Andrea Sposari 33 anni è uno Street Artist itinerante della provincia di Messina, con sede al momento a Barcellona Pozzo di Gotto, la cui storia ingloba la Sicilia, e non solo, con opere murarie per progetti di riqualificazione urbana, o per interventi spontanei, dislocate in diverse città d’ Italia, d’ Europa e India. Cresciuto tra Cattafi e Pace del Mela, dopo il diploma all’ Istituto Tecnico Industriale di Milazzo, si laurea al Politecnico di Milano in Ingegneria Elettrotecnica diventando di fatto un ingegnere “credente non praticante” che già durante gli studi universitari aveva abbracciato professionalmente il mondo dei murales. Andrea, infatti, che disegna da sempre e che ha un amore congenito e viscerale per il disegno, grazie alla scena underground Hip Hop messinese, dei primi anni 2000, si è avvicinato al graffitismo e da quel momento, per fortuna, non si è più fermato. Con la sua arte racconta storie: gli piace raccontare, soprattutto, storie legate alla cultura popolare, proprio quelle in cui gli abitanti di una comunità si identificano e riconoscono. E gli piace farlo, pur restando fedele alle fonti originarie, con un nuovo accento e con una contaminazione che arriva da uno sguardo esterno. Nella provincia di Messina, così come in altri luoghi, ha raccontato dalla cultura popolare basica alla parte archeologica, dalle leggende alle maschere antropologiche, fino agli antichi mestieri e fatti realmente accaduti. Maschere antropologiche come “Gli Scacciuni” di Cattafi, rappresentazioni di tradizioni locali come la produzione della provola di Basicò, fatti di cronaca come l’ omicidio del giornalista Spampinato a San Michele di Ganzaria, e ancora la leggenda del piccolo San Benedetto il Moro, il Salotto Etiope a Cannistrà, sono solo alcuni esempi delle opere di Andrea Sposari, a cui va aggiunto il murales sulla cabina dell’ Enel, in zona Mortelle, in occasione del Giro d’ Italia e quello dell’ hall del reparto Oncologico dell’ Ospedale Papardo in collaborazione con Nessun Nettuno. La straordinaria capacità di rappresentare la realtà, nuda e cruda, è la chiave di lettura delle opere di Sposari che risultano di una bellezza commovente e disarmante: mani, occhi, rughe, espressioni e segreti di esseri umani che sembrano prendere vita, con le loro radici, le loro emozioni, i loro dolori e le loro gioie.
Quando e come ha preso il via il tuo percorso?
“Ho iniziato all’ età di 14 anni, la scintilla è nata grazie a Messina: in quegli anni in città c’era una fortissima scena Hip Hopmessinese che abbracciava, di conseguenza, un po’ tutte le arti connesse tra cui appunto quella del graffitismo con i graffiti di Kuma,Tony Proe, Tofi e tanti altri; ed io, che disegno da quando ne ho memoria, da sempre appassionato di disegno, e che ho ballato break dance in età molto giovane, mi sono automaticamente avvicinato alla realtà dei graffiti. Anche se la scena principale era a Messina si sviluppava un po’ in tutta la provincia con eventi come south invation o semplicemente con atti di arte libera, così mi sono affacciato a questo mondoiniziando illegalmente, come tutti, comprando due bombolette insieme ad un amico: comprammo una bomboletta nera ed una verde e realizzammo in pieno giorno, totalmente non curanti delle persone che passavano, su un muro di contenimento, che trovavamo stupendo, nella zona di Pace del Mela, il nostro primo murales. Esattamente disegnai un puppet, ovvero un personaggio cartoonizzato, completamente da me inventato e da quel giorno fummo etichettati come “imbrattamura”. Quel murales è stato ormai, col tempo, assorbito dal muro ma segnò il punto di inizio del mio percorso da Street Artist.”
Qual è il focus della tua arte?
“Il mio interesse a livello grafico negli anni si è spostato tanto, chiaramente, anche perché è un qualcosa che ho iniziato a fare in età molto giovane. Cresco e l’arte cresce con me: cambiano gli interessi e cambia, di conseguenza, anche quello che vuoi disegnare dato che stai esprimendo un qualcosa che ti riguarda e che ti interessa, e cambiando gli interessi cambia anche la tipologia di disegno. Ovviamente c’ è stata anche un’evoluzionetecnica sotto tutti i punti di vista, c’ è differenza tra come disegnavo a quattordici anni e come disegno oggi. L’ evoluzione di oggi, relativa a quello che faccio attualmente, è legata alle tradizioni e alle maschere antropologiche: sono un appassionato di storie e mi piace molto raccontarle. Se fossi stato un cantante sarei stato sicuramente un cantautore perché mi appassionano tantissimo le storie delle persone e delle cose, ed in particolaretutte quelle storie generalmente legate ad una comunità. Ed è questo che raccontano i miei lavori. Ci sono storie incredibili che cerco di fare mie il più possibile, storie con cui empatizzo tanto. Buona parte di queste storie sono di natura antica e sono storie legate alla tradizione: sono quelle che caratterizzano in qualche modo una popolazione, quelle che hanno messo radice all’ interno della mente di una popolazione condizionandola anche in un certo senso, e sono quelle in cui ci si riconosce sentendo un senso di appartenenza. Tra cui, per l’appunto, quelle legate alle maschere antropologiche che sono delle cose incredibili di cui non so quanta contezza effettiva ci sia in Italia, ma ce ne sono veramente tante visto che abbiamo la fortuna di avere tantissimi borghi ed ogni borgo ha le sue tradizioni, alcune tradizioni tra loro sono similari ma pur sempre con qualche caratteristica che le contraddistingue. Tutto questo per me questo è un terreno super fertile. È un qualcosa che mi permette di fare dei collegamenti, mi permette di capire delle cose di persone che vedo solo per tre/quattro giorni e che poi probabilmente non vedrò mai più, ma che grazie a questo contatto diretto riesco sul serio a leggere come stessi facendo loro, e alla comunità di cui fanno parte, una radiografia. Tutto ciò mi piace tantissimo. Mi piace moltissimo entrare a contatto con diverse culture, cha siano distanti 3 km o 7.000 km, e da tutto questo cerco sempre di portarmi qualcosa dietro.”
Come funziona il tuo lavoro?
“Vengo contattato prevalentemente dalle Amministrazioni Comunali o da varie Associazioni, che vogliono fare qualcosa per il pubblico, e si va a strutturare un progetto che può essere della durata di un intervento o cadenzato negli anni, come ad esempio il progetto realizzato a Tripi. Attualmente questa è la fonte del 90% del mio lavoro a cui si aggiunge, poi, il richiamo al selvaggio e dunque gli interventi nati spontaneamente. Spesso, ad esempio, mi capita di lavorare e notare un luogo in particolare, essere colto dall’ ispirazione, e chiedere di poterci disegnare e non solo mi viene dato ma, anzi, vengo ringraziato. Un tempo lo facevidirettamente e basta, anche perché se lo chiedevi non te lo facevano fare, oggi invece è diverso. Dal 2023, inoltre, mi occupo della direzione artistica del Festival “Nto Menzu A Na Strada” che organizzo in collaborazione con l’Associazione Culturale Cannistrà.”
Con il tuo lavoro, soprattutto girando tra i borghi e trattando tematiche come le tradizioni antiche popolari, stai a contatto con due generazioni molto diverse: i giovanissimi e gli anziani. Come viene concepita la Street Art in questo contesto? È un modo per far scoprire ai ragazzi le radici del passato e per far prendere confidenza ai più grandi con l’innovazione?
“La concezione è cambiata molto, col tempo la gente metabolizza le cose ed anche i movimenti. Movimenti che inizialmente non capisce poi li metabolizza negli anni. All’ inizio venivamo visti come persone che facevano qualcosa di poco serio, mettiamola così, oggi invece già veniamo accolti con molta più curiosità ed interesse, vogliono sapere chi sei, si interessano in maniera attiva ed il più delle volte positiva, ovviamente, con delle rare eccezioni. Però è curioso, ad esempio, vedere il contrasto del vecchietto perché, poi, alla fine della fiera, ti rendi conto che anche se può essere ancorato a certe concezioni preserva sempre una mente elastica soprattutto se stai andando a rappresentare qualcosa che gli ricorda delle fasi della propria vita o dei propri tempi. Per me le rivoluzioni si fanno passo dopo passo e tutti i passi devono essere equilibrati e stabili, altrimenti non ha senso. Quello che faccio è un filo a doppio collegamento: da una parte con la tecnica o con l’innovazione, e quindi con la street art, stai attirando i giovani mentre con il contenuto attiri tutta l’altra sfera della popolazione.”
Quali sono le opere che hai realizzato a cui sei più legato?
“Tra le prime opere, in assoluto, la “Gelsominaia”, ad Archi: è il riassunto più efficace della mia idea di raccontare storie tramite il disegno, ed è la più efficace anche per risposta popolare dato che ha soddisfatto pienamente le mie aspettative, che non è una cosa così banale anzi è una cosa che non avviene quasi mai. Le altre opere che hanno avuto un po’ lo stesso effetto sono state Le Maschere di Tricarico o la Festa della Pita di Alessandria del Carretto, entrambe feste legate a tradizioni popolari molto antichee per me è stata una vittoria perché, alla fine, sono entrato a far parte di quelle comunità. Al di là dell’aspetto tecnico di cui sono soddisfatto, ma potevo anche non esserlo, al di là dell’approvazione popolare che andava per la maggiore, per me la vittoria sta nel fatto che ad un certo punto sono riuscito ad identificarmi in loro, sembravo un loro concittadino e questa è la più alta forma di riuscita di una mia opera.”
Essere nato e cresciuto in Sicilia, in provincia di Messina ti ha agevolato o ostacolato in quello che fai?
“Ma credo né uno né l’altro, per il semplice fatto che ho anche vissuto fuori ed ho anche lavorato fuori dalla Sicilia. I percorsi sono strani non c’ è un modo specifico per arrivare ad un punto, ci sono infinite strade ed ognuno percorre la sua. Chiaramente la Sicilia è la mia terra, è una terra che capisco un po’ di più rispetto ad un’altra ed allora questo può avermi aiutato a sviluppare una forma di comunicazione personale.”
Come procede l’avventura di Cannistrà?
“Cannistrà è un bellissimo viaggio iniziato nel 2017, che ancora oggi continua. Sono arrivato a Cannistrà, per l’appunto, nel 2017con un’opera che oggi cancellerei con tutto il cuore per tanti ragioni: per un aspetto tecnico, era la prima grande facciata che facevo, e perché oggi farei un qualcosa di totalmente diverso ma questo lo dico con l’occhio del me del dopo che fa quello che tutti gli artisti sperano di fare, ovvero guardarsi indietro e schifarsi equesto perché vuol dire che nel mentre sei cresciuto. È un’opera a cui voglio bene per tante ragioni, decisamente non per l’aspetto tecnico, e che quasi mi vergono a mostrare ma mi rendo conto che è comunque un’ opera importante perché ha segnato l’inizio di un percorso con e per Cannistrà, che mi ha portato a tanti progetti come il Salotto Etiope ed il Festival Nto Menzu A Na Strada, e che anche in quest’ opera c’ è il senso di appartenenza di una comunità dato che là difronte è nato, successivamente, il Parco dei Beatles e si sono sviluppate tantissime altre iniziative. Il Festival Nto Menzu A Na Strada quest’ estate, nella sua terza edizione, si terrà dal 25 al 27 luglio: è un festival che nella sua primissima edizione era partito solo come festival di Street Art, lo scorso anno poi è stata aggiunta la parte musicale con artisti provenienti un po’ da tutta Italia, e quest’ anno ci saranno varie novità tra cui la Residenza d’ artista, verranno realizzate quattro opere, quattro installazioni che resteranno fisse a Cannistrà, la parte relativa ai concerti verrà ampliata, ci saranno delle dirette radiofoniche, ci sarà il mercatino del vintage e tanti altri piccoli tasselli che andranno ad arricchire una cosa che aveva già la sua forma. La popolazione di Cannistrà ha accolto, da sempre, tutto ciòbenissimo e con grande entusiasmo, e sono successe delle cose che sembravano impensabili come l’ apertura di B&B, un Bar che aprirà a breve, e ci sono progetti per l’ apertura futura di attività commerciali dato che ci sono persone che si recano sul posto per far visite guidate e quindi servono i servizi, ed era un borgo in cui non esisteva alcuna attività commerciale dato che era solo residenziale. È una curiosità, è una bellissima voce fuori dal coro quello che è accaduto e che sta accadendo.”
Cosa pensi della situazione, abbastanza ferma, sulla Street Art a Messina?
“Quale situazione?!?!Messina è incredibilmente ferma: è passata da un bel fermento ad uno stato di apatia ed immobilismo. E questo per noi artisti è un danno, soprattutto per gli artisti di provincia. Se guardo Catania che ha un movimento ed un fermento elevato, mi rendo conto che avere come supporto una città come Catania, che ti fa sviluppare dei progetti, è un traino non indifferente rispetto a dover trainare tutta la macchina da una carrozza di mezzo. A Messina non so perché attualmente la situazione è così ferma, so solo che non si fanno progetti interessanti, progetti ben strutturati, progetti seri che attirano professionisti, che potrebbero aiutare a far crescere tutto il circondario, da tantissimo tempo e questo è un grosso peccato per noi artisti ma anche e soprattutto per la popolazione che ha bisogno di vedere cose diverse e di interfacciarsi con altri punti di vista. Messina è un luogo di passaggio obbligatorio, ci devi passare per forza, ed è strano che non si pensi a delle opere di Street Art che invece poi stanno in posti in cui ci devi andare di proposito, posti difficili da raggiungere e spessissimo fuorimano. Messina è una città in cui l’interscambio, proprio com’ è avvenuto in passato, doveva essere automatico anche solo per una questione geofisica e geografica ed invece assurdamente non succede. Eppure ci sono a Messina delle persone che potrebbero strutturare iniziative interessanti e cose importanti che crescono nel tempo e che danno credibilità al tutto, dato che non serve un singolo intervento sporadico ma serve una programmazione. Il successo nelle cose è nella continuità e a Messina non c’ è da tanto tempo, non dico che si debba fare per forza con la Street Art ma mi sembra che anche le altre arti al momento non riescono a trainare un movimento culturale e questo è un peccato perché così i ragazzi non si identificano in delle cose. In generale vedo un freno motore importante.”
Qual è il potere della Street Art?
“La Street Art è una delle più alte forme artistiche e democratiche allo stato attuale. Ha preso piede proprio perché è profondamente democratica: vuoi che è un’arte pubblica, vuoi che è ad alto impatto visivo e non puoi ignorarla, vuoi che crea un dibattito tra le persone. Il suo vero potere è la sua forma democratica e spero che così rimarrà nel tempo anche se ci provano spesso e volentieri ad utilizzarla per scopi politici. E ribadisco che la sua incredibile forza è quella di essere una forma artistica democratica.”
Artisti che ti piacciono particolarmente? C’ è qualche opera che avresti voluto fare al posto loro?
“Ci sono tantissimi artisti che mi piacciono ed almeno un migliaio di opere che avrei voluto fare io: all’inizio del mio percorso ho scoperto un artista spagnolo di nome Belin che ha fatto innumerevoli opere che avrei voluto fare io, ma anche quelle di Bosoletti, che è italo-argentino, che ha lavorato tanto in Italia e all’ estero, un artista che invidio in senso positivo. Questi due sono quelli che allo stato attuale mi fanno pensare “questo lavoro l’avrei voluto fare io”. Inoltre devo dire che la Spagna dal punto di vista artistico va molto forte ed è tra gli stati che ha più influenza a livello artistico in questi ultimi anni.”
Qual è il tuo P.S. (Post Scriptum)?
“Penso spesso al futuro della Street Art. È chiaro che tutte le cose devono evolvere insieme alle persone, e anche questa disciplina dovrà evolvere insieme alle persone altrimenti rischia di perdersi. Pensando al suo futuro credo fermamente che la prospettiva più utile per tutti sia quella di cominciare ad integrare la Street Art all’ interno delle fasi progettuali. Fino ad ora si è lavorato, e si lavora,quasi sempre per andare a sistemare un disastro fatto in passato, e di disastri ne sono stati fatti tanti. Chi fa Street Art, dunque, lavora in termini di “riqualificazione” e tutto ciò ha sicuramente il suo aspetto nobile ma limita le vere potenzialità di questa forma artistica che inserita, invece, direttamente in quella fase progettuale dove l’opera plasma il modello ed il modello plasma l’opera sicuramente può andare a raggiungere una forma molto più elevata di arte sotto ogni punto di vista. Sia dal punto di vista dell’architettura, sia dal punto di vista dell’artista che non deve, a questo punto, più andare a mettere una pezza ma ragionare in termini di armonizzare il tutto. Ecco, fermo restano che tutto ciò che è stato fatto fino ad ora rimarrà e che ci sarà sempre bisogno di continuare a lavorare in questo senso, il futuro migliore che mi auguro per questa forma d’ arte è essere inserita a monte nella fase di progettazione.”