MESSINA. Anche a Messina a Piazza Cairoli e nelle vie limitrofe gli strilloni urlavano: “L’Ora della sera… L’Ora…”. Il glorioso quotidiano palermitano “L’Ora” ha avuto un meritato omaggio da due fiction andate in onda nel giro di poco più di un mese sulle maggiori tv nazionali. Il 22 e 23 maggio, per la commemorazione del trentesimo anniversario della strage di Capaci, su Raiuno è stata trasmessa “Solo per passione – Letizia Battaglia fotografa” in onore dell’indimenticabile fotografa palermitana scomparsa lo scorso 13 aprile. E in cinque puntate dall’8 giugno al 6 luglio in prima serata su Canale 5 è andata in onda “L’Ora – Inchiostro contro piombo” con Claudio Santamaria nei panni del leggendario direttore (pur col nome cambiato) del quotidiano Vittorio Nisticò. Alla scrittura della miniserie di Raiuno in due parti da 110 minuti ciascuna per la regia di Roberto Andò aveva partecipato la stessa Letizia Battaglia, assieme al regista e agli sceneggiatori Angelo Pasquini e Monica Zapelli, premiata nel 2001 assieme a Claudio Fava e Marco Tullio Giordana con il Nastro d’argento e il David di Donatello per la migliore sceneggiatura per il film “I cento passi”. La fiction è stata apprezzata dagli spettatori di Raiuno, quasi tre milioni per la prima parte (share 17,8%), in crescita per la seconda fino a 3 milioni 285mila (share 18,3%). Molto lodata l’interpretazione dell’attrice palermitana Isabella Ragonese, che ha saputo incarnare la vulcanica creatività e lo spirito di indipendenza che hanno caratterizzato l’esistenza di Letizia Battaglia. Nella fiction “L’Ora” appare quando nel 1969 la fotografa scopre il proprio talento negli scatti e comincia a collaborare con il quotidiano, rarissima presenza femminile in un universo prettamente maschile. Dopo una parentesi milanese, Letizia a Battaglia torna a lavorare per “L’Ora”, realizzando fondamentali testimonianze visive della tumultuosa guerra di mafia dalla metà degli anni Settanta in poi. Suo è lo scatto nell’Hotel Zagarella dell’incontro tra i cugini Salvo, Ignazio e Nino, con Giulio Andreotti, immagine fondamentale per l’accusa nel processo al senatore a vita. Sua è la storica foto del 6 gennaio 1980 del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella ferito a morte dai sicari e agonizzante nella propria auto, soccorso dal fratello Sergio, futuro presidente della Repubblica. Non ci sono foto di Letizia Battaglia né dell’attentato che costò la vita a Giovanni Falcone, alla moglie e alla scorta, né di quello (il trentennale sarà il prossimo 19 luglio) che stroncò Paolo Borsellino e la sua scorta, né dell’uccisione – il 17 settembre 1992 – di Ignazio Salvo da parte del commando mafioso composto da Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Gioè, su mandato di Totò Riina, con modalità simili al precedente omicidio di Salvo Lima, il 12 marzo di quello stesso anno. Letizia Battaglia non voleva più immortalare quell’immane valanga di sangue. E la regia di Roberto Andò fa concludere la fiction col ritorno di Letizia in persona nel quartiere palermitano della Cala alla ricerca di quella “bambina con il pallone” che aveva immortalato in una celebre foto. La figura determinante per l’attività della Battaglia a “L’Ora” è quella del direttore del quotidiano Vittorio Nisticò, interpretato in questa fiction dall’attore palermitano Fausto Russo Alesi. Qui Nisticò è nell’ultimo periodo del suo straordinario periodo di direttore de “L’Ora”, esattamente un ventennio dal 1954 al 1975 quando fu chiamato a Roma a “Paese sera”. Nisticò, nato in Calabria nel 1919 e morto a Roma quasi novantenne nel 2009, è una figura cruciale nel giornalismo d’inchiesta contro la mafia e nella modernizzazione dell’impaginazione e del lavoro redazionale. Certamente è lui il protagonista assoluto, però con il nome cambiato in Antonio Nicastro, della fiction “L’Ora – Inchiostro contro piombo” con la prestigiosa interpretazione di Claudio Santamaria. Dieci episodi di 50 minuti ciascuno, trasmessi due alla volta, per la regia nella varie parti di Piero Messina, Ciro D’Emilio e Stefano Lorenzi, con la sceneggiatura di Claudio Fava, Ezio Abbate e Riccardo Degni, ispirata dal libro “Nostra Signora della Necessità” (pubblicato nel 2006 da Einaudi) del giornalista Giuseppe Sottile che iniziò la sua carriera poco più che ventenne nel 1968 proprio a “L’Ora” con direttore Vittorio Nisticò. Per esigenze di finzione tutta l’azione è concentrata nel 1958, mentre l’Italia vive la scelta epocale della chiusura delle case di tolleranza sancita dalla legge Merlin, quando si immagina che il nuovo direttore (in realtà giunto nel ’54) arrivi a Palermo mentre divampa la guerra di mafia per il controllo di Palermo, e in particolare di Corleone, tra il boss Michele Navarra che era anche medico (benissimo interpretato da Fabrizio Ferracane) poco più che cinquantenne e il più giovane mafioso, poco più che trentenne, Luciano Liggio (interpretato da Lino Musella). Con l’uccisione di Navarra il 2 agosto 1958 decretata da Liggio (che poi tra latitanze e arresti sarà finalmente processato e morirà in carcere nel 1993) la fiction si conclude. Sempre per esigenze narrative, nella miniserie viene descritta all’inizio la devastante esplosione, su mandato di Liggio, del 19 ottobre 1958 che sventrò la storica sede del quotidiano a Palermo. “La mafia ci minaccia, l’inchiesta continua” titolò il giorno dopo Nisticò con encomiabile determinazione. Sul teleschermo viene bene descritta, coerentemente col sottotitolo “Inchiostro contro piombo”, l’intuizione di Nisticò di collegare tutti i fatti di cronaca nera di Palermo e provincia all’interno di un unico disegno criminale mafioso. Ma soprattutto la decisione, che oggi sembra scontata ma allora non lo era, di stampare a caratteri cubitali la parola “mafia”. Al tempo stesso è ben delineata anche la funzione mediatrice di Nisticò tra i propri redattori e il Partito comunista che era, di fatto ma non ufficialmente, editore del quotidiano. Nella fiction vengono cambiati tutti i nomi dei giornalisti, ma non è difficile riconoscere tra i vari attori le vere identità di redattori di quel tempo come Felice Chilanti, Mario Farinella, Marcello Cimino, Giuliana Saladino, Nino Sorgi e altri ancora. Invece restano immutati i nomi dei mafiosi Michele Navarra e Luciano Liggio. Per incrementare la tensione drammaturgica vengono posposti al 1958 il tragico omicidio mafioso del sindacalista Placido Rizzotto, avvenuto in realtà dieci anni prima Il 10 marzo 1948, e la susseguente crudele uccisione dell’innocente piccolo testimone Giuseppe Letizia, già ben narrati nei film “Il sasso in bocca” del ’69 di Giuseppe Ferrara con la consulenza di Michele Pantaleone e “Placido Rizzotto” del 2000 di Pasquale Scimeca. Nonostante gli evidenti pregi, uniti a un’originale narrazione antimafia e a un’atmosfera scura più da graphic novel che da film d’azione o di denuncia, “L’Ora – Inchiostro contro piombo” sembra aver spiazzato gli abituali telespettatori di Canale 5. Infatti dopo un discreto risultato al debutto con un milione e 900mila spettatori (share 12,2%), è iniziata una flessione per seconda e terza puntata con circa un milione e 300mila spettatori (share intorno al 9%), fino a precipitare nella quarta e quinta sotto il milione, con 978mila spettatori (7,1% di share). Resta tuttavia intatto l’omaggio a quel quotidiano dalla vita singolare, fondato nel 1900 dalla famiglia Florio, diventato fondamentale nella Sicilia del secondo dopoguerra non solo per l’apporto del Pci, ma per il coraggio nella lotta alla mafia e a tutte le sue perniciose diramazioni anche politiche con la Democrazia cristiana e con l’estrema destra, costato la vita a Cosimo Cristina (nel 1960), Mauro De Mauro (nel 1970) e Giovanni Spampinato (nel 1972). Dopo l’eccezionale periodo di Nisticò altri direttori si sono succeduti alla guida del quotidiano finché chiuse definitivamente il 9 maggio 1992, non senza aver intuito in embrione elementi della “trattativa” Stato-mafia, pochi mesi dopo l’esito del maxiprocesso, ma, per perfido scherzo del destino, poco prima di poter documentare e analizzare le spietate stragi di Capaci e via D’Amelio.

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