Il primo maggio stavo affrontando una coda inumana sul viale Regina Elena e ho buttato un occhio su Facebook mentre le macchine in fila diventavano un monumento al traffico cittadino; c’era questo status scritto da una mia ex compagna delle medie che mi ha colpito subito, perché riportava un pensiero simile al mio ma da un punto di vista differente: erano parole di chi era tornato a Messina dopo aver vissuto anni fuori e si trovava sul percorso persone che provavano a scoraggiarla, a dirle che ‘cca non c’è nnenti. La playlist di oggi la voglio dedicare in qualche modo a Giordana e a chi, come lei, come noi nel nostro piccolo, ha scelto di stare qui in questa città malandata. Perché proprio dove non c’è niente puoi costruire qualcosa, altrimenti stai solo a osservare ciò che hanno fatto, magari male, gli altri.

Edda – Picchiami

È stato comunque un weekend particolare, perché sabato sono andato in uno dei miei posti preferiti, l’Opera Commons di Aci Bonaccorsi, dove ho assistito tra le altre cose a un monologo, Asia, scritto da Antonio Ciravolo e interpretato da Tiziana Giletto. Esemplari entrambi, lei nella magistrale interpretazione e lui nella descrizione di emozioni che non ha mai provato, perché Asia è la storia di una donna raccontata in prima persona, parlando delle proprie emozioni e di una turbolenza ardua da riportare. Per questo mi è venuto in mente quella stessa sera Edda, al secolo Stefano Rampoldi, ex frontman dei Ritmo tribale, uno che le canzoni le scrive come pochissimi altri in Italia. Una voce incantevole e una capacità di immedesimarsi anche in panni femminili figlia di una sensibilità unica. E pensare che il pezzo in playlist, Picchiami, a detta dello stesso Edda, è un brano senza senso.

 

Daniele Gottardo & The Nuts – Ko-Ko

Nella sala accanto intanto, mentre Tiziana Giletto recitava, c’era della gente che appendeva quadri alla parete; i quadri di Federica Fornaro, per la precisione Federica su queste pagine l’abbiamo già intercettata in precedenza perché è una talentuosa polistrumentista che fa parte anche dei Basiliscus P, uno di quei gruppi che ti danno l’impressione di passare quasi per caso da una città poco interessata alla musica come Messina—e qui un po’, ahinoi, torniamo al discorso dell’introduzione. Ad ogni modo, Federica oltre a saper suonare dipinge, e tra i suoi lavori c’era esposto anche un grande pistacchio, quello che vedete nel video qua sopra, perché è la copertina di Giant Nuts, disco sfavillante di Daniele Gottardo & The Nuts (e ve la butto lì, per gradire: anche il batterista dei The Nuts è messinese—e che batterista è Peppe Risitano, signori miei. Vedi, a volte, la vita).

 

Kendrick Lamar – u

Prendo la scia jazz per esplorare un altro territorio, come fece nel 2015 Kendrick Lamar per uno dei dischi assolutamente fondamentali per capire cosa siamo diventati negli ultimi vent’anni. To pimp a butterfly è il regalo di un profeta e u è l’episodio forse più scuro di un disco che affronta problematiche sociali tuttora delicatissime come il trattamento spesso riservato negli Stati Uniti alla comunità afroamericana; non è un album che si piange addosso, ma è un fortissimo momento di autoanalisi che proprio con u vede un passaggio necessario per poter giungere a una conclusione. Kendrick mette nero su bianco debolezze e insicurezze, dà loro forma e le affronta in un viaggio che poi, qualche brano più avanti, vedrà un’altra tappa, con una luce totalmente opposta, chiamata i. Guardandosi da fuori si capisce come crescere e migliorare. Sempre a patto che si voglia fare.

 

Genesis – Aisle of Plenty

La prima volta che ascoltai Selling England by the pound rimasi folgorato maggiormente rispetto a quando, sempre per la prima volta, nel mio stereo risuonarono le note di The Lamb Lies Down on Broadway; due dischi profondamente diversi ma distanti solo pochi mesi, due dischi affascinanti che chiudono la parentesi dei Genesis in formazione originale, dato che poi Peter Gabriel saluterà per iniziare la carriera solista, sostituito alla voce da un batterista discretamente intonato chiamato Phil Collins. Aisle of Plenty chiude Selling citando una sezione musicale di Dancing with the moonlit knight, primo brano del disco, e inizia con quell'”I don’t belong here” che lo lega perfettamente al tema odierno di questa playlist. Paradossalmente il brano più breve dell’album, ma come un lucchetto in un manifesto politico e culturale.

 

Nine Inch Nails – The great below

Dove non c’è niente si può costruire, ma ci vuole coraggio per tornare dove non c’è nulla, o per non andarsene da dove non c’è nulla, specie se si crede davvero che ci sia un posto vuoto, un buco nero in cui speranza e cultura sono state risucchiate insieme a quell’innato senso di rivalsa che è tipico dell’essere umano quando viene messo alla prova. E cos’è il coraggio se non la folle idea di sfidare le proprie paure? E, a loro volta, cosa sono le paure se non delle situazioni che bloccano in qualche modo il naturale scorrere degli eventi? Dare forma a un timore, a una paura è un primo passo per sfidarla a duello, per spingere sull’acceleratore e superarla. “I will take my place in the great below”, canta Trent Reznor in un brano da brividi veri, uno dei più riusciti di un capolavoro chiamato The fragile; se si vuol rendere grande qualcosa serve a tutti questa spinta, e oggi questa playlist vuole ringraziare chi prova, non solo il lunedì, a sopravvivere in questo territorio da ricostruire con pazienza e tanto amore.

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