MESSINA. Il bilancio di previsione 2018/2020? “un malato terminale“. Le partecipate? “Un bancomat della politica“. Il concetto di meritocrazia e risultato? “sfugge alla gran parte degli inquilini permanenti del palazzo municipale a partire da dirigente da seguire fino all’ultimo dipendente. Non risparmia nessuno, Cateno De Luca, nel “dossier” da 370 pagine allegato alla relazione di inizio mandato (che stamattina illustrerà ai consiglieri comunali), in cui si sofferma, meno analiticamente ma con giudizi trancianti e più “di pancia” rispetto alla relazione, sulle condizioni della città.

E da come la descrive, sembra che sia meglio radere tutto al suolo e ricostruire, piuttosto che cercare di aggiustare qualcosa. Esattamente il concetto di “catemoto”, già visto all’opera e apprezzato dalle migliaia di sostenitori di domenica scorsa, al comizio di piazza Municipio: un’azione, la sua, “che rada al suolo i palazzi della vecchia politica e di santuari delle antiche lobby, per risorgere e ritornare ad essere bella, protagonista e produttiva per come hanno voluto i cittadini eleggendomi a sindaco di Messina”.

“Questo dossier si è reso necessario per mettere a nudo le fragilità delle istituzioni municipali che abbiamo ereditato, concentrando analisi sulle questioni più importanti di urgenti per avviare un percorso immediato di discontinuità e di rilancio del “sistema Messina”, spiega il sindaco. E poi ci va giù duro.

La premessa, introdotta dalla frase iniziale della Divina commedia di Dante, ricalca pressochè alla lettera il preambolo del suo programma elettorale, e durante un passaggio De Luca tributa quasi l’onore delle armi al suo predecessore Renato Accorinti (“E’ vero che il disastro morale ed economico finanziario è figlio di altre generazioni di governante, ma altrettanto vero che la giunta del sindaco che mi ha preceduto non ha saputo porre un argine aggravando ulteriormente la situazione”, scrive). Poi però sono bastonate.

Per prime tocca alle partecipate: l’Amam è una “società utilizzata dalla precedente giunta comunale come un bancomat con prelevamenti forzosi di milioni di euro attraverso utili di esercizio, di fatto fittizi, per finanziare le spese pazze di palazzo Zanca. Non solo la società non è stata messa nelle condizioni di poter garantire un servizio efficace efficiente l’economico ammodernando annualmente la redistribuzione dell’acqua o realizzando quel parco progetti necessario cancellare la vergogna dell’approvvigionamento dell’acqua da Fiumefreddo con le continue crisi idriche che hanno fatto ridere tutta l’Italia ma, con modalità di dubbia liceità, l’Amam prodotto utili annuali per circa 10 milioni di euro che ha trasferito il Comune di Messina per sostenere le crescenti spese di gestione corrente”.

Poi c’è l’Atm, verso la quale De Luca sembra nutrire un particolare astio: “L’unica azienda speciale di trasporto pubblico urbano esistente in Italia che ancora non si trasformava in Spa o altra forma societaria causa della mancata approvazione degli ultimi 15 anni di bilanci da parte del consiglio comunale. L’ATM rappresenta il pozzo di San Patrizio perché ha continuato indisturbato a produrre debiti usufruendo i trasferimenti da parte del Comune di Messina per dei presunti elevati standard di trasporto urbano che hanno generato oltre 30 milioni di euro di debiti negli ultimi cinque anni, aggiungendosi alla consistente massa debitoria del passato non del tutto ancora definita nella sua effettiva dimensione. Su alcuni profili gestionali dell’azienda la magistratura sta facendo il suo corso“, scrive De Luca, che poi parla anche di “alcuni aspetti dubbia liceità per l’arruolamento del personale che evidenziano una gestione clientelare parassitaria”.

Quindi MessinaServizi, che sarebbe “un criminale modello di scatole cinesi con Ato3 e Messinambiente, simbolo di inefficienza illegalità e spreco di denaro pubblico. Di fatto Messina servizi rappresenta il terzo tentativo del Comune di Messina di gestire il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani dopo aver accumulato centinaia di milioni di euro di debiti con una struttura elefantiaca sotto il profilo delle risorse umane, e con beni aziendali obsoleti insufficienti per il raggiungimento degli obiettivi societari”. A proposito di MessinaServizi, De Luca svela le sue carte: la trasformazione del servizio da pubblico a privato. La colpa? Delle lobby sindacali, che “il nome della salvaguardia dei posti di lavoro riescono a condizionare l’intera governo municipale impedendo di attivare l’Aro con una gara aperta alle società private, far passare definitivamente la gestione del servizio dalla logica pubblicistica (società partecipate) ad una logica privatistica (gestore privato per sette anni).

De Luca ne ha (e molte) anche per i dirigenti, “in gran parte in adeguati al ruolo ricoperto in animati da una gran voglia di non fare malcelato dal costante conflitto di competenze rappresentato dalle scaricabarile del “non è di competenza mia”.

Non poteva mancare la reprimenda sui conti: “il bilancio del Comune di Messina è strutturalmente in coma perché è contaminato da alcuni costi eccessivi lobbistici, come ad esempio i servizi sociali e le partecipate, è un’alta percentuale di evasione tributaria che non hanno ormai compromesso irrimediabilmente l’equilibrio economico finanziario.

La conclusione parte pessimista, poi lascia intravedere un raggio di sole della speranza: “E’ stato deprimente muoversi all’interno di un palazzo municipale dove la maggior parte degli inquilini si ostina a vivere senza rendersi conto di trovarsi sul Titanic che sta per affondare: spero che un giorno si possa, io per primo, essere orgogliosi dell’intero palazzo municipale e dei suoi inquilini, perché vorrebbe dire che tutti quanti avremmo dovuto fare il nostro dovere la città ci ringrazierà per il servizio che avremo svolto nei rispettivi ruoli“.

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