MESSINA. Al di là delle “buste della spesa” e della promessa di un posto al comune, le campagne elettorali messinesi, sin dagli albori dalla Repubblica, sono sempre state caratterizzate da una creatività che ha fatto conoscere la città a livello nazionale. Dai discorsi in piazza all’installazione di trivelle e manisfesti studiati, quando i punti di ritrovo principali erano ancora la piazza in inverno e la Fiera in estate, in una città sopravvissuta al terremoto e scampata alle bombe della seconda guerra mondiale, porta della Sicilia e centro della cultura nazionale estiva, anche il fermento politico prendeva forma, soprattutto grazie alle prime campagne di comunicazione italiane, ideate in modo innovativo. È il 1947 quando nasce a Messina la “Catri pubblicità” (nel 1972 diventata G.I.P. Srl – Generale Italiana Pubblicità), la prima azienda siciliana nel settore. La Catri infatti aveva un obiettivo, trattare la comunicazione durante le elezioni come vera e propria pubblicità. L’idea era stata di Vito Carilli, classe 1917, primo in Italia a decidere di “offire alla sfida democratica, per la conquista del potere politico, gli strumenti della pubblicità”. Il gruppo di lavoro creato dal giornalista Carilli e dal suo socio il giornalista Gaetano Rizzo Nervo comprendeva il pittore Felice Canonico, lo scultore Francesco Finocchiaro, lo scrittore Stefano d’Arrigo e i fotografi Giuseppe Arbusi e Michelangelo Vizzini. La Catri si presenta come “mezzo di acquisizione del consenso” durante le campagne elettorali, mettendo a disposizione non solo la possibilità di creare manifesti, ma anche cartelloni, volantini e la pubblicità semovente. Uno dei primi strumenti innovativi introdotti dalla Catri sono stati i comizi, che nascevano con l’obiettivo di dare la possibilità all’elettorato di conoscere il candidato vedendolo e ascoltandolo. Erano momenti utili anche a creare contraddittorio e quindi permettere al candidato di rafforzare le proprie idee. Tra i tanti a partecipare ai primi comizi Guglielmo Giannini, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, che hanno raggruppato attorno ai loro palchi, posizionati sempre in punti strategici in giro per la città, folle oceaniche.

 

Palmiro Togliatti durante un comizio a Messina, Foto di GIP

 

Nei primi anni della Repubblica, quando i principali protagonisti della vita politica erano il Partito Comunista Italiano (Pci) e la Democrazia Cristiana (Dc), i manifesti rispecchiavano la secchezza del dibattito, che si concentrava più sui fatti e meno sulle parole, e lo facevano con indicazioni chiare e uno stile “pulito”. “Vota DC” o “Vota PCI” erano il solo invito perentorio inserito, al quale si aggiungevano i simboli sugli sfondi del colore delle bandiere dei partiti: la stella, la falce e il martello da un lato, lo scudo crociato dall’altro. A segnare l’asprezza del confronto poi, non c’erano solo i manifesti ufficiali, ma anche i manifesti creativi prodotti dalla Catri, che a volte usavano solo poche parole ma efficaci. Come il manifesto comunista in cui si leggeva “La bottega degli scandali” con, a seguire, i nomi degli esponenti del DC. Oppure come il manifesto della Democrazia Cristiana che illustrava una mano che tentava di fermare l’avanzata di alcuni carrarmati e impressa la frase: “Non si nasconde il sole col palmo di una mano… Infatti… Non si nasconde la grande armata Rossa con qualche congresso pacifista“. La Catri in Italia è stata tra le prime agenzie a far comparire i volti dei candidati sui manifesti. I primi in assoluto furono Gianfranco Alliata di Montereale e Leone Marchesana. L’idea era quella di rappresentare volti rassicuranti e professionali per gli elettori.

Il primo manifesto con i volti di Alliara e Marchesano, Foto di GIP

Creatività studiate per la campagna elettorale, Manifesto di GIP

 

Innovativa fu, invece, la campagna nazionale creata in occasione delle amministrative del 1952, organizzata per conto della Spes della Democrazia Cristiana (l’organo di diffusione mediatica del partito). Nella campagna Felice Canonico con pochi tratti trasformò Stalin in un logo caratterizzato dei baffoni neri che segnavano un volto arcigno e poco rassicurante, con la striscia di tricolore al petto. Il testo inserito nel manifesto era semplice e diretto: “Lo vuoi per sindaco?” e l’operazione consisteva nella ripetizione del logo in varie forme e ruoli, con scritte come “Lo vuoi in casa?” “Lo vuoi per medico?” “Lo vuoi per capo ufficio?” Lo schema era sempre uguale: l’immagine caricaturale, una domanda retorica e per finire un secco impianto grafico che poi troverà il suo apice in un manifesto in cui il volto di Stalin compare in una città a sua volta “stalinizzata”.

 

I manifesti di Stalin nella campagna nazionale, Foto di GIP

 

Nel 1953, poi, si scoprì che la Sicilia nascondeva una riserva di petrolio. L’oro nero di Ragusa venne scoperto dalla Gulf Oil americana e in tutta l’isola scoppiò il dibattito sul suo utilizzo, in particolare da parte dei comunisti, che hanno subito dichiarato l’ “asservimento allo straniero”, anche se l’Agip di Enrico Mattei, da tempo aveva abbandonato la ricerca in Sicilia. Proprio in quell’occasione la Catri, sfruttando il trend creò un’installazione a Piazza Cairoli. Si trattava di una finta torre petrolifera quasi a grandezza naturale, tappezzata di manifesti che invitavano al voto.

La trivella di Piazza Cairoli, Foto di GIP

Fissando un manifesto al muro, però, questo poteva essere visto solo dai passanti. È allora che alla Catri viene l’idea di “inseguire” gli elettori con dei mezzi di promozione. Da qui nasce la pubblicità dinamica con le “autopubblicine”, vetture munite di trombe altoparlanti, di un palchetto smontabile per l’oratore e dei simboli del partito del candidato, antenate dei moderni pullman elettorali.

 

 

 

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