MESSINA. Dopo lo stop al referendum per la secessione di dodici comuni marinari e montani della zona nord di Messina, ricadenti nelle ex XII e XIII Circoscrizione, i promotori della scissione non si arrendono: il Comitato Montemare Comune, rappresentato e difeso dall’avvocato Filippo Brianni, ha infatti presentato ricorso al Tar, in data 19 dicembre 2018, chiedendo l’immediata sospensione ed il successivo annullamento del Decreto Assessoriale n. 343 del 23 novembre 2018 e degli altri provvedimenti impugnati: quello che stoppava la consultazione referendaria per la creazione del comune autonomo.

“Conseguentemente nel ricorso  – scrivono i membri del comitato – si chiede quindi che il Comune di Messina dia immediatamente corso a quanto stabilito dal precedente Decreto Assessoriale n. 219 che autorizzava l’indizione del referendum, previsto poi per il 16 dicembre 2018, fissando una nuova data per la consultazione referendaria nel più breve tempo possibile”.

Ma la richiesta del Comitato non si limita all’attuazione del precedente decreto, pretendendo anche un risarcimento che ripari alle spese affrontate per la campagna referendaria. “Il comportamento del Comune ha generato danni ingenti al Comitato – si legge sul documento del ricorso -, il quale aveva già avviato una dispendiosa campagna referendaria, con acquisto di materiale e spazi pubblicitari, l’impiego di risorse umane ed economiche”. Il danno è quantificato, dal comitato referendario, in 40mila euro.

Inoltre, secondo quanto scritto sul documento, il Comune dovrà anche riparare al torto inflitto al Comitato, “un danno all’immagine notevole (e volontariamente determinato dal Comune) nel vedere frustrate le legittime aspettative di votare attraverso un provvedimento di sospensione che i cittadini non tecnici interpretano come una “sconfitta” del Comitato stesso, giungendo in tal modo (ed anche tale scopo si ritiene sia stato premeditato dal Comune) a rendere evanescente la spinta emotiva sottesa al referendum e favorire, anche per il futuro, un affievolirsi della percezione di importanza e quindi dell’interesse da parte dei cittadini e favorire, in tal modo, un atteggiamento astensionistico mirato non raggiungere il quorum prescritto dalle legge per la validità delle operazioni referendarie”.

“Il tutto in totale assenza di ragioni giuridiche, tanto che, per ‘imbastire’ comunque un ricorso, si è dovuto fare ricorso a fantasiose questioni di legittimità costituzionali, evidentemente infondate, inesistenti ed esclusivamente strumentali. Tutto ciò impone una severa pronuncia anche in funzione del risarcimento dei danni che in questa sede si indica in  40mila euro o nell’altra somma che il TAR riterrà equa”.

 

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