Le parole della preside del Seguenza, “voi non siete figli di contadini”, riferite alle possibilità economiche (presunte) dei genitori degli allievi sono qualcosa di più di una gaffe estemporanea. Sono, invece, lo specchio di una mentalità profondamente classista, per non dire snob, quella mentalità che equipara, non si capisce bene perché, il lavoro manuale a una condizione sociale inferiore. La stessa per cui il liceo è una scuola d’élite e le scuole professionali sono ghetti, che produce infine quel culto del titolo ad ogni costo, retaggio, forse, di una mai sradicata abitudine al vassallaggio e alla servitù, per cui un tempo ci si inginocchiava davanti al barone, al marchese, al conte, oggi si struscia il cappello a terra per l’avvocato, l’ingegnere, l’architetto: si vive nel culto del titolo, ci laureiamo in qualsiasi cosa, ed è subito dottore di qua, dottore di là, ostentiamo quel Dr. davanti al nome come se ci rendesse parte di una casta superiore e degna di venerazione da parte dei plebei.
Perché in fondo, Messina e dintorni, ma anche altri luoghi al Sud, sono questo: un tempio decadente del prestigio e dello status sociale, l’ultimo baluardo di forme mentis, cerimoniali, consuetudini da cullare per darsi l’illusione di vivere ancora in un passato glorioso. Il “Magnifico” Rettore, il Senato Accademico, la pergamena di laurea a caratteri gotici…
Da nipote di contadino, trovo le parole della preside profondamente offensive, in primo luogo e secondariamente, da persona che vive una realtà diversa, le considero totalmente fuori dalla realtà, quella stessa realtà che produce da un lato frotte di laureati a spasso, dall’altra ignora totalmente la formazione professionale relegandola a rifugio degli incolti indegni del liceo.
Lo sa, la preside, che nella Svizzera in cui vivo, ci sono aziende agricole, quindi in sostanza contadini, che con quello che fatturano annualmente potrebbero comprarsela, la sua scuola di alto prestigio? Lo sa, che in un Paese normale che guarda alla sostanza e non al pezzo di carta appeso al muro, l’agricoltore è un mestiere come un altro, e anche redditizio? Lo sa che altrove i ragazzi che già alla fine della scuola media scelgono un apprendistato e imparano un mestiere sul campo, dal fabbro al giardiniere, fino si, al contadino, sono la maggioranza? Tutti ragazzi che avranno un posto di lavoro, mentre noi contempliamo decine di liceali che finiscono a ingrossare le file dei laureati a spasso, senza un titolo concretamente spendibile, e vanno a fare i concorsi da operatore ecologico o all’Ikea?
Cosa ce ne facciamo, signora preside, della sua scuola di alto prestigio che sforna titoli accademici, se poi altrove i contadini che lei disprezza fanno fortuna e i nostri giovani emigrano perché li avete abituati a considerare il lavoro manuale qualcosa di inferiore e li buttate nel mondo del lavoro con in mano un titolo che è buono solo per vantarsene?
Alla signora preside, suggerisco un bel viaggio nelle disprezzate regioni di montagna: potrebbe rendersi conto che i “figli dei contadini” sono, oltre che meritevoli di rispetto in sè, una realtà produttiva affermata, diversa dall’idea di miseria e degrado sociale che il suo mondo di avvocati e dottori le suggerisce.
(Ai più curiosi e maliziosi offro una chicca: i calendari “scollacciati” più venduti in Svizzera sono..quelli delle contadine e dei contadini…)
Dici bene. Molti messinesi hanno così poca personalità che hanno bisogno di identificarsi nei loro amati titoli 😉