Ce n’est qu’un début. Non è che l’inizio.
Parliamo di sardine. Questi vivaci, gioiosi pesciolini che debutteranno sabato prossimo anche nella nostra città. Sardine che stanno facendo impazzire l’intera, squallida classe politica che adesso popola il Parlamento, o forse sarebbe meglio dire che in esso bivacca.
Perché questa classe politica frigge, si rode e cerca di minimizzare o viceversa di mettere un cappello sopra tale fenomeno? Semplice, perché le sardine oggi appaiono l’unica realtà in grado di riguadagnare alla passione civile tutti coloro che negli ultimi anni se ne sono discostati, per nausea e disillusione. Gente che aveva creduto, votato e in alcuni casi lottato per un paese migliore e si ritrova oggi con un’Italia bolsa, incattivita, disposta a civettare con quell’eterno fascismo sempre serpeggiante come fiume carsico e a tratti riemergente come fogna che tracima.
A guardare con occhi disincantati la situazione attuale, pare che la metafora coniata da Leonardo Sciascia ne Il giorno della civetta (la linea della palma sale sempre più a nord) abbia registrato negli ultimi anni una traiettoria uguale e contraria. La linea dell’egoismo e del sovranismo si è addentrata sempre più verso il sud, e se la mafia è stata esportata in terra lumbard e molto oltre, l’orrida ideologia leghista ha contagiato le un tempo accoglienti terre meridionali. Singolare situazione, che conferma ancora una volta la giustezza dell’asserzione marxiana nel Manifesto che i ceti medi facciano girare all’indietro la ruota della storia (“Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l’artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia, per premunire dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi. Quindi non sono rivoluzionari, ma conservatori. Anzi, sono reazionari, poiché cercano di far girare all’indietro la ruota della storia. Quando sono rivoluzionari, sono tali in vista del loro imminente passaggio al proletariato […]”).
Se andiamo a sentire ciò che le sardine dicono, pare di prendere una boccata d’aria pura a cospetto dei miasmi che altrove vengono spacciati per programmi politici. Cercando di leggere quanto sia sotteso all’acrostico della felice denominazione (Solidarietà-Accoglienza e Antifascismo-Rispetto-Diritti umani-Intelligenza-Non-Violenza-Empatia), mi provo a decriptare i messaggi che provengono da questa nuova folla non più solitaria.
Contro le fake news occorre essere in tanti, e in tanti scendere nelle piazze e testimoniare tale disgusto verso le realtà costruite a tavolino. La retorica populista si combatte non utilizzando le sue medesime logiche ma mettendo in circolazione arte, bellezza, non violenza, creatività e ascolto. Primato della testa sulla pancia, del pensiero critico sulle possessioni indotte da sciamani di mezza tacca. Le persone hanno da essere reali, e non squallidi avatar da tastiera. E tale realtà si misura mettendoci la faccia, nelle nuova agorà che vanno costruite. Nessuna esclusione, nessun odio, nessuna discriminazione. Se non verso chi esclude, odia, discrimina (ma anche verso costoro, più che l’odio è preferibile la damnatio memoriae).
La medesima fiducia di Greta Thunberg verso la piazza, anche in questo caso con una venatura ecologica, di un’ecologia mentale consapevole che non ci sia rapporto di conseguenza tra crescita economica e benessere, e che anzi il consumo (o meglio, il suo eccesso) conduca al peggioramento della qualità di vita degli uomini e della salute del pianeta.
Il particulare, l’individualismo sono la negazione dell’umano. Siamo tutti facenti parte di reti, che vanno riconosciute e rigenerate. L’empatia è una virtù; solo attraverso essa una Rivoluzione è rispettabile. Spazio dunque alla gratuità e all’attenzione verso le cose concrete. Non disgiunte da gioia e leggerezza. Speranza e coraggio, per cambiare il mondo iniziando a farlo con se stessi.
C’è insomma abbastanza di Rousseau, un pizzico di Marx, molto dei Padri fondatori della nostra bella Repubblica, un mix di Latouche e Lévi-Strauss e un bel po’ di Papa Francesco. Dicevo che i politici tremano. E pour cause, perché costoro, almeno finora, non intendono formare alcun partito, e neanche può il loro definirsi un movimento, mancando del tutto nei loro leaders la boria e il protagonismo di tutti i partiti e i movimenti che hanno abitato e abitano ancora la politica nazionale. Non un nuovo partito dunque, ogni sardina voterà in futuro quello che passa il convento, ma una sorta di benefico deodorante volto a depurare e ingentilire l’ambiente, oggi poco respirabile.
Per usare un termine palermitano che a me pare assai calzante, le sardine sono un popolo di abbuttàti, di persone stanche della vecchia politica ma per niente disposte a cavalcare l’antipolitica. Non hanno infatti granché fiducia nella purezza della logica “uno vale uno”, perché tale sciocca formula ha prodotto tanti transfughi quaquaraquà oggi come ieri (oggi nei Cinquestelle, ieri nell’Italia dei Valori). Desiderano solo, questa almeno è la mia impressione, vivere in un Paese più normale, in cui gente come Salvini, Pillon, Borghezio e tutta la pletora a loro assimilabile, da Berlusconi a Santanchè, torni ad essere materia di studio e terapia per analisti, freudiani junghiani o adleriani poco importa.
Vogliono vivere con gioia il nostro tempo e ricacciare nei ghetti delle turbe individuali le incredibili pulsioni negative che come una metastasi hanno da qualche anno a questa parte iniziato a corrodere tessuti altrimenti sani del Paese. E intendono farlo riguadagnando alla speranza tutti coloro che dal voto si sono allontanati, per pigrizia o disgusto.
Ci riusciranno? Quien sabe! Io, nel frattempo, giusto per tenermi in esercizio, ho deciso di “sardinarmi”. Chissà che nuotando nuotando non riesca a raggiungere mari più aperti, con acque più limpide e meno melmose.