbia ritmo. È fatto di sei ore di filmato, 24 interventi parlati di ospiti, 54 canzoni di colonna sonora. La musica, ovviamente, è sempre sotto. Partiamo proprio dall’inizio, dalla sentenza della Corte Costituzionale e, a poco a poco, raccontiamo come si sviluppa la radio in città, come si trasmetteva con i dischi, perché le radio non ce li avevano e quindi ti portavi dietro i tuoi, e poi il discorso dei personaggi, dei grandi interpreti e il ruolo che la radio ha avuto per lo sviluppo del giornalismo italiano messinese. Sono uscite fuori figure di grande rilevanza, da Silvana Polizzi che da Antenna dello Stretto poi arriva a Rai 3 e diventa capo redattrice di Rai 3 Sicilia, Fabio Mazzeo, Emilio Pintaldi, Gabriele Fazio ha cominciato in radio con Radio Street e adesso è diventato un severo censore e critico musicale per Open. Senza Enrico Di Giacomo, però, probabilmente questo documentario non sarebbe mai nato, da solo non l’avrei mai portato avanti.”
Così è per te la radio? Continui ad ascoltarla?
“La radio è il luogo in cui ti puoi esprimere al meglio qualunque sia il tuo carattere, soprattutto se sei un timido. Oggi lo schermo dei computer dà adito e spazio agli haters, con la radio non c’era questo problema. Quando nasce la radio è, in primis, l’opportunità per chi ha difficoltà a rapportarsi. Fu uno strumento di utilità parecchio evidente e poi è stato uno strumento creativo per eccellenza perché ti consente davvero di essere te stesso e se ce la fai puoi lasciare anche il segno. Aggiungici che, naturalmente, questo fatto che tu diventi amico, anche se non lo conosci, con chi ti sta ascoltando e viceversa ti porta a creare un legame incredibile e bellissimo. Per me è stato non solo il mio lavoro, ma una grande passione come la musica. Tante volte ho pensato di smettere, dico questa è l’ultima, e poi non lo faccio mai proprio perché sono delle passioni troppo grandi e non ci riesco a lasciarle andare. L’ unica radio che ancora ascolto, ogni mattina, è la BBC One: è l’unica che passa ancora un certo tipo di musica, ti sveglia con i Chemical Brothers, passa tanto blues, trovi mostri sacri della musica, avanguardia, contaminazioni ed è una radio dove passano tantissime artiste donne.”
Qual è per te la canzone sinonimo di radio?
“C’ è una canzone a cui sono molto legato che Radio Onda usava come tampone, vivevamo ai tempi proprio come una comune, quindi tra uno e l’altro che trasmetteva a volte passava un po’, perché si trasmetteva quando ti andava. E allora c’era questo pezzo molto strumentale “Jessica” degli Allman Brother Band, che il chitarrista Dickey Betts dedicò alla figlia Jessica, che scegliemmo proprio perché durava 10 minuti e che diventò un vero tormentone. Questo è il pezzo che caratterizza i miei ricordi di quello che è il periodo dell’esplosione delle radio, ma credo che caratterizzi un po’ tutti coloro che erano attivi nello stesso arco di tempo. “Jessica” è un pezzo che fa proprio radio.”
Qual è il tuo P.S. (Post Scriptum)?
“Quell’odore che arrivava a maggio dagli alberi, non so dirti che pianta era, forse il tiglio. Ecco, il mio primo ricordo di Messina quando sono arrivato era questo odore, questo profumo enorme che sentivi in tutta la città, adesso non c’è più e questo mi manca parecchio. Mio padre era originario del Lazio e mia madre calabrese, si conobbero in Calabria e io, fortunatamente, sono nato e cresciuto a Tropea, ma crescendo per me la città era Messina: Messina era Los Angeles, era California. Aveva i negozi, bei negozi. Ed una volta che ci sono arrivato non me ne sono mai più andato, nonostante le varie offerte ed opportunità che mi venivano a cercare. Sono molto grato a Messina, ci sono rimasto per scelta e fino ad ora mi è andata bene.”