Capita a volte che la Calabria scompaia del tutto alla vista, occultata da una nebbia fitta e densa, “fetida e quasi bruna”. Si tratta della Lupa, un fenomeno atmosferico più comune nelle ore notturne e al primo mattino, solitamente nei mesi di aprile e maggio. «Normalmente – spiegava il compianto meteorologo Samuele Mussillo – questa sorta di serpentone si estende per una lunghezza non inferiore a 10 Km e può persistere anche per due o tre giorni senza cambiare sostanzialmente di posizione, fino al suo completo dissolvimento. La visibilità all’interno è nell’ordine di poche decine di metri, ma in alcuni casi può scendere fino a qualche metro. Di fatto è l’unico fenomeno che riesce a fermare i collegamenti tra le due sponde, operati dai pur bravissimi comandanti delle navi traghetto, che si devono arrendere davanti a questo muro invalicabile».
Ma perché la Lupa si chiama così? Le interpretazioni sull’origine del nome sono varie e sono spesso connesse a mitologie e credenze popolari. Una delle più diffuse riguarda l’antica identificazione del lupo con il diavolo ed è legata sostanzialmente ai danni provocati dalla nebbia alle colture e ai campi, determinati da un’entità soprannaturale e ostile. Più curioso è invece il riferimento al proverbio “avere una fame da lupi”: lo stesso languore che colpiva i marinai messinesi e calabresi impossibilitati a procurarsi il cibo nei giorni di forte foschia. Un’altra possibile origine del termine è legata invece a un’imprecazione (lupa come donna dissoluta), con un utilizzo analogo a un intercalare come “porca puttana” per maledire la sorte avversa, mentre una delle poche testimonianze storiche e accertate risale a una lettera del 1886, scritta da Serafino Amabile Guastella a Giuseppe Pitrè. Il legame è con i saraceni, che “dall’inferno”, dopo essere stati cacciati dalla Sicilia, lanciavano potenti scongiuri… che si manifestavano appunto con la temibile Lupa.
La “Fata Morgana” (nome di origine bretone che significa «fata delle acque») è un fenomeno atmosferico tipico dello Stretto di Messina (ma non solo) che genera una sorta di “illusione ottica”, affine per certi versi ai miraggi nel deserto. Si tratta, in poche parole, di una reazione atmosferica causata da una variazione della temperatura dell’aria, che altera la densità e la rifrazione della luce sulla linea dell’orizzonte. L’evaporizzazione provocata dal surriscaldamento dell’acqua produce foschie, ombre e visioni distorte, “capovolgendo” le immagini o riducendo le distanze. Una mirabilia della Natura (sovente ha tratto in inganno qualche terrapiattista…) che in passato è stata al centro di varie leggende e storie fantastiche, la più nota delle quali chiama in causa addirittura Re Artù (di cui la Fata era sorellastra) e Mago Merlino (di cui era allieva). Legata al leggendario condottiero britannico da un rapporto conflittuale di amore e odio, nella tradizione del ciclo arturiano la Fata si riconciliò con il fratellastro dopo l’ultima battaglia del sovrano, conducendolo nella terra leggendaria di Avalon per curare le sue ferite prima del suo glorioso ritorno.
Che c’entra Messina in tutto questo? Secondo una versione normanna del Mito, la Fata non condusse il corpo di Artù nella leggendaria “Isola delle mele”, bensì alle pendici dell’Etna, dove avrebbe potuto saldare la leggendaria Excalibur. Affascinata dalla bellezza del luogo, decise di rimanere in Sicilia, costruendo un castello di cristallo nelle profondità dello Stretto di Messina, da dove iniziò a farsi beffa dei marinai in viaggio fra le due sponde, ammaliandoli con i suoi inganni. Vittima dei suoi prodigi, secondo la leggenda, fu anche un re arabo, il quale, giunto a Reggio Calabria, fu ingannato da un prodigio della Fata, che fece apparire la Sicilia a due passi dal re. Convinto di poterla raggiungere in breve tempo, il conquistatore si gettò in acqua e iniziò a nuotare… morendo affogato.
Un altro aneddoto risale invece al 1060, quando Morgana si propose di aiutare il condottiero normanno Ruggero d’Altavilla per liberare la Sicilia dalla dominazione Musulmana. Apparsa al sovrano su un carro bianco e azzurro, trainato da sette cavalli bianchi con le criniere azzurre, fece materializzare sulle acque un vascello e un intero esercito. Il condottiero, tuttavia, fervente cattolico, non si fece ammaliare dall’incantatrice e rimandò il suo sbarco (vittorioso) all’anno successivo. Il fenomeno della Fata Morgana sembra aver ispirato inoltre il testo dell’Olandese volante (un vascello fantasma condannato a solcare i mari in eterno) ed è la probabile spiegazione di molti avvistamenti di oggetti volanti non identificati.