Caro amico,
Come stai? Come va da quelle parti?
Qui, beh… per farti capire la situazione, ho realizzato che era Settembre con qualche giorno di ritardo.
Circondato da calendari e appuntamenti, sapevo che fosse settembre, ma qualcosa mi impediva di rendermene bene conto.
Un po’ perché, da queste parti, settembre è il mese della primavera.
Primavera vuol dire fine dell’inverno.
Ma l’inverno è stato così travagliato che è come quei dolori che ti porti dietro così a lungo che finisci per sentirli anche quando non ci sono più.
Non so se hai seguito la storia di quel che è successo qui a Sydney, ma per farla breve, oltre al danno di non poter tornare a casa nemmeno quest’anno (dal momento che c’è un divieto di lasciare il Paese in atto dal marzo 2020 per evitare il diffondersi del Covid) c’è stata anche la beffa di passare tutto l’inverno (che coincide con l’estate italiana) in lockdown.
Una beffa dalle tante sfumature: intanto è stato un lockdown molto più duro e restrittivo del primo.
È arrivato dopo che, per un anno, tutti si erano illusi che il Covid fosse stato battuto, dal momento che per mesi non ci sono stati casi (grazie, ovviamente, alla chiusura delle frontiere che ti dicevo prima).
In un attimo ci siamo sentiti riportare indietro di mesi, vanificando mesi di presunto vantaggio accumulato nei confronti di Europa e America, attraverso la creazione di una realtà auto-adulatoria e piena di fregature, dove erano gli altri a dover prendere esempio da noi.
Abbiamo cominciato a vaccinarci, sperando di tornare presto a casa (si diceva che i divieti di partenza sarebbero caduti una volta raggiunto l’80% delle vaccinazioni), e nel frattempo avevamo intorno persone che dicevano di voler aspettare e vedere, di prendersi del tempo, di far passare gli altri perché “tanto che ce ne frega, al massimo non ci facciamo la vacanza a Bali o alle Fiji”.
Non è un caso, caro amico, se all’inizio di questo nuovo lockdown l’Australia aveva solo il 7% della popolazione vaccinata.
Per tutti questi motivi è stato difficile realizzare, dai nostri coprifuoco e dalle nostre strade deserte, che settembre fosse davvero arrivato.
Ma non solo.
Settembre significa, per noi italiani, per noi siciliani, che abbiamo saltato anche stavolta un giro di giostra. Mentre eravamo qui impegnati in questa lotta a scoppio ritardato, l’estate italiana è scivolata via.
Ho ripensato, caro amico, a quel che ci siam persi. A quegli spazi vuoti che questi tempi grami ci hanno imposto.
In quegli spazi vuoti ci rientrano tutti i compleanni, i matrimoni, le nascite, le feste a cui non siamo stati presenti, così come le malattie, le rotture, i giorni di pioggia.
Ci rientra il ritmo pigro di quelle mattine di sole, dove l’Isola e i suoi abitanti diventano un tutt’uno senza saperlo spiegare agli altri.
Ci rientrano le serate insieme, i lungomare con l’odore di fritto costante anche se ci sono quaranta gradi, le birre fresche e le notti senza vento.
Ci rientrano le imprecazioni per non trovare un parcheggio, per il lido che blocca il traffico, per l’interpretazione delle regole ad ogni passo.
Ci rientrano le mangiate, i mi ricordo davanti ai piatti, le tonnellate di Citrosodina e Maloox per farsela passare e poi ricominciare.
Ci rientra quell’abbraccio agli arrivi in aeroporto, dove per un attimo tutto scompare e diventa puro amore.
Ci rientrano le nottate con tutti voi, a tirar fuori birre ghiacciate dal frigo, a tirar fuori tutto quello che non ci siamo detti in un anno, a farsi una aglio e olio alle 3 di notte, a dimenticare date e partenze.
Ci rientra la bellezza delle mattine di scirocco, quando il mare diventa cartolina che non ha niente da invidiare alle spiagge vendute a peso d’oro a chi pensa che l’Isola sia solo altro.
Ci rientrano le passeggiate insieme a te, caro amico, con una birra in mano, a parlare del fatto che l’Isola è, purtroppo, anche altro. A narrarci le imprese del sindaco canterino, dei nostri vecchi compagni di scuola che adesso fanno la loro parte in quel panorama unico e degradato. A scuotere la testa per aver visto i peggiori farsi avanti e gli altri fuggire. A guardare indietro con malinconica allegria alle storie sempre le stesse, che ci fanno ridere addosso come la prima volta pensando che niente sia cambiato – né nelle storie, né in noi che le raccontiamo. A renderci conto che anche noi, volenti o nolenti, siamo invece cambiati, mentre la città gioca a voler essere sempre uguale. A incazzarci, a ricordarci, a tirar fuori nomi di locali chiusi da anni, gente che è partita, abitudini ormai superate, come a camminare in un paesino fantasma. A berci sopra un’altra birra, che tanto lo sappiamo che tra un anno saremo ancora lì, con la stessa birra in mano, nonostante tutto.
Perché questa lotta inutile, questo scazzo necessario, ci fanno star bene. Ci ricordano dove siamo, perché siamo andati via, perché amiamo tanto quel posto senza capo né coda.
Ed è questa la primavera che aspettiamo qui a Sydney, che possa riempirci di nuovo tutti gli spazi.
Nel frattempo, caro amico, ci prepariamo all’estate.
Perché, prima o poi, arriverà anche quella.
Tu comincia a mettere la birra in frigo.
A presto,
Marco
Marco Zangari © 2021
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