Chi ha avuto modo di leggere qualcuna delle puntate precedenti di questa rubrica oramai lo avrà capito chiaramente: per me il viaggio è anzitutto incontro. Ecco, il mio giro zaino in spalla per il sud della Norvegia, a cavallo tra agosto e settembre di tre anni fa, rappresenta un po’ l’antitesi di questo mio modo di viaggiare, almeno a larghi tratti e nelle sensazioni e nei ricordi che mi porto dietro.

Eppure il viaggio era partito alla grande da questo punto di vista. Dopo i primi giorni trascorsi tra la piacevole Trondheim e la campagna circostante, dormendo in una enorme casa di legno in mezzo al nulla, ospite di una coppia di norvegesi di mezza età, avevo deciso di muovermi verso Oslo. E nella capitale ci avevo trascorso tre giorni, a casa di un’amica, Ina, e dei suoi coinquilini, gustandomi il fine settimana in compagnia di persone nuove e interessanti nella Rodeløkka, piccolo quartiere non lontano dal centro, che sembra un villaggio a sé stante, con tante casette, viuzze e molta pace. Il tutto, con costante sottofondo latinoamericano – giusto per placare quella saudade che non smette di accompagnarmi dai tempi del primo viaggio oltreoceano – tra le chiacchierate con un nuovo amico argentino e i cocktail rivisitati con base mezcal del Perla, bar e punto di riferimento dell’intero quartiere.

 

 

Insomma, come inizio non c’era male. Ed ero particolarmente contento, considerato come questo fosse il frutto di una repentina variazione significativa dei miei piani di viaggio, già al secondo giorno. Come spesso accade, in realtà, di pianificato c’era ben poco, a parte la città di arrivo (Trondheim) e quella da cui ripartire (Bergen). Con in mezzo, però, l’idea di scendere lungo la costa, tra i fiordi. Ma siccome il bello del viaggio è appunto quel che non si è pianificato, arriva l’invito per il fine settimana ad Oslo e la rivoluzione di quel poco che avevo stabilito.

E così, dopo i tre giorni alla scoperta di Oslo e di una sua dimensione più local, guidato da gente che lì ci viveva da tanti anni, decido di seguire il loro consiglio: “lasciati qualche giorno per i fiordi alla fine del viaggio, ma prima vai alla scoperta della costa sud, spesso ignorata dai turisti ma ricca di posti meravigliosi.”

 

 

E così i fiordi possono attendere: prossima tappa Kristiansand, “città giovane e universitaria”, nelle parole di chi mi ci ha mandato (una delle amiche di Ina, originaria del posto). E per quanto sia sempre grato a chi condivide con me consigli e idee nel corso dei miei viaggi, ammetto che ancora oggi non sono riuscito a capire in cosa consistesse la natura “giovane e universitaria” di Kristiansand.  Piuttosto, quel che ricordo di questo posto è l’aver compreso, mentre mi trovavo lì, come la Norvegia non sia un paese in cui poter improvvisare più di tanto i propri pernottamenti: in assenza di soluzioni economiche, alla buona e last minute, sono finito a dormire in una specie di motel alle porte della cittadina, ricavato in un prefabbricato di quelli con le pareti di plastica che si vedono ogni tanto come ufficio e punto d’appoggio nei grandi cantieri. I miei disperati tentativi di trovare un locale aperto dopo le cinque del pomeriggio e di incontrare qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere nella ridente (?) Kristiansand producono risultati molto deludenti, ma mi accontento di quel poco che arriva e grazie a questo mi faccio indirizzare verso la mia tappa successiva: Mandal.

 

 

Piccola cittadina sulla foce di un fiume, meravigliosa. E così deserta e desolata che Kristiansand sembrava, a confronto, una metropoli brulicante. Prendo nota sulla mia agenda mentale di viaggio che, se per caso dovessi farmi ispirare nuovamente da qualcuno nella mia scelta della prossima destinazione, dovrei provare a specificare che, in particolar modo viaggiando da solo, non mi dispiacerebbe andare in luoghi con un po’ di vita. Ma cosa fatta capo ha, e quindi mi butto alla scoperta di questo gioiello dalle case bianche e dalle stradine antiche, con il suo lungofiume e un forte odore di mare – che è proprio là dietro, oltre l’ultima curva dell’estuario. Alla fine, un passante mi indica il pub, e l’uso ripetuto dell’articolo determinativo mi lascia intuire che sia l’unica opzione possibile per bere una cosa dopocena. E non vi stupirà scoprire che ero l’unico avventore. La barista mi spiega che la stagione estiva lì è appena finita e quindi per i prossimi mesi quella sarà la vita a Mandal. Auguri.

Comincio a risalire, si vedono i primi fiordi. E la tappa di partenza è Stavanger, dove il karma mi accoglie con una città sì, bellissima, ma strapiena di turisti in ogni dove. Mi chiedo se esista un posto nel sud della Norvegia dove sia possibile trovare una mezza misura tra il deserto e questo delirio. Qualche giorno più in là avrei capito che questo posto è Bergen. Ma intanto mi godo un po’ di sole e di mare, oltre agli scorci pittoreschi della città vecchia e dei quartieri più centrali, preparandomi pian piano ad addentrarmi nel Lysefjord.

 

 

Qui mi pento un po’ di aver cambiato il mio piano-non-piano iniziale di viaggio e di non essermi dedicato esclusivamente ai fiordi. La bellezza della natura è incredibile e la possibilità di fare base in un ostello in mezzo al bosco da cui muoversi per le varie escursioni non è niente male. Questo è il punto ideale, in particolare, per addentrarsi nel bosco, salendo un bel po’ di quota e camminando per circa un paio d’ore, fino ad arrivare al Preikestolen, che vuol dire “pulpito”, attrazione giustamente tra le più note della Norvegia: una roccia sospesa, appunto come un pulpito a cui affacciarsi (ma anche no), a 604 metri a picco sul Lysefjord. La sensazione che si ha quando si arriva lì è difficile da descrivere, rischiando di scadere nella banalità e comunque senza riuscire minimamente a rendere l’idea. Ma insomma, se passate da quelle parti, andateci. E fermatevi a dormire in quell’ostello, anche perché dopo una giornata di escursioni, la serenità della sera che cala sulle montagne è da non perdere.

Da qui, la tappa successiva è Bergen, dove, come anticipato qualche riga più su, riesco finalmente a trovare un po’ di equilibrio nella presenza umana. Città bellissima, anche questa, come in molti già saprete. Le famosissime case del Bryggen, simbolo a tratti dell’intera Norvegia, sono solo uno dei suoi aspetti più interessanti. Il quartiere del porto, gli altri quartieri centrali e quelli più alti, accanto al bosco che cinge la città e da cui si può godere di panorami bellissimi: qualche giorno a Bergen lo si trascorre davvero piacevolmente. Non vi ho parlato molto di cibo, in questo viaggio, ma senza dubbio qui si trova del pesce di livello molto alto (al pari dei prezzi, nemmeno a dirlo), soprattutto nei mercati del quartiere del porto.

 

 

E così, tra un’escursione e una mangiata, con in mezzo una chiacchierata con la rinnovata presenza umana che mi circonda, si conclude il mio secondo viaggio norvegese (il primo era stato molto più breve, diversi anni prima). Ad oggi ancora mi manca l’esperienza di immersione nei fiordi, a nord di Bergen e di Trondheim. Quello che voleva essere un assaggio, alla fine si è rivelato essere ancora meno, ma va bene così: in fondo è l’altra faccia della medaglia di questo modo di viaggiare che sto provando a raccontarvi da queste pagine. E la prendo come la migliore scusa del mondo per tornare.

 

 

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments