Deve esservi un rapporto tra immaginari commerciali, cultura e mascolinità tossica. So bene che la natura di questa relazione non è affatto appurata ed è forse persino nulla, come spiegano gli studiosi dei fenomeni culturali. Ciò nondimeno è questa correlazione che mi viene puntualmente in mente quando rifletto sulle posture pubbliche di Cateno De Luca, un mio coetaneo nonché ex compagno di scuola.

Penso a come entrambi, nell’infanzia e nella prima adolescenza, siamo stati il bersaglio culturale di dopo-barba pensati per “l’uomo che non deve chiedere mai (scusa)” oppure di personaggi che promettevano di essere “poliziotti, giudici ed esecutori” (Giudice Dredd). Tra Stallone, Marlboro Man e seduttori seriali, la nostra generazione è quella esposta agli ultimi sussulti del maschilismo storico. Ossia di quella lunghissima fase culturale e politica che precede quella attuale – della “mascolinità debole”, potremmo dire – ancora lontanissima però dall’essersi sedimentata e avere rimpiazzato l’altra.

Pensavo oggi a tutto questo rileggendo le parole del Sindaco a commento del sit-in tenutosi venerdì scorso sotto il Municipio, a difesa dei diritti sociali e contro l’uso afflittivo dei social media, spontaneamente organizzato sulla base dell’onda emozionale generata dal video che mostrava l’allontanamento di due uomini privi di casa dal Palacultura.

Nel suo commento pomeridiano – seguito al produttivo incontro di una delegazione di manifestanti con alcune delle donne e degli uomini della Giunta (di cui non si apprezza mai abbastanza la sensibilità politica mostrata) – il Sindaco afferma di ispirarsi a “principi di concretezza”. “Concretezza – specifica De Luca – che prevede il ripristino della legalità e nel fermo contrasto di ogni forma di abuso che attenti al decoro ed alla sicurezza urbana”.

Mentre pensavo che fosse un peccato che la stessa mattina della dimostrazione, informato del sit-in che avrebbe avuto luogo sotto i suoi uffici, si fosse dichiarato in ferie e, perciò, affatto interessato a quello che una parte di cittadinanza aveva da dirgli, mi tornava per l’appunto in mente il vecchio spot della Denim che tante volte il sindaco deve avere visto da bambino: quello dell’“uomo che non deve chiedere mai”. Ossia dell’uomo che non deve mai chiedere scusa. Che deve evitare il più possibile di mostrare ripensamenti. Che, per lo meno, deve evitare di farlo con delle nullità come evidentemente sono dei cittadini che mai voteranno per lui.

Ma l’uomo che non deve chiedere mai è, nel quadro politico e culturale contemporaneo, anche l’uomo che non prescinde dalle regole che il suo “buon senso” ha individuato. E allora giù a parlare di decoro e di formalistiche interpretazioni della sicurezza…

Lì ove, naturalmente, la sicurezza non è quella novecentesca che consiste nella rimozione degli ostacoli al buon sviluppo delle persone (dunque il welfare, la sanità, i sussidi etc.), ma quella triviale del “rassicurazionismo”. Ossia di quel modo di governo che pone al centro le percezioni di un elettorato ansioso che va, per l’appunto, continuamente rassicurato dalle sue proiezioni fantasmatiche (l’invasione, l’immigrato, il criminale, la sporcizia etc.).

Nella cornice politica e culturale rassicurazionista, dunque, non si rimuovono gli ostacoli allo sviluppo della persona umana, ma l’umanità stessa. E lo si fa, comunemente, nel tripudio riservato al liberatore da masse ormai immunizzate alla sofferenza. Masse abituate a colpevolizzare il povero, specie se dal passaporto non italiano. Masse abituate a classificare l’umanità distinguendo tra “persone” (meritevoli) e “non-persone” (sub-umanità in eccesso).

Così se molti nel web italiano possono celebrare a viso aperto un naufragio dichiarandosi contenti per il nuovo cibo che sfamerà i pesci, sulle pagine di Lettera Emme alcuni commentatori potranno accompagnare la testimonianza di un nigeriano che parla della sua volontà di essere parte della comunità locale parlando di “occhi iniettati di sangue”. Mentre altri parleranno di “vili che per paura non dicono nulla nel loro paese, mentre vengono qui a fare la voce grossa” (senza nulla sapere, naturalmente, degli scontri politici che caratterizzano la vita di molti paesi africani e dei livelli di mobilitazione che questi frequentemente presentano. E senza contare il vuoto pneumatico che, alla voce politica, accompagna presumibilmente la biografia della maggior parte dei commentatori da tastiera).

Tra un Cateno De Luca che va in ferie allorché sotto il suo ufficio si tiene la manifestazione di cittadini a lui non graditi e l’atteggiamento cognitivo del suo elettorato, che, per lo meno nei grandi numeri, distingue agevolmente tra persone e non-persone, vi è chiaramente una connessione sentimentale, che è anche una “pedagogia civile”. Se De Luca non è il Montessori pervertito di turno – ossia colui che ha inventato un metodo didattico – egli è certamente il maestro che riproduce quel metodo diligentemente e con perizia.

Tuttavia se è indubbio che questa pedagogia funziona nella prospettiva del dominio e del governo di Uno (di De Luca, sarebbe a dirsi), vi è da chiedersi se i suoi effetti di lungo periodo sono sostenibili per la città. Se  essere classificato come non-persona è originariamente lo straniero, si vede bene come gradualmente anche il cittadino dissidente lo diventi. Quel cittadino, per l’appunto, che chiede di incontrare il Sindaco e scopre però che per lui il Sindaco è in ferie. Cos’è dunque che si sta dicendo a questo cittadino? Che le sue richieste sono nulle. Che lui sarà il Sindaco di alcuni e non di tutti. E che le parole dei “non-cittadini” non valgono nulla.

Se sul piano pubblico vi sono pochi dubbi intorno alla ricezione di simili scelte, mi chiedo anche se su un piano inerente al privato del Sindaco non occorra invece interpretare questi atteggiamenti come una manifestazione di paura rispetto al confronto. Oltre che, naturalmente, all’esistenza di un “doppio registro”: quello che consiste che nel dichiararsi in vacanza per lasciare però ricevere i manifestanti da uomini e donne della Giunta.

E non scordiamoci, infatti, che a un livello complessivo il “doppio registro” è il cuore di questo nuovo populismo, che è di volta in volta sovranista con il popolo ed europeista con l’Europa. Filo-russo e, insieme, filo-americano. Cateno, insomma, può essere anche lui contemporaneamente “aperto” e “chiuso”. Anzi lo è certamente, perché altrimenti non sarebbe il politico di razza che indubbiamente è.

A ogni modo, se l’ipotesi del doppio registro sta in piedi, è anche evidente che l’ordinanza anti-accattonaggio è quella cornice normativa secondaria che impedisce la sperimentazione di misure di integrazione sociale e, dunque, di risoluzione dei problemi connessi al lavoro e all’abitare che molti messinesi bianchi e neri sperimentano quotidianamente.

Superare quell’ordinanza che non ripristina il decoro, ma che sta come la cipria su un volto orribilmente deturpato, è un fatto essenziale per il buon governo urbano. Ed è per questo motivo che il Sindaco farebbe meglio a rimuovere la maschera dell’uomo che non deve chiedere mai per collaborare apertamente con chi ha a cuore il bene universalistico della città e per evitare quella polarizzazione sociale che alla lunga gli nuocerà.

Un’anteprima di questo ce lo dà il video, pubblicato dal sindaco stesso, relativo alla repressione del falò di Marmora. Quel “Bella ciao”, che a sorpresa si eleva contro il dispositivo poliziesco, è un sintomo che non andrebbe sottovalutato perché spontaneo e proveniente da persone che nulla hanno a che fare con la politica. E che, però, istintivamente, recuperano un motivo annidato nella cultura popolare. Un motivo, evidentemente, che la struttura culturale fa riaffiorare alle bocche quando si avverte qualcuno come un oppressore (anche semplicemente dei costumi).

 

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