Allora, signori, come stiamo? È quasi finito anche febbraio, e so che a tanti questa notizia fa piacere, perché siamo quasi in estate, diciamoci le cose come stanno. Tra poco è primavera, il freddo va via, gli uccellini cantano, noi ci mettiamo il costume e ce ne andiamo a mare o nei vari festival europei. Insomma, sì, avete capito: vogliamo provare a essere ottimisti e dare qualche motivo per sorridere, perché poi pare che questa sia una rubrica in cui vi proviamo ad abbattere; sarebbe un errore pensarlo, perché ad abbatterci ci pensa la vita. Noi siamo solo un cerotto che prova a durare circa sette giorni, e la nostra cura anche questa settimana è composta da cinque canzoni. Queste che vedete, leggete e ascoltate qui di seguito.

 

Peter Gabriel – The Barry Williams show

Ho guidato per una giornata intera con questa canzone in testa senza saper nemmeno spiegare il motivo, ma fatto sta che il primo singolo estratto da Up è un brano che merita di essere riascoltato. Il disco è molto interessante, si parla con classe di vita e di morte, in questo pezzo si parla di televisione e di contenuti, della loro qualità. Gabriel è cinico ma mai eccessivo, spiattella in faccia la realtà senza strabordare e il suo ritratto è a vent’anni circa di distanza ancora molto attuale e verosimile. Il Barry Williams show non è solo il programma della Barbara D’Urso di turno, è anche una tribuna politica e un programma di approfondimento sociale: è la piattezza cui ci stiamo abituando, e Peter Gabriel ci ha gentilmente indicato la strada con questo brano.

 

 

Moby – Lift me up

Mentre canticchiavo tra me e me Peter Gabriel provando a svolgere la funzione di Shazam umano (se conosco una canzone prima o poi me la ricordo, è automatico), istintivamente ho pensato che a cantare fosse Moby anziché l’ex Genesis. Chiaramente queste righe testimoniano il mio errore, ma non sbaglierò nel mettere da parte proprio Moby che nel 2005 scrisse questo brano scegliendolo come singolo di lancio del disco Hotel. Praticamente era il 2004 quando in America Bush conquistò per la seconda volta la Casa bianca e lui, il nostro Moby, cosa fece, voi tutti chiederete? Disse che si sarebbe preso una casetta comodina in Canadà, ma senza quella roba dei fiori di lillà, e in più scrisse questa canzone per protestare.

 

 

Prodigy – Thunder

Quando nel 2009 uscì Invaders must die alcuni lo criticarono, altri lo definirono il miglior lavoro dei Prodigy dopo The fat of the land, disco clamoroso pubblicato nel 1997. In realtà Invaders è un disco solido, invecchiato bene, in cui ancora oggi risaltano dei veri e propri bangers tra cui la traccia che inseriamo oggi in una playlist che sta carburando e alzando i giri del motore. Sento un tuono ma non c’è pioggia, trafficu pi nenti avrebbe detto Shakespeare se fosse stato effettivamente messinese. Ma il niente dei Prodigy è un niente ricco di esaltazione, un mix di sonorità pazzesco che non risente affatto dei dieci anni di vecchiaia e, forse, effettivamente chi lo paragonava a The fat of the land tanto torto forse non lo aveva.

 

 

I hate my village – Tony Hawk of Ghana

Non so se lo avete visto (ma in caso recuperate, dai), ma sabato è partita una nuova rubrica su Lettera Emme che ho il piacere di condurre in video rappresentando il Collettivo Mandarino. Discordie nasce come pillola bisettimanale su un disco o un fatto particolare, e la prima puntata è dedicata a uno di quei progetti che ci rendono orgogliosi della nostra musica, perché non ha veramente nulla a che fare con i canoni italiani. Gli I hate my village sono Rondanini, Fasolo, Ferrari e Viterbini, tutti provenienti da ambienti parecchio diversi tra loro che si sono incontrati su un terreno ancora inesplorato in Italia. Il disco è breve e scorre via che è un piacere, per presentarvelo anche nella playlist scegliamo il primo singolo estratto, potente e bellissimo, ovvero Tony Hawk of Ghana.

 

 

Spiritualized – I think I’m in love

Che poi sì, è stata in fondo la settimana più importante di questo inizio 2019 per un motivo ben preciso, dato che c’è stato l’annuncio che aspettavo da decine di giorni. La seconda tornata di artisti presentati per l’Ypsigrock Festival 2019 è importante perché, con i National già anticipati a fine 2018, mi aspettavo un grande nome e così è stato. Da giovedì fluttuo nell’iperuranio, non nello spazio in cui invece si trovano dal 1997 gli Spiritualized di Jason Pierce, l’autore di uno di quei dischi che cambiano la vita di un ascoltatore, perché è dolcemente forte, è prudentemente incalzante, spiazza ad ogni ascolto senza mai ingannare, rimane sempre fedele a sé stesso maturando replay dopo replay. Come l’amore sotto eroina del brano che chiude la playlist odierna, una playlist di una settimana che iniziamo con moderato ottimismo perché se mancano solo 160 giorni al festival dell’anno non puoi che sorridere.

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