MESSINA. Che differenza c’è tra l’arancino messinese e la coxinha carioca (o paulista, la provenienza non è chiara)? Un polacco riuscirà a scorgere affinità e divergenze tra il merluzzo del suo mar Baltico e il pescestocco peloritano (ma anche solo a pronunciarlo bene)? E perché davanti alle braciole, altro che Europa unitaè il mondo intero ad unirsi e fare la ola? Sono le domande alle quali hanno risposto, in modo esplicito o indirettamente, un gruppo di studenti provenienti da nazioni e continenti diversi, a Messina per il progetto di scambio culturale Erasmus, messi di fronte a quel delirio di gusto, calorie e minaccia di obesità latente che è la cucina messinese, vero motivo di vanto per chiunque sia nato in riva allo Stretto. Perché se c’è una cosa in cui Messina si fa rispettare, nel mondo, è nell’arte di non lasciare mai a riposo i denti. 

Il tour nella tradizione culinaria messinese non poteva che iniziare in una rosticceria, alla scoperta di arancini, pitoni (o pidoni) e della classica “tradizionale”, a cento metri da Piazza Duomo. A fare da cavia per prima è una ragazza brasiliana, che un arancino non lo aveva mai provato in vita sua: un piccolo morso sulla punta croccante, poi un secondo nel riso, fino a scoprire il formaggio filante che si amalgama con il ragù in un baccanale di gusto. Il responso è entusiasta, sebbene qualcosa di simile, quantomeno nell’aspetto, lo avesse gia provato dall’altra parte dell’oceano, a migliaia di chilometri dalle rive dello Stretto… 

È poi la volta di una studentessa francese, che in un ottimo italiano ci descrive le sue impressioni sui pitoni (che aveva già gustato) e quindi di un suo giovane collega israeliano, alle prese con tre tranci di focaccia fumante. Il tutto mentre il resto della ciurma, qualche tavolo più in là, fa fuori il resto del cibo lontano dagli occhi indiscreti dei cellulari.

La seconda tappa del tour gastronomico si svolge invece in un locale di via Garibaldi: dopo l’antipasto è il momento di passare al sodo, iniziando con uno dei capisaldi della cucina nostrana, il pescestocco a ghiotta, seguito qualche tempo dopo da decine di spiedini fumanti di braciole che spariscono dai piatti dopo pochi minuti, fra qualche patatina fritta, qualche calice di vino e fiumi di parole: nel corso della discussione (in italiano, in inglese, in francese e ad estremi rimedi nel linguaggio universale dei gesti) emergono differenze abissali e insospettabili affinità, curiosità e aneddoti, impressioni e scambi di vedute, mentre il dibattito si sposta pian piano dal cibo al lessico, dall’arte al decoro urbano, da Messina al sud America, con la stessa semplicità e la stessa bellezza che nasce spontaneamente ogni qual volta culture e popoli diversi si incontrano e si confrontano. Ancor meglio se a stomaco pieno. E mandibole doloranti.

 

Piccola anticipazione: l’esperimento socio-gastronomico non è ancora finito ma solo rimandato al termine delle vacanze di Natale, quando agli studenti stranieri toccherà confrontarsi con cannoli, bianco e nero e pignolataPiù “hardcore”, invece, la sorte che attende una ragazza argentina e uno studente brasiliano, cui spetterà la vera prova del fuoco: ad attenderli, calde e succulenti, appena prelevate dalla griglia fumante, ci saranno infatti le più tipiche leccornie del cibo da strada nostrano: stigghiole, virina e l’immancabile taiuni

 

 

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments