La relazione ispettiva della Commissione regionale sul servizio veterinario dell’Asp di Messina è da tempo al vaglio delle procure. Una situazione quella delle carni che ci ritroviamo poi in tavola, molto critica di cui Manuela  Modica aveva già scritto su S nel maggio del 2016.

Di seguito, tutti i numeri e le storie, anche dei veterinari.

Giorni festivi di Natale del 2015. Sulle colline di Messina, precisamente a Tipoldo sono diverse le occasioni di festa in piazza. Degustazioni, sagre di formaggi alle quali accorrono in tanti. Tanti che ne pagheranno care le conseguenze nei mesi a seguire, rimanendo infettati da brucellosi. Sono 35 i primi casi ma la malattia ha un tempo lungo di incubazione, così che le persone infette sono adesso più di 70, con l’ultimo aggiornamento a metà aprile e si prevede l’impennata almeno fino a 100. Gli organizzatori delle attività natalizie a Tipoldo hanno acquistato i formaggi direttamente da un’unica azienda locale. Ma gli infetti non sono soltanto gli avventori delle iniziative culinarie di Tipoldo, ci sono stati altri casi non collegabili, per cui l’Azienda sanitaria di Messina è stata costretta a diramare un comunicato per invitare la “popolazione ad astenersi dall’acquistare e consumare latte, ricotta e formaggi non confezionati o privi di etichetta”. Un evento allarmante che illumina una situazione più estesa e soprattutto resistente negli anni, che molti allevamenti presentassero un numero elevato di brucellosi nel messinese era infatti noto e certificato già dal 2013. E non si tratta solo di questa malattia, sebbene questa sia più facilmente trasmissibile all’uomo. È infatti la tubercolosi la vera regina degli allevamenti di questa provincia con un picco elevato a Caronia. Questi i numeri: su 312 allevamenti risultati con mucche affette da brucellosi su tutto il territorio regionale, sono 177 quelle messinesi (dati gennaio 2016, dell’Istituo zooprofilattico siciliano). Su 309 allevamenti di pecore e capre infette 85 insistono tutte nella stessa zona. Mentre è messinese il 55 per cento degli allevamenti risultati positivi alla tubercolosi in tutta la Sicilia: tutti sui Nebrodi con particolare accentramento in quel di Caronia. Una situazione allarmante sulla quale si concentra con un’interrogazione parlamentare, il senatore Beppe Lumia, e che presenta vari aspetti inquietanti. La procura di Patti ha inviato un avviso di garanzia a due veterinari dell’Asp messinese mentre una task force della questura di Messina, guidata da Daniele Manganaro ha messo già in luce un altro aspetto: abigeato e macellazione clandestina.

Gli avvertimenti.

Tre buste per tre destinatari. Lo scorso dicembre erano già stati tutti avvertiti. Nel mirino delle intimidazioni oltre l’Ente Parco dei Nebrodi, anche il Commissariato di Sant’Agata di Militello e le guardie zoofile di Pettineo. Tre buste con proiettili con un unico scopo ma che ebbero la reazione opposta: se lo scopo dell’avvertimento era, infatti, di cessare i controlli sul bestiame, quei controlli furono invece intensificati. Così la task force guidata dal vicequestore Daniele Manganaro scoperchiò l’attività di macellazione clandestina di bestiame. Un’attività tanto intensa che la Questura di Messina stimò producesse un giro d’affari addirittura di 5 miliardi di euro. Le prove della macellazione clandestina, d’altronde, facevano il paio con l’alto numero di denunce di smarrimento di bestiame. Sempre più allevatori sui Nebrodi, infatti, denunciavano lo smarrimento oppure il furto di bestiame. E probabilmente gli animali “smarriti” erano infetti – questa l’ipotesi investigativa – “scomparsi” non a caso per essere inseriti in un mercato illecito, dunque macellati in luoghi di fortuna, illegali e senza seguire alcuna norma igienica per poi venire immessi normalmente nella filiera alimentare. Nel blitz guidato da Daniele Manganaro furono rinvenuti farmaci scaduti, flaconi di antiparassitario per bovini ed ovi-caprini, farmaci ed attrezzature necessarie per la somministrazione di terapie tra cui siringhe, aghi e provette per i prelievi di sangue. Oltre le attrezzature utilizzate per la macellazione clandestina e per falsificare l’identità anagrafica e sanitaria dei bovini. Nelle abitazioni perquisite i poliziotti avevano anche rinvenuto un cospicuo numero di proiettili. Cinque persone furono denunciate a piede libero per macellazione clandestina e maltrattamento di animali, detenzione illegale di armi e ricettazione. La procura di Patti aveva inoltre inviato un avviso di garanzia a due veterinari dell’Asp messinese considerati complici del giro alimentare illecito. Per questo Lumia tuonava in parlamento: “Di recente, si assiste al dilagare di un’epidemia epocale di brucellosi e tubercolosi bovina, con ormai centinaia di casi di trasmissione delle stesse all’uomo (…) nelle indagini sarebbero stati coinvolti, oltre al titolare dell’allevamento, anche due veterinari del servizio pubblico di sanità animale che avrebbero dovuto effettuare i controlli sull’allevamento e che evidentemente non hanno fatto il loro dovere”. Veterinari conniventi, animali smarriti, mentre i controlli reali su quelli rinvenuti danno risultati allarmanti. È infatti messinese il 55 per cento degli allevamenti risultati positivi alla tubercolosi in tutta la Sicilia: tutti sui Nebrodi con particolare accentramento in quel di Caronia. Si tratta dei dati di gennaio 2016 dell’Istituto zooprofilattico siciliano, sul bestiame non “smarrito”. Nessun  controllo sul nostro cibo, dunque, che segue un percorso che favorisce gruppi criminali. Per questo Lumia tuona in parlamento: “Gli agenti del commissariato santagatese, coordinati dal loro dirigente, dopo il blitz, hanno posto sotto sequestro 53 bovini  – continua Lumia – sui quali verranno condotti ulteriori accertamenti, oltre a tutte le misure per circoscrivere il focolaio infettivo. I reati contestati agli indagati sono gravissimi ed allarmanti, anche alla luce dei richiamati casi di infezione da brucellosi accaduti a Messina: diffusione di malattie degli animali, detenzione di alimenti pericolosi per la salute, falsità ideologica, abuso d’ufficio ed inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, oltre a truffa aggravata per l’ottenimento dei contributi, inoltre, si apprende che le indagini hanno permesso di accertare che al termine degli ultimi controlli ufficiali effettuati 15 giorni prima da veterinari dell’Asp di Sant’Agata Militello, gli animali erano risultati in buono stato di salute. Tali controlli sono stati poi smentiti dalle analisi su campioni di sangue dei bovini effettuate dagli operatori dell’Istituto zooprofilattico di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), che hanno permesso di rilevare, nel 15 per cento dei capi monitorati, la presenza dell’infezione tubercolare”. Per questo Lumia chiede in parlamento tra le altre cose che provvedimenti siano stati presi nei confronti dei due veterinari: “Dopo un anno risultano soltanto indagati, la legge dunque non mi consente di fare nulla, sono stati lo stesso allontanati dai controlli nelle aziende per cui si sospetta ci siano state connivenze”, spiega il dirigente generale dell’Asp Gaetano Sirna. Ma Lumia – parlando col nostro giornale – punta il dito proprio contro l’Asp: “Si è notato un cambiamento di segno in tutte le Asp siciliane tranne che in quella di Messina”. Attacchi che respinge il dirigente generale: “Si chieda Lumia piuttosto perché la task force istituita dalla regione (nel 2013, nda) per risolvere l’allarme messinese riguardo queste infezioni sia stata poi annullata. Noi, come Asp, abbiamo invece incrementato e raggiunto gli obiettivi”.

La dura vita dei veterinari messinesi.

Ma c’è un altro aspetto, come se non bastasse, della vicenda: i controlli nella aziende messinesi sono infatti particolarmente ardui. Un paio di ore di macchina per arrivare nelle colline messinesi. Per raggiungere l’allevamento, sperduto tra i monti Peloritani o tra i Nebrodi. Così ha inizio la giornata di Ginevra Liardo, veterinaria siciliana in forza all’Asp di Messina. Un vasto territorio dove insiste il “più alto numero di allevamenti in Sicilia”, avverte Sirna, e sono tutte piccolissime: “Si tratta di allevamenti con 9 bestiami, di media, perlopiù”. Pecore, capre, mucche che vivono allo stato brado: troppo pochi per piccolissime aziende che non li tengono in stalla. Che non hanno dunque le strutture per contenerli. Questa è la peculiare situazione sulle fasce collinari del messinese. Un bestiame selvatico che sembrerebbe dunque più pregiato. La peculiarità invece rende assai complicato per i veterinari di espletare i dovuti controlli: “Ci vogliono delle volte ore soltanto per rintracciare il bestiame. Peraltro un animale selvatico perciò non abituato al rapporto con l’uomo, io invece devo approcciarlo, controllare il suo stato di salute e prelevare dei campioni di sangue”, racconta ancora Liardo. Una professione rocambolesca per 48 veterinari dell’Asp che hanno a disposizione da contratto un orario base di 12 ore e 50 a settimana. Poche per una condizione così complessa. Sarà per questo che Messina risulta il territorio con la percentuale più bassa di controlli in Sicilia.

Animali infetti non controllati.

E potrebbe anche esserci una correlazione col grave stato di salute del bestiame in questa provincia. “Le cifre negli ultimi anni dei nostri controlli sono aumentate dal 46 per cento del 2014 al 100 per cento degli allevamenti controllati nel 2015, investiamo annualmente in questi controlli tra 650 e 700 mila euro all’anno e gli orari dei veterinari sono stati integrati, sono stati piuttosto loro a rifiutare l’integrazione delle ore”, spiega Sirna. Eppure i dati del Bollettino epidemiologico veterinario della Sicilia, redatto dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale, non sembrano lasciare dubbi. Aggiornati allo scorso gennaio, il bollettino documenta le ispezioni svolte nelle aziende di tutta la regione fino al 31 dicembre 2015: Messina conta sempre la percentuale più bassa dei controlli rispetto a tutte le altre province. È la più bassa (95,38%) percentuale di aziende di bovini sottoposte a controlli, rimangono esclusi 86 allevamenti, i cui dati sulla brucellosi non sono dunque disponibili. Sono 445 le aziende di ovicaprini non controllate per una percentuale del 72, 58 per cento, ancora la più bassa in Sicilia. Non va meglio nel caso della tubercolosi sui bovini, le aziende non controllate in questo caso sono 80, facendo registrare una percentuale di quelle sottoposte invece a controlli del 95,70 per cento, dunque sempre la più bassa in tutta la Sicilia. “Per il sesto anno consecutivo, cioè da quando è stato trasformato il nostro contratto nel 2010, la regione aggira le clausole contrattuali, finanziando non un’integrazione del nostro orario come previsto dall’articolo 23 ma contratti a progetto – spiega Massimo Venza, veterinario messinese, anche lui in forza all’Asp -, di fatto chiedendoci di lavorare sulla quantità – il progetto appunto, che può essere un numero tot di controlli – e non sulla qualità: se il progetto mi richiede 20 controlli, solo per fare un esempio, ed io per farne uno soltanto – per cause svariate ed impreviste, non so, quel giorno potrebbe piovere, o si potrebbero avere particolari difficoltà a reperire l’animale – io perderò tutta la giornata di lavoro senza aver controllato nessuno animale e perciò senza aver nessun rimborso economico. Una situazione che inevitabilmente spinge ad effettuare dei controlli senza il tempo necessario perché siano fatti con dovizia. Noi lo facciamo lo stesso ma con enorme sacrificio”.

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