“L’idea che mi sono fatta è che alla caserma di Bisconte non ci sia nessun progetto perché diventi un hotspot”, così interviene Carmen Cordaro, nota attivista dell’Arci e avvocato, tutor di molti minori migranti. E spiega: “Gli hotspot sono in genere in prossimità dei porti, la Gasparro sarebbe troppo lontana”.

A sostegno della tesi di Cordaro basta dare una lettura alla risposta che il sottosegretario al Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa, fornisce al deputato del M5s Francesco D’Uva.

Lo scorso 24 marzo in Parlamento, D’Uva aveva chiesto in un’interpellanza notizie riguardo alla “ventilata apertura di altre 5 strutture analoghe a Messina, Mineo, Crotone, Corigliano Calabro e Reggio Calabria”.

Bressa ha risposto testualmente: “Con riferimento al primo quesito posto dagli onorevoli interpellanti, si riferisce che presso il porto di Messina è in corso di realizzazione un’area attrezzata di sbarco in cui saranno installate strutture modulari con una capienza di circa 250-300 posti. Tenuto conto, inoltre, che i porti calabresi sono utilizzati sempre più frequentemente come luoghi di sbarco di migranti, sono stati individuati in quella regione alcune aree per l’accoglienza e lo sbarco per circa 1.600 posti complessivi disponibili entro la fine dell’anno corrente. Più precisamente, sono in corso di progettazione lavori per attrezzare le aree portuali di Corigliano Calabro per 400 posti, di Crotone per 800 posti e di Reggio Calabria per 400 posti”. 

Ovvero il sottosegretario in merito all’apertura di un hotspot a Messina non cita mai la caserma di Bisconte, parla invece di una struttura al porto di Messina.

Circostanza confermata dal presidente dell’Autorità portuale di Messina, Antonino De Simone: “È così, abbiamo avuto dei contatti col governo e con la prefettura per la realizzazione di una struttura di prima accoglienza e smistamento – conferma De Simone -. Inizialmente era stato individuato come sito il molo Marconi, ovvero quello in cui attualmente avvengono gli sbarchi. Un’ipotesi che è stata scartata e che avrebbe senza dubbio creato difficoltà per l’approdo delle navi da crociera. È stato individuata allora un’area nei pressi del molo Norimberga (nella zona falcata). Si tratta di un’area piccola dove verranno installati dei container per una capienza inferiore a 200 persone. Nulla a che vedere con un hotspot, per essere chiari”.

Container nella zona falcata per la prima accoglienza di poche persone. Nessun hotspot, dunque, a Messina? “Sono numeri irreali – commenta Cordaro – una struttura con una capienza così piccola non sembra aderire alla realtà quotidiana degli sbarchi”.

L’hotspot, è bene ricordare, è un centro di identificazione immediata dove il migrante non dovrebbe restare per legge più di 98 ore in attesa della convalida giudiziale: “È capitato, invece, che restassero molto di più una settimana, 15 giorni, perfino un mese. Una volta sbarcati cosa faranno i migranti in eccesso rispetto a questa struttura al porto? Non capisco quale sia la logica governativa”, conclude Cordaro.

Ricapitolando, il governo risponde in un’interpellanza sull’apertura di nuovi hotspot, menzionando nel caso di Messina soltanto l’apertura di una struttura al porto per un massimo di 300 migranti.

Circostanza confermata dal presidente dell’Autorità portuale. Gli sbarchi però sono in genere di un migliaio di persone, in ogni caso raramente meno di 500. Nella risposta il sottosegretario Bressa non menziona per Messina nessuna ulteriore struttura in fase di realizzazione, né alcuna altra opzione.

Gli hotspot sono quasi sempre in prossimità dei porti, proprio perché sono centri in cui appena sbarcati i migranti vengono visitati e identificati. Centri in cui possono restare fino a un massimo di quattro giorni.

Attualmente, dunque, non si hanno evidenze di una intenzione governativa a realizzare un hotspot a Messina.

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