di Marina Pagliaro e Marino Rinaldi 

MESSINA. Dall’Egitto al Congo, passando per Marocco, Algeria, Iran, Afghanistan, Arabia Saudita, e chi più ne ha più ne metta. Provengono da tutto il mondo, ma prevalentemente da Asia e Africa, gli oltre duemila componenti della Comunità islamica di Messina che da oltre vent’anni è presente in città ma che nel corso del tempo si è espansa cambiando location, volto e numero di devoti. Un vero e proprio punto di riferimento per tutta la provincia, il Centro islamico di Messina, che trova la sua ubicazione nella splendida Villa Garufi, costruita dopo il terremoto del 1908, in via Gaetano Alessi, dietro il carcere di Gazzi, e che, da quando è stata acquistata dai musulmani, ospita adesso anche la moschea messinese – non ancora materialmente realizzata come struttura architettonica ma già spiritualmente radicata.

Continua, così, rivolgendosi a La Mecca, il tour di Lettera Emme alla scoperta delle religioni praticate a Messina:  un racconto a puntate che cercherà di mostrare (senza mire enciclopediche o approfondimenti teologici) i mille volti spirituali di una città sempre più multiculturale e multietnica, in cui convivono serenamente cristiani e musulmani, induisti e mormoni, rastafariani ed ebrei.

LA STORIA DELLA COMUNITÀ. L’Islam a Messina inizia a diffondersi nei tardi anni ‘70 con la prima ondata di immigrati provenienti dal Marocco (oggi i più numerosi), prosegue sottotraccia negli anni ‘80 ed esplode nei ‘90: perlopiù presenze individuali, commercianti o lavoratori stagionali che dopo qualche tempo riuscivano a ricongiungersi con le famiglie, dando vita a una comunità che oggi è alla seconda generazione. Il primo luogo di culto e di preghiera è stato per anni uno scantinato in torrente Trapani, sfruttato dall’inizio degli anni ‘90 e attivo fino al 2014, quando i seguaci dell’Islam di Messina si raccolsero in preghiera (ma anche in comunità) nella moschea di Mangialupi che possiede tanto un giardino quanto una dependance e che, con i suoi stucchi e le carte da parato, rappresenta un suggestivo scenario liberty entro cui, scalzi in segno di rispetto verso la religione, chiunque si trova a suo agio dal primo momento.

«Ci hanno sconsigliato più volte di insediarci qui – racconta il presidente del Centro islamico di MessinaRefaat Mohamed – Ma in realtà ci troviamo bene, fra noi e gli abitanti del luogo c’è rispetto reciproco». Uno spazio, quello dove attualmente si riuniscono i musulmani messinesi, che racchiude diverse stanze di preghiera, fra cui quella per le donne che, secondo i principi della religione musulmana devono pregare in un posto separato dagli uomini. Locali molto ampi, quelli della villa del Centro, che in futuro diventeranno anche biblioteca araba aperta al pubblico e dove, al secondo piano, si tengono lezioni di lingua araba attualmente per i fedeli del centro ma, prossimamente, aperti a tutti. 

Ancora la Moschea non è realmente realizzata come struttura. I fedeli, infatti, si riuniscono per pregare, rivolti verso La Mecca, dentro un grande tendone che è stato allestito all’esterno della Villa, in uno slargo di cemento del giardino, adeguatamente ornato con tutti i cimeli necessari e i tappeti su cui avviene il momento di culto. Per una comunità i cui proventi provengono dall’autofinanziamento e che non può far affidamento ad alcun sostegno economico statale, realizzare una vera e propria Moschea fisica non è certamente un gioco da ragazzi. La Qatar Charity Foundation aveva stanziato un fondo da 879 mila euro per la città di Messina e diversi sono stati i progetti architettonici per la realizzazione di una Moschea anche sullo Stretto, ma ancora tutto è bloccato. L’unica moschea nel messinese si trova a Barcellona Pozzo di Gotto.  Oltre alla realtà di Gazzi esiste in città soltanto una piccola sala gestita da persone di nazionalità marocchina, alle spalle del Cimitero, dove ci si riunisce soltanto per pregare

MESSINA ACCOGLIENTE. «L’integrazione non è mai stato un nostro problema – prosegue Refaat Mohamed – Il rapporto con le istituzioni è stato sempre ottimo e la stessa cosa si può dire della collaborazione con la Chiesa Cristiana». Da cinque anni la diocesi messinese e il centro islamico, infatti, organizzano diversi convegni in cui si discute di divergenze e affinità fra i due credo. «Il nostro è un unico Dio – aggiunge Refaat Mohamed – non c’è nessun motivo di avere divergenze fra le due religioni. Non ci dimentichiamo che Abramo resta sempre il profeta principale. Se il musulmano non crede nel cristianesimo e nell’ebraismo non diventa un vero musulmano».  E si sente davvero Messinese, Refaat Mohamed, che vive in Italia da trentasette anni e non ha nessuna intenzione di lasciare la città dello Stretto. «Messina è accogliente – aggiunge, sorridente – I messinesi sono brave persone. Anche con il Comune abbiamo sempre avuto un rapporto amichevole. Stiamo bene qui e poi Messina è bellissima». 

Ad aver rimpolpato senza dubbio il numero di fedeli musulmani, la forte ondata di migrazione che si è verificata nel corso degli ultimi anni. Fra Messina e la provincia sono oggi cinquemila i musulmani presenti sul territorio, provenienti da sessanta nazionalità diverse. La possibilità che hanno avuto tutti di trovare lavoro è stato sicuramente un collante sociale. «La base dell’integrazione è il lavoro – spiega Refaat Mohamed – Quando si riesce a trovare una collocazione sociale la comunità stessa è positiva. Anche in una zona come Mangialupi, trascurata e abbandonata dalle istituzioni e dove il livello culturale è molto basso». Ma il lavoro di integrazione non avviene soltanto fra gli stranieri e i messinesi, fra cristiani e musulmani.

«La religione riesce anche a fare da trait d’union fra tutte le persone che vengono da paesi diversi – chiarisce ancora Refaat Mohamed – La multiculturalità non è soltanto verso l’esterno della comunità ma anche all’interno». Fra i messinesi sono circa venti quelli che si sono convertiti in città aderendo alla religione musulmana, fra cui il noto professore universitario Dario Tomasello, portavoce della comunità.

Il venerdì è il giorno in cui i fedeli si riuniscono per la preghiera, dalle 13 alle 14, ma il centro è aperto tutti i giorni. Non è lecito tenere corsi di teologia all’interno della scuola perché manca a Messina un Imam che abbia studiato la saggezza zaituna. «Lo stato italiano non riconosce la religione islamica – racconta Refaat Mohamed – Quindi i musulmani non possono richiedere un istituto religioso e, quindi, non possono esistere scuole. Per questo motivo la religione islamica non può svolgere a pieno il suo funzionamento religioso». 

CURIOSITÀ. Oltre al mese del Ramadan  – non obbligatorio per i bambini fino ai 7 anni, da imparare fra gli 8 e i 18 anni, obbligatorio dopo la maggiore età – un momento di riunione molto importante è la Festa del sacrificio di Abramo (Eid Al Adha), evento in condivisione con le famiglie e momento di carità per i più sfortunati a cui viene offerta la carne. A proposito di tradizioni culinarie, chi segue l’Islam porta con sé le tradizioni della propria terra. Come le macellerie Halal. Per l’Islam, la macellazione rituale è più del solo rifiuto della carne di maiale (considerata sporca per le abitudini dell’animale e nociva per la salute): gli animali vengono sgozzati e dissanguati senza che siano storditi prima, ed il macellaio deve pronunciare la “Basmala”, orientando la testa dell’animale in direzione di Mecca. In città, di macellerie Halal ce ne sono state storicamente due, entrambe a Provinciale. La Khotba (il sermone, ndr) è recitato in arabo ma con traduzione italiana, anche perché non tutti i musulmani messinesi conoscono l’arabo.

 

 

Subscribe
Notify of
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments