MESSINA. Che tra il sindaco di Messina Renato Accorinti e l’assessore ai Beni culturali della Regione ci fosse feeling era emerso nelle rare volte in cui i due si erano incontrati, l’ultima volta meno di un mese fa. Oggi, la liaison si conferma. E Sgarbi dà ragione ad Accorinti per la sfuriata contro l’estromissione di Messina dal film su Caravaggio, e conseguente iperbolica richiesta di ritiro del documentario dalla distribuzione nelle sale cinematografiche

“Ha ragione, una ragione assoluta, il sindaco di Messina, Renato Accorinti. Non si può immaginare un film su Caravaggio senza un’attenzione particolarissima all’epilogo della sua vita e della sua opera, che si compie, appunto, a Messina, tra plauso e disperazione tra affermazione e persecuzione. Il momento messinese di Caravaggio è cruciale. Perché Caravaggio sul finire del 1608, in fuga da Malta, va a Messina? Una scelta rischiosa, dal momento che Messina era sede della rappresentanza più importante in Sicilia dei Cavalieri gerosolimitani e dove quindi poteva essere facilmente individuato, arrestato e rispedito a Malta, da dove era fuggito evadendo spericolatamente dal Forte Sant’Angelo. E già era stato espulso dall’Ordine dei Cavalieri di Malta giudicato «membrum putridum et foetidum». In galera Caravaggio ci era finito per una rissa, alla quale avevano preso parte sette cavalieri, un’altra avventura. Messina era, all’epoca, una città di centomila abitanti, grande quanto Roma, e Caravaggio vi trova successo e onore, e vi lascia, oltre alla drammatica e teatrale “Resurrezione di Lazzaro”, il suo quadro più importante, sintesi di valori umani e religiosi: la “Natività” per la chiesa dei Cappuccini. Una Natività povera, nella più alta interpretazione evangelica e, singolarmente, pagata dal Senato di Messina mille scudi, tra i compensi più alti di Caravaggio. Una delle tante contraddizioni di una vita tormentata e disperata. Francesco Susinno, autore de “Le vite de’ pittori messinesi“, lo definisce «uomo di cervello inquietissimo, contenzioso e torbido», e che temeva di essere tradito e consegnato alla giustizia. Tanto che «molte volte andava a letto vestito e col pugnale al fianco che mai lasciava; per l‘inquietudine dell’animo suo più agitato che non è il mare di Messina». E ancora: «Vestiva mediocremente, armato sempre, che piuttosto sembrava uno sgherro che un pittore. Soleva mangiar su un cartone per tovaglia, e per lo più sopra una vecchia tela di ritratto”. Se in un film su una vita drammatica non entra un periodo come quello di Messina, il film è certamente un fallimento”, ha sentenziato Sgarbi.

 

 

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