Passata è la tempesta. Dunque si possono svolgere considerazioni, da far valere anche quando le mimose saranno appassite.

Cosa spinge un uomo ad arrecare offesa a una donna? Rispondo senza timore di sbagliare: paura, insicurezza, orizzonti mentali angusti, mammismo, sottosviluppo. Ognuna di queste cause andrebbe attentamente analizzata e vagliata, laddove si intendesse veramente porre un freno alla turpe sequela di femminicidi che offendono, prima ancora che tutti i maschi per bene che abitano il pianeta, l’intera umanità.

La paura e l’insicurezza derivano dal non aver accettato, alcuni uomini, la sacrosanta emancipazione femminile, il riconoscimento cioè della perfetta parità, nella meravigliosa diversità che intercorre tra loro, di uomo e donna, dato di fatto che dovrebbe essere ovvio ma così non è stato se sono occorsi lacrime e sangue per iniziare ad affermarlo e combattere per consolidarlo, tanto è vero che vivono sotto il nostro stesso cielo milioni di coglioni che ancora si ostinano a respingerlo. Sono proprio costoro dunque ad aver paura delle donne, dell’universo femminile, di un genere il cui approccio alla vita e alla realtà è quasi sempre più “umano”, più morbido, meno aggressivo, più in sintonia con la natura e i suoi cicli, meno competitivo e meno nevrotico. Sarà forse per l’oscuro riconoscimento di tali qualità che molti uomini, che evidentemente ne sono privi, sviluppano nei confronti delle donne – e di quelle in particolare che la sorte pone loro accanto – sentimenti di paura e di insicurezza che spesso si ribaltano in atti concreti di ostilità e violenza.

Gli orizzonti mentali angusti sono quelli propri di una cultura maschilista e patriarcale che ha caratterizzato la lunga storia dell’umanità. Scomodo ancora una volta Carlo Marx, parafrasando il quale (L’ideologia tedesca) possiamo affermare che le idee del genere dominante sono in ogni epoca le idee dominanti”, il che vuol dire che i maschi si sono fatti a proprio uso e consumo tutte le regole del gioco, tutti i puntelli ideologici che consentissero loro di esercitare il dominio sulle donne, e di continuare a esercitarlo nel tempo, presentando tali regole come “naturali”, discese dal cielo, inattaccabili e sempiterne.

Non è chi non veda (parlo per le persone sane) che tale strategia è frutto di meschini, epocali, calcoli di comodo che non hanno alcuna corrispondenza con la realtà. Ogni immagine della donna quale “creatura debole”, “angelo del focolare”, angelicata come santa o vituperata come puttana, è una costruzione ideologica, di una pessima e rozza ideologia maschilista. Rozza e ipocrita, intimamente “fascista”, di quel fascismo eterno di cui lucidamente ci ha parlato Umberto Eco.

In tema di mammismo, ahimé, siamo soprattutto noi italiani a essere chiamati in causa. Pare che in tema di cocchi di mamma l’Italia detenga un certo primato. E i cocchi di mamma, si sa, hanno qualche difficoltà a recidere una volta per sempre il cordone ombelicale. Le mamme poi ci mettono il carico da undici, facendo presente al proprio pargolo che colei rimane sempre e comunque un’usurpatrice, una crudele rivale di mammà. E il povero cocco, dovendo scegliere se uccidere simbolicamente la genitrice o uccidere realisticamente la compagna spesso sceglie quest’ultima soluzione.

Forse la sto mettendo giù troppo semplicistica la faccenda, ma vi assicuro che su questi meccanismi Freud avrebbe certamente qualcosa da dire. Forse anche Groddeck. Forse pure Lombroso.

Il sottosviluppo infine è il brodo di coltura al cui interno prendono corpo tutti gli atti di violenza contro le donne. Esiste naturalmente un sottosviluppo, per così dire, sottoproletario. Ma c’è anche un sottosviluppo piccoloborghese, ce n’è uno medio e addirittura uno altoborghese. È la condizione di chi – e sono molti, tanti davvero – tiene gli occhi talmente chini sulla terra in cui quotidianamente si arrabatta a strisciare che non li solleva mai verso l’alto. Si tratta di quelli che Andrea Camilleri chiama “teste parziali”, quelli che non riescono a vivere serenamente la pluralità di dimensioni che la vita ci propone, e si condannano da sé a consumarne tristemente una sola, quella del proprio putrido guscio chiamato pomposamente “io”.

Conclusione: non c’è da stare allegri. Da ciò che scorgo in giro, una pletora di femminicidi potenziali si aggira nelle nostre strade.

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