MESSINA. «A vivere nell’ombra si lavora meglio. Per proteggere lo Stato è essenziale tenere un basso profilo, come io ho fatto per trentanove anni. Ma oggi mi sembra giusto che gli italiani sappiano che c’è un gruppo di ragazzi che ha sacrificato la propria gioventù e che la sta sacrificando. Mi sembrava il momento giusto, un momento particolare come questo, perché gli italiani sapessero che esiste questo gruppo di ragazzi che si sacrifica quotidianamente per il bene della comunità».

Così il “Comandante Alfa”, nome in codice di uno dei fondatori del Gis (Gruppo Intervento Speciale), spiega i motivi che lo hanno spinto a scrivere del suo lavoro, nonostante la riservatezza del suo reparto e il duro regolamento interno per la sicurezza. Anche ieri, mentre presentava in anteprima nazionale il suo libro “Io vivo nell’ombra” nell’aula magna del Rettorato di Messina, indossava il mefisto, per coprire il volto e non farsi riconoscere, per proteggere la sua sicurezza e quella della sua famiglia. 

L’unica volta che lo ha tolto, infrangendo il regolamento, «è stato nel ’90 – racconta – era stata sequestrata una bambina di otto anni, Patrizia Tacchella. Tutti gli italiani adottarono questa bambina, in tutte le scuole si parlava di questo sequestro anomalo, tanto che a casa mi davano la carica i miei figli. Mi dicevano: “Perché sei a casa? Vai ad aiutare la bambina.” Quindi quando entrai nella villa – il comandante di distaccamento entra sempre per primo, per dare la carica ai ragazzi – trovai la bambina seduta a terra che giocava e lei si voltò, vide il mefisto e si spaventò, io lo tolsi, anche contro il regolamento, e le dissi che eravamo Carabinieri e che l’avremmo portata a casa. E la bambina mi disse “vi aspettavo”. È stata un’emozione particolare vedere una bambina di otto anni che aveva fiducia nell’arma. (…) Quindi quando la stringevo a me, mi sembrava di stringere mia figlia, anche se ovviamente la stringevo perché aspettavo che mi dicessero che ero tutto calmo e che la potevamo portar via, perché se ci fosse stato un conflitto a fuoco  sarebbe stato giusto che colpissero me e non la bambina – uno dei principi del Gis è salvaguardare prima l’ostaggio. L’ho incontrata dopo venticinque anni, sempre grazie al libro, ed è stato un incontro emozionante».

Ha raccontato di aver scritto il libro per far conoscere agli italiani chi li protegge, ma di aver riscontrato un inaspettato amore verso l’arma. 

L’incontro, che fa parte della rassegna “leggere il presente”, organizzata dall’Università di Messina e dall’Accademia peloritana dei pericolanti, in collaborazione con Taobuk, il festival del libro di Taormina, ha fornito diversi spunti interessanti, attraverso un’intervista/dialogo tra il Comandante Alfa e il giornalista del Corriere della Sera, Andrea Nicastro

Il Comandante ha raccontato di aver iniziato a parlare del suo lavoro con il suo primo libro, “Cuore di rondine”, che lo ha portato anche a organizzare incontri nelle scuole e corsi per istruire la gente su come reagire in caso di attentato.

«La gente pensa subito a scappare, il che è penalizzante, perché i terroristi sparano su ciò che si muove e perché quando c’è un’esplosione si resta diversi secondi, se non addirittura minuti, storditi. La cosa migliore è cercare un riparo che non sia vicino alle finestre o alle porte».

Il Comandante ha definito il Gis una sua grande fortuna, perché gli ha consentito di saziare il suo bisogno di proteggere le persone dalle ingiustizie, ma anche il suo desiderio d’azione. «La mia squadra mi ha fatto trovare la pace», ha detto, infatti, dopo aver raccontato della voglia di agire che lo ha animato sin da ragazzino e di un’ingiustizia subita dal padre ad opera di un malavitoso che, a distanza di anni, ha arrestato personalmente. 

All’interno della squadra, infatti, bisogna essere lucidi, «devi avere la testa sulle spalle». Per questo crede che possa essere fondamentale per i giovani che come lui vogliono reagire e per questo ha iniziato anche a fare l’addestratore e sta aprendo un centro di addestramento vicino Roma. 

All’interno della squadra fiducia, coesione e disciplina sono tutto. Quando gli viene chiesto come faccia a far prevalere il coraggio sulla paura cita Falcone: «L’importante è conviverci e non farsi condizionare», ma aggiunge subito: «Non ho paura anche perché so che ho la protezione dei miei colleghi».

E questo senso di appartenenza si sta allargando. Per far fronte al “nuovo terrorismo”, quello organizzato e addestrato, si è infatti annullata ogni forma di competizione e si è creato un grande gioco di squadra tra istituzioni, intelligence e forze speciali, sia dei carabinieri (il Gis), che della polizia (il Nucleo operativo centrale di sicurezza), dell’esercito e della marina (il Gruppo operativo incursione). 

«Quando ho iniziato – spiega – noi italiani non venivamo presi sul serio (…) Oggi le forze speciali italiane hanno dei meriti riconosciuti anche all’estero».

«Oggi il Gis è uno dei più efficaci e più efficienti reparti al mondo, perché è l’unica forza speciale ad essere sia forza di polizia che forza armata». 

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