MESSINA. E’ uno dei simboli di Messina, ha chiuso i battenti nella tarda primavera del 2018, da quasi un anno il Comune lo ha reclamato, ma i messinesi non si sono rassegnati a vederlo mestamente fermo: è il chiosco ottocentesco di piazza Cairoli. Chiuso per un problema burocratico riguardante un cambio societario della ditta che lo aveva in gestione che ne ha compromesso la concessione demaniale, a ottobre del 2018 il Comune ha emanato un’ordinanza di sgombero e rilascio dell’immobile. Che da allora è lasciato a sè stesso.

La questione, ovviamente, è terminata a carte bollate, e la concessione è scaduta a marzo 2018, ma da quel momento il comune di Messina, proprietario del manufatto di valore storico e artistico, non ha mai indetto una gara per la gestione, come fece nel 2007, quando alla società che l’ha avuto in gestione fino all’anno scorso se l’era aggiudicato con un importo a base d’asta di 6mila euro e di aggiudicazione pari a 20.520 euro di canone annuo.

EDIT: LA GARA È STATA ESPLETATA E AGGIUDICATA ALLA SOCIETÀ I VESPRI. NON È ANCORA STATO PUBBLICATO IL VERBALE DI IMMISSIONE IN POSSESSO

La storia del chiosco inizia dieci anni dopo lʼunità dʼItalia, nel 1871. Accanto al teatro Vittorio Emanuele, su incarico del proprietario e gestore Stellario Allegra, le fonderie esistenti dalla seconda metà del diciannovesimo secolo nei pressi dellʼattuale piazza Castonovo, partoriscono il manufatto in ghisa, il più antico di Sicilia. Il chiosco resta accanto al teatro Vittorio Emanuele per ben trentasette anni, poi, dopo il terremoto, viene spostato in piazza Catalani, accanto al monumento di Don Giovanni dʼAustria, dove resta per brevissimo tempo, per essere poi definitivamente traslocato a piazza Cairoli, dove tuttʼoggi troneggia. Eʼ il 1912. Nel 1923, morto Stellario Allegra, a gestire il chiosco subentrano prima i figli Cosimo e Letterio, e poi il figlio di questʼultimo, Lorenzo.

Nel 1960, in pieni anni ruggenti per una Messina che si scopriva mondana, dietro il bancone in ghisa di piazza Cairoli arrivano i figli di Cosimo, Francesco e Letterio. Un anno dopo, i due inventano la “specialità” per la quale il chiosco è famoso: la limonata al sale. Durante il periodo precedente alle guerre, il confezionamento delle bevande, in particolare degli sciroppi, prevedeva lʼimpiego della neve, portata da Dinnammare. Lì, nel punto più alto dei colli San Rizzo, a mille e duecento metri dʼaltezza, i “nivaroli”, dotati di carretti, allestivano le “fosse” dentro le quali veniva conservata la neve, portata poi a valle, in città.

Il declino delle fortune del chiosco inizia a metà degli anni ʼ80. In quel periodo, la ruota che produceva il seltz smette di funzionare, quasi fosse un addio alle armi, preludio della chiusura definitiva che arriva nel 1989. Nel 1994, però, lʼassessore regionale ai Beni culturali ed ambientali dellʼepoca, Carmelo Saraceno, ne dichiara lʼinteresse etnoantropologico e storico-architettonico. Nel 2007, il vicesindaco e assessore al patrimonio Antonio Saitta decide di riassegnare il bene, e indice il bando per la gestione che vide vincitrice la società Riba, che lo ha gestito fino all’anno scorso.

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