Ricordo personale. Il 13 marzo 2013 mi trovo a Castel di Tusa dove soggiorno un paio di notti a settimana per motivi di lavoro, e sto seguendo nel vecchio televisore miracolosamente rimasto funzionante nella grande, abbandonata casa dei nonni materni le fasi finali del Conclave, giunto alla fumata bianca. Allorquando appare questo nuovo Pontefice qualcosa mi dice che si tratta del Papa che ci vuole per il tempo difficile che stiamo vivendo. E, senza che io me ne accorga mi sento scendere in viso lacrime di gioia, mi scopro consapevole che il mondo da quel momento in poi diventerà migliore…
“Quando si fa sera, voi dite: bel tempo perché il tempo rosseggia; e al mattino: oggi burrasca perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?” (Mt.16,2-3).
“Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non valutate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 12, 56-57).
In più di un passo nel Vangelo Gesù invita a saper leggere i segni dei tempi. Compito assai arduo per chi, come tutti noi, si trova a brancolare nei labirinti della modernità, che spesso sfociano in vicoli ciechi e fanno intravedere false vie d’uscita.
All’inizio del lunedì dell’Angelo, dopo aver attraversato intrepidamente la Settimana Santa e aver vissuto la sua personale Via Crucis, ha lasciato questo mondo Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, la persona che per milioni di abitanti dell’intero pianeta ha rappresentato la più credibile incarnazione del Vangelo che possa darsi in un mondo lacerato come il nostro. Lo ha fatto, appunto, leggendo i segni dei tempi con nessun’altra guida che non fosse l’insegnamento del Nazareno, annunciando nel corso del suo stupefacente Magistero, senza mai stancarsi, come per gli uomini e le donne di oggi e di sempre solo quegli insegnamenti potessero costituire il baedeker per attraversare indenni la ferocia e l’infinita gamma di negatività con cui l’oggi e il sempre della storia umana si trovano impastati.
Quest’uomo ha mostrato, forse per primo, che all’interno dello stesso popolo di Dio che compone la Chiesa terrena non costituisca peccato avvertire forti perplessità a ingaggiare battaglie di tipo manicheo contro la modernità tout court per il solo fatto che essa non incarna né veicola lo spirito evangelico, ma occorra piuttosto tenere sempre aperti continui spazi di dialogo con tutti i “luoghi” della modernità e le contraddizioni in essa presenti, che vanno percepiti quali luoghi di evangelizzazione, di proclamazione della Buona Novella e al contempo di rispetto delle diversità di fedi, di cura verso la comune condizione nella ricerca di una pacifica coesistenza che possa permeare di sé l’umanità intera.
Papa Francesco ha così attraversato poco più di un decennio del XXI secolo, dodici anni appena delle nostre vite e di quella del pianeta, incidendo potentemente – a me pare – sulla coscienza dei cristiani e sulla consapevolezza che essi hanno di ritenersi tali, ma al contempo sulla Chiesa Cattolica intesa come istituzione terrena rivolta al cielo e soprattutto sulla società intera. E lo ha fatto “con timore e tremore” e anche con una dolcezza e una delicatezza disarmanti, facendosi testimone lucido e amorevole di questo scorcio di storia che lui e noi con lui ci siamo trovati a vivere. Per fare ciò, per esercitare fino in fondo questa sua missione di pastore odorante dell’afrore delle sue pecore, Papa Francesco è stato naturaliter, a suo modo, un antropologo, non solo conoscitore degli uomini e delle loro diversità ma anche appassionato amante delle forme di umanità che gli stavano dinanzi, proprio come il suo Maestro di duemila anni prima, quel giovanotto galileo che si accompagnava a sbandati, prostitute e scarti della società scorgendo in quell’apparente “letame” i fiori meravigliosi che in esso si celavano.
Verso i poveri di tutto il mondo, verso gli emarginati della storia Francesco ha da sempre dispiegato lo sguardo misericordioso di chi scorge in essi i poveri di spirito di cui parla il Discorso della Montagna, coloro che essendo stati privati del godimento dei beni di cui altri sono ricchi, proprio per ciò sono vasi vuoti, ancorché pieni di crepe, pronti a farsi riempire dall’azione della Grazia, che agisce nel mondo non attraverso rivoluzioni cruente ma modificando la durezza dei cuori ricondotti a carne palpitante.
Per cogliere appieno la portata rivoluzionaria della presenza di Francesco nella storia del mondo basterebbe leggere attentamente una qualunque delle sue ispirate Lettere Encicliche per accorgersi come quest’uomo si sia sempre fatto ferire dall’incontro con gli altri proponendo a noi tutti non soltanto un Paradiso di là da venire ma un Regno dei Cieli già da inverare qui e ora, iniziando a costruire un mondo a misura di tutti, privo di muri e di confini, senza conflitti e senza ingiustizie. Un mondo di pace.
(Per inciso, delle sue Encicliche quella che sempre continua a incantarmi è “Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune”, che meriterebbe di essere inglobata nelle Carte Costituzionali di tutti i Paesi liberi).
Poteva mai un simile profeta esser gradito a quanti considerano il pianeta alla stregua di un supermercato nel quale chi può arraffa più che gli è possibile scordandosi dei bisogni del prossimo? Infatti gradito non lo è stato Francesco, attaccato tanto dai potenti, dagli arroganti, dai politici sedicenti cristiani che contraddicevano nella prassi le loro strombazzate patenti di fede, quanto a volte – ahimè, anche dai prelati (alti, medi, bassi) tradizionalisti che allignano nella stessa Chiesa di Dio. Questi ultimi assai in sintonia con quel Grande Inquisitore, mirabilmente narratoci da Fëdor Dostoevskij nei Fratelli Karamazov, che lascia marcire in prigione e decreta la morte di Gesù Cristo tornato sulla terra perché la piena assunzione del suo messaggio di amore metterebbe a repentaglio il potere gerarchico che la sua Chiesa aveva costruito.
Ecco, se dovessi definire questo straordinario Papa che un Padre amorevole (o il caso, per quanti non credono) ha voluto donarci in uno dei momenti più bui della storia contemporanea, mi verrebbe da contrapporlo in tutto e per tutto a quel tristo figuro, oscena parodia del Vangelo e del messaggio di amore universale da esso veicolato. Un messaggio che ancora una volta il Galileo ci rammenta: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato”. (Mc 2, 27-28)
Un discorso a parte andrebbe fatto, ma il dolore mi impedisce di farlo, su tutti gli sciacalli che in vita lo hanno denigrato o hanno tenuto in non cale i suoi inviti alla pace, al disarmo, all’accoglienza dei migranti, al rispetto della natura tutta, questa nostra “sorella” che già il santo da cui aveva mutuato il nome ci insegnava ad amare e rispettare. Il numero di costoro è legione, poiché essi incarnano la tentazione e l’arroganza del male cui ogni cristiano è sempre chiamato a opporsi.
Anche a questo, ai falsi profeti e a quanti mercificano la Buona Novella, dovrebbero tutti i cristiani abituarsi a far fronte, innanzitutto imparando a riconoscerne le mentite spoglie, come già ammoniva Gesù in uno dei suoi insegnamenti: “Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: «Sono io», e: «Il tempo è vicino»” (Lc 21,7-8).
Credo e spero che anche sotto tale aspetto, direi di cura semeiotica da esercitare nei confronti della realtà e di quanti ne fanno parte, il luminoso percorso di Jorge Mario Bergoglio (che io ritengo accoccolato già tra le braccia del Dio da lui tanto amato) possa aiutare non solo i cristiani ma tutte le persone di buona volontà a non smarrire mai la luce necessaria a illuminare il proprio percorso esistenziale.
Uno dei miei maestri, Luigi Lombardi Satriani, mi insegnò – ormai molti anni fa – che il nostro compito di uomini debba essere sempre quello di trasformare il protocollo delle nostre paure nella mappa delle nostre speranze. Il Papa argentino venuto da lontano mi ha aiutato in tutti questi anni a crederci, e a farlo.
Nient’altro da dire in questo momento su Francesco. La sua tomba è già vuota!