MESSINA. La pioggia di comunicati è arrivata come di consueto qualche ora dopo l’esito del voto, giusto il tempo di capire “in che modo si è vinto”. Perché, a giudicare dai toni trionfalistici di tutti o quasi gli schieramenti, sembra che in riva allo Stretto, e in provincia, non abbia perso nessuno. E lo scenario non cambia molto in regione.

A festeggiare sono i 5 Stelle, primo partito in città, provincia e Sicilia (sebbene il crollo nazionale); Forza Italia, con le dichiarazioni entusiastiche di praticamente tutte le parti in causa (da Matilde Siracusano a Cateno De Luca, passando per Nino Germanà), nonostante il nulla di fatto per Dafne Musolino, il numero di voti pressoché identito al 2014 e la marginalizzazione a livello nazionale; il Pd, che sottolinea la crescita di qualche punto percentuale in regione rispetto alle politiche (in città ha ottenuto invece quasi la metà dei voti del 2014); ovviamente la Lega, passata dallo 0,89 per cento al 18 e rotti, sebbene a parte Matteo Salvini nessun candidato abbia fatto sfaceli (anzi, il candidato siciliano Luigi Attaguile ha fatto un enorme flop); Fratelli D’Italia, perché “i patrioti italiani entrano per la prima volta  nel parlamento europeo”, e infine “Più Europa”, perché con 5mila preferenze Messina è la seconda città con più voti dopo Palermo (esclusivamente merito del candidato Giuseppe Sanò). Non mancano all’appello i big regionali, da Nello Musumeci a Claudio Fava, così come i parlamentari nazionali. Un trionfo per tutti, insomma, come di consueto.

In realtà, al contrario, non ha vinto nessuno: non ha vinto il Movimento 5 stelle, ovviamente, che è riuscito nell’invidiabile compito di perdere metà dei consensi a favore dell’alleato-avversario, dando al ministro dell’Interno Salvini pressoché totale libertà di esprimersi su tutto lo scibile, anche e soprattutto quando non ne aveva alcuna competenza ministeriale, e tenendolo alla larga dai ministeri in cui gli insuccessi sono più palesi (quelli economici, dello sviluppo, del lavoro). Senza il Movimento 5 stelle, non ci sarebbe stata Lega al governo. E forse nemmeno al 35%.

Forza Italia, ovviamente, più che fare festa dovrebbe cantare il de profundis: costretta ad affidarsi ad un ultraottantenne e senza una classe dirigente (perché l’ultraottantenne ha trascorso 25 anni ad impedire che se ne formasse una credibile che potesse fargli ombra), la presunta casa dei moderati e liberali italiani si trova stretta tra due diverse gradazioni di destra radicale, diventando un ibrido nel quale non si riconosce più nessuno. A livello locale, le speranze riposte in Dafne Musolino, che hanno privato Messina di un sindaco per due mesi, sono state infrante dalla dura realtà dei numeri regionali. E non vale poi troppo come consolazione il fatto che Cateno De Luca sia dalla parte vincente delle correnti forziste, che negli anni si sono dimostrate sempre estremamente volatili (come lui, d’altronde).

Poi c’è il Pd, che a Pietro Bartolo dovrebbe fare una statua equestre in ogni piazza dei comuni d’Italia che amministra. Il medico di Lampedusa ha attratto il vero voto d’opinione di queste elezioni, avvicinando ai democratici gente che non avrebbe nemmeno voluto vederli in cartolina, a sinistra e a destra. Eppure, in campagna elettorale c’è stato chi ne aveva criticato la scelta perché “non strutturato” al partito. La buona notizia è che le percentuali a Messina reggono (anzi, sono in minimo aumento) dalle regionali 2017 e politiche 2018 (i voti rispetto al 2014, quando ottenne il 32, 37%, sono però quasi dimezzati). La brutta notizia è che… le percentuali reggono. Segno che, forse, il Pd ha raggiunto la massa critica oltre la quale numericamente e strutturalmente non riesce ad andare senza spinte esterne (come accadeva quando vi militava Francantonio Genovese). Stessa cosa a livello nazionale, dove è comunque pur sempre il secondo partito (pur avendo perso per strada qualche milione di voti…) ma per una questione di pura matematica: cresce la percentuale del partito perchp crolla quella dei votanti.

Fratelli d’Italia ha tentato la carta del sorpasso a destra alla Lega, ma non ce n’è: in Europa, sovranisti ed euroscettici sono rimasti al palo, e in Italia la strategia non ha premiato, perché l’elettorato se l’è accaparrato tutto il Carroccio. C’è stato l’avanzamento (tanto che il partito della Fiamma è a un passo dal fagocitare Forza Italia), ma di posti al sole al momento non se ne vedono. A livello locale, i due candidati messinesi erano entrambi validi, ma tali sono rimasti sulla carta, senza nemmeno fare il solletico ai “grandi”: e nessuno dei due è particolarmente legato al partito, che è sembrato più un matrimonio per necessità che per amore.

In realtà non ha stravinto nemmeno la Lega, che, per esempio, a Milano è stata snobbata a favore del Pd (a riprova del fatto che dove ha governato, e a Milano l’ha fatto a tutti i livelli, dal comunale al regionale, ci si guarda bene dal rivotarla). A livello locale, la Lega semplicemente non esiste. Ci sono consiglieri leghisti, destinati probabilmente ad aumentare, ma il partito di fatto non sussiste.

Per quanto riguarda la città, le Europee non avranno alcun effetto: come in un reset, si tornerà a due mesi fa, come se il panorama politico italiano ribaltato non fosse mai accaduto. Cateno De Luca troverà una nuova maggioranza, stavolta palese, e un’opposizione, stavolta più netta e galvanizzata dal suo passaggio a Forza Italia. Per il resto, i fatti di oltre Stretto saranno solo una lontana eco.

Ciò nonostante pare abbiano vinto tutti. Non sarebbe male, alla fine della fiera, se una volta tanto vincesse anche Messina.

 

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Peppino73
Peppino73
28 Maggio 2019 12:19

Condivido pienamente, ma uomini politici che ammettono la sconfitta sono rari come i giorni senza vento a Messina. Uno di questi è Chiamparino, ma già appartiene ad un’altra epoca politica e, infatti, ha detto che questa è stata la sua ultima battaglia.