MESSINA. «C’è un silenzio che grida più di mille parole: è quello dei ragazzi che fanno la valigia e partono, portando con sé più sogni che certezze. Ogni treno che lascia la Sicilia è una ferita che non si rimargina; ogni volo verso il Nord o verso l’estero porta via speranze, intelligenze, energie. E intanto, nei paesi dell’interno, restano solo gli anziani, le scuole vuote, i cortili silenziosi, le case chiuse. È la Sicilia che muore lentamente, senza guerre, senza rumore, ma con la stessa devastazione di una lunga carestia morale». Così, in una nota, commentano l’abbandono di molti giovani della Sicilia Vicky Ammendolia (SD Socialdemocrazia) e Letterio Grasso (Azione), citando le dichiarazioni di Carlo Bramanti (Ora!), Salvo Presti (+Europa) e Amedeo Gitto (PSI) rilasciate nell’ambito del gruppo politico “Ambiti di Percorso Comune”.

«Non si può più fingere che sia colpa del destino o di un Nord che tutto inghiotte. La verità è più scomoda: la responsabilità è anche nostra, della politica che scegliamo e di quella che sopportiamo, delle istituzioni che non pretendiamo migliori, di quella rassegnazione civile che è diventata una forma di complicità. Ogni volta che ci accontentiamo del poco, ogni volta che tacciamo per quieto vivere, consegniamo la nostra terra all’irrilevanza», commentano, riflettendo sui dati recenti: «I numeri, purtroppo, parlano chiaro. Tra il 2023 e il 2024 quasi 270.000 italiani hanno lasciato il Paese, e oltre 30.000 di loro erano siciliani. La popolazione residente è scesa a 4.797.359 persone, con una perdita di 16.657 abitanti in un solo anno. La Sicilia è anche la prima regione italiana per numero di cittadini residenti all’estero: più di 826.000 siciliani sono iscritti all’AIRE. In termini concreti, significa che esiste ormai una “seconda Sicilia”, fatta di giovani professionisti, tecnici, infermieri, ricercatori, che contribuiscono altrove a quella crescita che qui non hanno mai trovato. E chi resta, troppo spesso, non resta per scelta, ma per necessità».

«Il Rendiconto Sociale INPS Sicilia 2024 mostra che il 41,2% dei lavoratori dipendenti dell’isola è impiegato a tempo parziale, contro una media nazionale del 27,5%, e tra le donne la quota sale al 60,9%. A Messina, solo il 16% delle nuove assunzioni è a tempo indeterminato, mentre il 41% dei dipendenti ha contratti part-time. La retribuzione media annua è di appena 16.506 euro lordi, circa 6.300 euro in meno della media nazionale. Nei settori privati la differenza giornaliera con il Nord può arrivare a 30 euro, che a fine anno significano stipendi più bassi anche di 3.500 euro. Il risultato è un impoverimento progressivo e un senso diffuso di precarietà esistenziale», evidenziano.

«La disoccupazione giovanile in Sicilia si attesta intorno al 36%, mentre il tasso di NEET (giovani che non studiano e non lavorano) sfiora il 45%, il più alto d’Italia. Non è solo una questione economica: è un’emergenza civile. Un’intera generazione viene privata del diritto alla progettualità, alla stabilità, alla dignità del lavoro. Come osserviamo da tempo (e su questo convergono anche le altre componenti del gruppo Ambiti di Percorso Comune) la radice del problema è nel fallimento del sistema educativo e nella disattenzione delle istituzioni verso la formazione e il lavoro giovanile. A ricordarlo con forza è Carlo Bramanti, dell’Assemblea nazionale di Ora!».

«Negli ultimi vent’anni la politica del lavoro in Sicilia (e più in generale nel Mezzogiorno) ha fallito perché è stata assistenziale invece che strategica. Si sono moltiplicati i sussidi, le indennità e le misure spot, ma non i progetti industriali. Si è scelto di “tamponare” la disoccupazione, non di generare occupazione. Le politiche attive sono rimaste frammentate, i centri per l’impiego inadeguati, le agenzie regionali piegate alla logica della rotazione clientelare. Gli incentivi alle imprese raramente hanno premiato l’innovazione o la stabilità contrattuale: il lavoro è stato trattato come un costo da comprimere, non come un investimento da valorizzare – sottolineano Amendolia e Grasso – In Sicilia, meno del 20% dei contratti a termine si trasforma in tempo indeterminato; nel Nord, la percentuale è il doppio. Le politiche di formazione professionale, pur finanziate con milioni di euro, hanno prodotto corsi slegati dal tessuto produttivo, senza un reale sbocco occupazionale. Come mostrano i dati di Openpolis, la Sicilia resta tra le regioni con i più alti tassi di dispersione educativa: oltre il 22% dei giovani abbandona gli studi prima del diploma, e il 50% non prosegue oltre la scuola media. È la radice di un divario che alimenta la povertà e la fuga».

«La nostra economia continua a fermarsi “a metà strada”. Produciamo agrumi, vini, pistacchi, mandorle, formaggi, ma ci fermiamo prima della fase finale, quella più redditizia. L’imbottigliamento, la trasformazione, la commercializzazione vengono realizzati altrove. È l’“ultimo miglio” che ci manca, quello che genera valore e occupazione qualificata. Abbiamo anche perso l’occasione di attrarre nuove filiere industriali e tecnologiche. Persino aziende globali che operano in Italia hanno preferito il Nord per aprire stabilimenti di ricerca, mentre qui ci si è accontentati di ruoli marginali o di lavorazioni secondarie – aggiungono – A ciò si aggiunge un deficit infrastrutturale che è una ferita cronica: ferrovie obsolete, strade dissestate, porti che vivono di rendita e non di visione. La mancanza di connessioni moderne, materiali e digitali, isola intere aree dell’isola. Chi investe deve calcolare costi e tempi doppi rispetto al resto d’Italia. Così la Sicilia, che dovrebbe essere ponte naturale del Mediterraneo, diventa periferia d’Europa».

«Ma ciò che colpisce di più è l’apatia di chi dovrebbe reagire. Troppi politici siciliani, una volta eletti e seduti sugli scranni del Governo regionale, sembrano dimenticare che il primo dovere della politica è quello di garantire dignità e futuro alla propria terra. Si affannano in giochi di palazzo, lottano per incarichi, ruoli e visibilità, ma ignorano le questioni vitali che decidono il destino di migliaia di famiglie: il lavoro, l’istruzione, le infrastrutture, la povertà giovanile. È un ceto politico che spesso confonde l’amministrazione con la gestione del consenso e non comprende che la Sicilia sta morendo, non di povertà materiale soltanto, ma di abbandono, di assenza di visione, di rassegnazione collettiva – denunciano – Eppure resta un mistero, e insieme una ferita, il silenzio del popolo siciliano. Possibile che non ci si indigni più? Possibile che non si scenda in piazza quasi ogni giorno a reclamare i propri diritti, a chiedere lavoro, equità, giustizia sociale? Abbiamo imparato a sopportare tutto, anche l’ingiustizia, come se fosse parte del paesaggio. E mentre ci abituiamo al declino, la Sicilia si svuota (lentamente, ma inesorabilmente) di vita, di giovani e di futuro».

«Non serve cambiare bandiera politica se restano intatti gli stessi schemi di potere. Serve una cultura di governo nuova, capace di restituire dignità e futuro alle nostre comunità. Su questo tema, Salvo Presti, Referente Cultura di +Europa ed ex Assessore alla Cultura di Milazzo, ha denunciato con chiarezza un modello amministrativo che esprime bene il fallimento della visione politica locale. Un’analisi che trova riscontro anche nel messinese e nel suo hinterland – notano – Le parole di Bramanti, Presti e Gitto rafforzano un’idea che condividiamo pienamente: la Sicilia non ha bisogno di assistenza, ma di responsabilità. Non servono più slogan, ma scelte politiche che liberino le energie migliori, valorizzando i giovani come protagonisti del cambiamento. La nostra proposta parte da una convinzione semplice: il lavoro non è un costo, ma la base della dignità umana e del progresso civile».

«Per invertire la rotta, occorre una politica industriale e sociale di lungo periodo, fondata su pochi obiettivi chiari. Incentivi alle imprese che assumono under 35 a tempo indeterminato e che mantengono la sede produttiva in Sicilia; integrazione reale tra formazione e impresa, creando un patto tra università, ITS e aziende locali; completamento delle filiere produttive in Sicilia, valorizzando l’agroalimentare evoluto, l’artigianato innovativo, la tecnologia ambientale e il turismo sostenibile; infrastrutture materiali e digitali che colleghino la Sicilia al resto d’Italia e del Mediterraneo; pacchetti di incentivi per il rientro dei giovani emigrati; e una cabina di regia regionale indipendente che monitori la spesa pubblica e i risultati occupazionali con criteri di trasparenza e partecipazione civica – sostengono Amendolia e Grasso – Serve una cittadinanza che non si limiti a sopravvivere, ma pretenda di vivere. Serve una classe dirigente che torni a parlare di visione e non di favori, di progetti e non di clientele. Serve una stampa libera, una scuola viva, un’università che si apra ai territori e ai mestieri. Restare non deve più sembrare un fallimento, tornare non deve apparire un azzardo. Dobbiamo cambiare narrazione: raccontare la Sicilia che resiste, che inventa, che costruisce, e smettere di credere che andarsene sia l’unica via di salvezza. Chi parte porta con sé il proprio talento, ma anche la nostra fiducia collettiva. Chi resta deve trovare il coraggio di trasformare la nostalgia in progetto, la rabbia in proposta, la memoria in futuro».

«La Sicilia può ancora scegliere di rinascere, ma deve cominciare ora. Non basta lamentarsi delle occasioni perdute: bisogna crearne di nuove. E forse, un giorno, i treni che oggi portano via i nostri figli saranno gli stessi che li riporteranno a casa», concludono gli esponenti di SD Socialdemocrazia e Azione.

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