MESSINA. In lockdown da autodidatta deve essere stata ancora più dura. Francesco Loiacono è tornato a Stoccolma appena in tempo: due settimane più tardi i voli dagli Stati Uniti per l’Europa sarebbero stati bloccati, con buona pace di problemi personali e necessità lavorative. “Vivo in Svezia da 4 anni, dove sono impegnato in un dottorato, ero a Chicago per delle ricerche, ma quando ho percepito la possibilità di una chiusura totale, mi sono fiondato sul primo aereo. Diversi colleghi non hanno avuto la mia fortuna e sono stati costretti a rimanere lì”.

Trentenne, una laurea in economia alla Bocconi e la voglia di matta di girare il mondo, Ciccio – come lo chiamano tutti – diploma del Maurolico in tasca ha lasciato Messina e oggi si divide tra Scandinavia e Uganda: “In Africa vado ogni anno, da giugno ad agosto, qualche volta pure per cinque mesi. Controllo lo sviluppo dei progetti e mi divido fra riunioni e meeting”.
Una valanga di numeri e dati da mettere in ordine, per provare attraverso lo studio a creare prospettive in un contesto difficile. “Abbiamo rapporti con il Governo locale e i rifugiati. Dai funzionari diplomatici, ai volontari incontro chiunque e fornisco loro indicazioni e spunti su cui operare. L’obiettivo è partire cifre e teorie, per sviluppare azioni concrete sul territorio”.

La pandemia, però, ha congelato ogni programma e rinviato tutto a data da destinarsi: “La mia borsa sarebbe scaduta l’anno prossimo, tuttavia, l’università è chiusa e ogni iniziativa può essere portata avanti fino a un certo punto. Ci vuole il lavoro sul campo che per ora è impraticabile, così la mia permanenza qui si prolungherà di almeno dodici mesi”.
Vita sconvolta, ma non completamente: “In Svezia non c’è stato il lockdown, i negozi sono aperti, stesso discorso per bar, ristoranti, barbieri e centri estetici. Persino le scuole non hanno mai chiuso. Con i genitori al lavoro, infatti, non ci sarebbe stato nessuno a cui lasciare i bambini. Insomma avvisi, precauzioni, ma niente pugno di ferro”.

Sull’opportunità di una decisione simile si potrebbe parlare a lungo: “L’intenzione della politica era arrivare alla famosa immunità di gregge ed evitare il contraccolpo economico dettato dal blocco delle attività commerciali. Nessuno dei due obiettivi è stato raggiunto a pieno e oggi ci ritroviamo sesti nel mondo per tasso di letalità da Coronavirus e con il comparto turistico a pezzi”. C’è di più: “Presto in Europa si tornerà a viaggiare, ma io domando come ci si comporterà nei confronti della Svezia. Non c’è stata una politica di controllo della malattia e, con uno sfondo del genere, pensare a restrizioni ulteriori e speciali per chi proviene da Stoccolma non è idea eccessivamente utopica. Chissà quanto ci vorrà prima di rientrare a Messina”. I quesiti si affollano, sebbene la sua rimanga una voce fuori dal coro: “La gente qui è abituata a fidarsi delle scelte del Governo e in giro, nonostante tutto, si respira parecchia tranquillità. Vige il convincimento che se una cosa è stata fatta in un determinato modo, è perché è semplicemente giusto”.

Conseguenze frutto del benessere diffuso, di una società in cui scandali e corruzione risultano concetti ampiamente astratti: “Io, forse influenzato anche dalla situazione italiana, la penso diversamente. Con la mia ragazza, siamo usciti soltanto per le commissioni urgenti, spesa o farmacia. Indossiamo le mascherine e le persone ci guardano stranite. Sabato scorso, dopo due mesi, siamo andati a un compleanno: al parco e distanziati. Stare in gruppo dentro luoghi chiusi non è ipotesi percorribile, almeno per il momento”.  D’altronde la pandemia circola a pieno regime: “Soprattutto in periferia, dove c’è stato un grosso errore da parte delle autorità. I messaggi sul Covid19, con le regole di comportamento, inizialmente vennero pensati solo in svedese e in inglese. Qui la comunità somala però è molto vasta e non comprendendo avvisi e moniti ha continuato ad agire normalmente. Il risultato è stato pessimo e solo di recente si è corso ai ripari”.

L’orecchio alla finestra, il cuore in Africa: “Per le notizie che ho e in proporzione alle condizioni con cui ci si confronta in Uganda, la pandemia pare sotto controllo. Stanno reagendo molto meglio dei Paesi vicini. Il problema più grande resta l’economia. La gente vive alla giornata, vendendo prodotti al mercato, guidando mototaxi. Se è tutto chiuso diventa complicatissimo racimolare lo stretto necessario per vivere”. Altra questione delicata sono i rifugiati: “L’Unhcr ha tagliato i fondi e il governo non prevede per loro alcuno sostegno. Se pensiamo che per numeri è il terzo Stato del mondo, alle spalle di Pakistan e Turchia, emerge una fotografia piuttosto tragica”. Mali comuni, ma del mezzo gaudio non c’è traccia.